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Art. 2390 c.c.
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22 Giugno 2023

Cessione di quote e revoca dell’amministratore

Ai sensi dell’art. 1395 c.c. è esclusa l’annullabilità del contratto stipulato dal rappresentante con se stesso in due ordini di casi: nel caso in cui a ciò sia stato autorizzato il procuratore con la procura ovvero nel caso in cui il contenuto del contratto sia predeterminato in modo da prevenire la possibilità di un conflitto di interessi che è visto come intrinseco in tale modalità di stipulazione.

Nell’ipotesi di mandato conferito nell’interesse del mandatario con attribuzione di procura, la irrevocabilità del mandato è limitata al rapporto interno tra il mandante ed il mandatario e, pertanto, la validità del contratto concluso con il terzo dal mandatario, resta subordinata alla permanenza del potere di rappresentanza ed alla mancanza di revoca della procura. La revoca della procura determina la estinzione del potere di rappresentanza (art. 1396 c.c.) con la conseguenza che il contratto concluso dal rappresentante senza potere è privo di efficacia

La scelta di revocare gli amministratori è dalla legge rimessa all’assemblea ma è contemperata dalla previsione, per il caso di revoca senza giusta causa, del diritto dell’amministratore revocato al risarcimento del danno prodotto dallo scioglimento anticipato del rapporto; in difetto di giusta causa di revoca spetta all’amministratore rimosso dall’ufficio il diritto a percepire il compenso (pattuito o stabilito giudizialmente) fino alla scadenza (cd. periodo differenziale) o in caso di incarico a tempo indeterminato, alla percezione di un compenso la cui quantificazione è determinata nella misura del periodo di mancato preavviso o in via equitativa.

Se è certamente vero che, in caso di revoca senza giusta causa, all’amministratore revocato non è data altra tutela che quella risarcitoria, non può negarsi, tuttavia, che l’amministratore revocato mantenga la propria legittimazione ad impugnare la deliberazione di revoca qualora intenda lamentare che la stessa non è stata correttamente assunta. Invero, la legittimazione degli amministratori ad impugnare le deliberazioni assembleari si fonda non già su un proprio interesse, ma sull’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria, che implica l’esistenza di un diritto ad impugnare anche nel caso in cui la decisione invalida sia stata approvata dai soci all’unanimità.

Nelle società di capitali, il divieto per l’amministratore, ai sensi dell’art 2390 primo comma cod. civ., di assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile in società concorrenti, o di esercitare comunque attività concorrente, tendendo ad evitare che l’amministratore durante il suo ufficio, si trovi in situazioni di dannoso antagonismo con la società amministrata, opera a prescindere dal momento in cui egli abbia assunto la qualità incompatibile, od intrapreso l’attività concorrente, ed anche, quindi, se le indicate situazioni siano non successive, ma preesistenti alla sua nomina. In entrambi i casi pero, l’inosservanza del divieto in questione non tocca la validità della delibera assembleare di nomina dell’amministratore, né determina, nella seconda ipotesi, l’ineleggibilità del medesimo, ma comporta solo l’obbligo per l’amministratore di dismettere la qualità o l’attività incompatibile, al fine di non esporsi alla sanzione della revoca, salvo che abbia ricevuto autorizzazione in forza di rituale delibera della assemblea dei soci, od in forza di espressa clausola dello statuto. Non si ha, quindi, né invalidità della delibera né ineleggibilità dell’amministratore che operi quale amministratore anche di altra società concorrente, ma solo causa di revoca rimessa all’assemblea.

Legittimazione del terzo a impugnare il bilancio e responsabilità degli amministratori di s.r.l.

L’interesse del terzo creditore sociale all’impugnazione del bilancio per nullità non sussiste soltanto nel caso di stipulazione di un contratto per errore di fatto sulla situazione economica e finanziaria determinato da oscura o non veritiera rappresentazione della stessa nel bilancio. L’interesse ad agire in tal senso deve ravvisarsi ogniqualvolta dalla rettificazione del bilancio, conseguente all’accertamento della sua nullità, possano derivare conseguenze di rilievo sul piano giuridico. In particolare, ciò accade quando una corretta redazione del bilancio avrebbe generato la verificazione di una situazione di scioglimento della società, con conseguente applicazione della regola di cui al primo comma dell’art. 2486 c.c., in forza del quale gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

Non trova applicazione il disposto di cui all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., a norma del quale le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, ove sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice la nullità della deliberazione per illiceità dell’oggetto, tale dovendo ritenersi quella di approvazione di un bilancio non chiaro o non veritiero. Infatti, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita la delibera di approvazione e, quindi, nulla. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dall’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente.

La norma di cui all’art. 2467 c.c. non si applica ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori all’entrata in vigore di tale disposizione (1 gennaio 2004).

In tema di società di capitali, le dazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale), sicché l’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio tali dazioni, né di mutare la voce relativa, successivamente all’iscrizione originaria, dovendo quest’ultima rispecchiare l’effettiva natura e la causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nell’interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito.

Gli amministratori della società sono liberi di decidere per la resistenza in giudizio pur a fronte di contestazioni della controparte, ma devono nel contempo prefigurarsi come possibile l’esito negativo della vertenza e mettere in conto i relativi maggiori costi, di ciò dando la dovuta evidenza in bilancio, e richiedere alla proprietà la ricapitalizzazione della società che ne garantisca la solvibilità anche a fronte dei rischi correlati al contenzioso in atto. Ciò vale anche nei confronti degli amministratori che non siano stati parte in giudizio.

In tema di azione di responsabilità per violazione del divieto di concorrenza ex art. 2390, co. 1, c.c. l’attività concorrenziale potrebbe risultare di rilievo per il terzo creditore della società soltanto nel caso in cui ne sia derivato un depauperamento della consistenza patrimoniale di quest’ultima.

11 Maggio 2022

Revoca giudiziale del liquidatore di s.r.l.

L’art. 2487, comma 3 c.c. impone agli amministratori cessati, e non già al liquidatore, la consegna dei libri sociali, di una situazione patrimoniale ed economica alla data dello scioglimento, di un rendiconto relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato. La ratio della previsione si rinviene, da un lato, nella circostanza che sono costoro che, avendo amministrato, devono rendere il conto della loro gestione alla società e dunque al liquidatore subentrante e non già il contrario, e, dall’altro, che tali adempimenti sono necessari affinché il liquidatore possa operare efficacemente. Pertanto, non può affermarsi una responsabilità del liquidatore per il mancato assolvimento di tale obbligo.

Il primo comma della medesima norma attribuisce all’assemblea il potere di deliberare sui criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; di conseguenza, nel caso in cui i soci abbiano stabilito i criteri di liquidazione, non possono dolersi della asserita mancata comunicazione (da parte del liquidatore) dei criteri adottati per la realizzazione della liquidazione stessa.

Il rifiuto, opposto dal liquidatore, alla richiesta di mettere a disposizione dei soci la documentazione sociale e contabile necessaria al fine di consentire la verifica della bozza di bilancio costituisce senz’altro inadempimento degli obblighi imposti dall’art. 2476, comma 2 c.c. Tuttavia, non si tratta di un inadempimento di gravità tale da giustificare di per sé solo la revoca della carica di liquidatore.

25 Marzo 2021

La valutazione delle gravi irregolarità nella gestione nel contesto dell’emergenza pandemica

Non costituisce grave irregolarità nella gestione e, per l’effetto, non è idonea a giustificare la revoca in via cautelare dell’amministratore di S.r.l. ex art. 2476, co. 3 c.c., l’attuazione solo parziale e in difetto di compiuta regolazione contrattuale di un progetto imprenditoriale originariamente condiviso da tutti i soci e da realizzarsi, alla luce dei reciproci rapporti di fiducia, attraverso la costituzione di una società partecipata solo da alcuni di essi, allorquando – all’esito di un giudizio di bilanciamento tra il pregiudizio asseritamente arrecato al patrimonio sociale dalla condotta dell’amministratore e il pregiudizio che la società subirebbe dalla revoca di quest’ultimo – risulta prevalente l’interesse a garantire la sopravvivenza di tutte le società coinvolte, soprattutto in un momento storico in cui la prolungata chiusura o riduzione delle attività d’impresa operanti nel settore di riferimento rischia di ripercuotersi a catena sull’intera filiera produttiva e distributiva.

Responsabilità degli amministratori verso la società: diligenza e ripartizione dell’onere della prova

La diligenza cui l’art. 2392 c.c. si riferisce non attiene necessariamente a competenze tecniche economiche e/o finanziarie, bensì alla diligenza gestionale; il che comporta che le scelte degli amministratori devono essere informate, meditate, ragionevoli e basate sulle conoscenze tecniche richieste di volta in volta e non determinate da irresponsabile o negligente improvvisazione. La norma distingue anche il tipo di responsabilità tra gli amministratori per il caso che alcune funzioni siano attribuite in concreto soltanto ad alcuni di essi: in questo caso gli amministratori deleganti rispondono per non aver correttamente vigilato sull’operato dei primi e per non aver impedito la commissione del fatto. Essa, quindi, permette di “graduare” la responsabilità, disancorandola dal mero coefficiente oggettivo di produzione del danno e prediligendo l’aspetto (quanto meno) della colpa.

L’onere probatorio posto a carico dell’attore che si dolga della negligenza dell’amministratore ha ad oggetto l’inadempimento da parte di questi dei doveri ad esso imposti dalla legge o dallo statuto, il rapporto di causalità tra la condotta e il danno; incombe, invece, sul convenuto l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla propria condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Non è, dunque, sufficiente elencare chi fossero gli amministratori in carica nel periodo del fatto contestato ed allegare un pregiudizio pari al valore commerciale dell’operazione, incombendo sull’attore l’onere di dimostrare il comportamento negligente posto in essere da ciascuno degli amministratori convenuti e le conseguenze dannose che una tale condotta (dolosa o colposa) avrebbe provocato.

Va ricordato che il giudizio del tribunale sulla diligenza degli amministratori non può investire nel merito le scelte di gestione. In base alla c.d. business judgment rule o giudizio prognostico postumo, infatti, è escluso che possa essere effettuato ex post un vaglio del merito e della bontà dell’affare, salva ovviamente la verifica che l’operazione non risulti del tutto irrazionale ed aleatoria, ma l’indagine dovrà essere volta esclusivamente a verificare ed accertare la correttezza procedurale della decisione. Per sindacare la ragionevolezza o meno dell’operazione con il criterio della prognosi postuma, il giudice deve collocarsi nella medesima posizione del convenuto all’inizio dell’attività dannosa e valutare, in base alla diligenza tecnica e/o professionale richiesta all’amministratore di una società in relazione all’atto concretamente posto in essere, se questo potesse considerarsi ragionevole o viceversa dannoso per la società con certezza o alta probabilità.

Per l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte dei creditori sociali la legge prevede un termine di prescrizione quinquennale (art. 2949, co. 2, c.c.), che inizia a decorrere da quando il diritto può essere fatto valere. Tale momento è individuabile non nella data di commissione dei fatti gestori lesivi, bensì nel momento della percepibilità del danno ad essi conseguente: in particolare, per i creditori sociali, dalla data in cui risulta l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti, momento molto vicino – se non coincidente – con la dichiarazione di fallimento.

Nella fattispecie prevista dall’art. 2391 c.c. il conflitto di interessi deve manifestarsi al momento dell’esercizio deliberativo: ciò a differenza della situazione regolata dall’art. 1394 c.c., ove invece rileva il conflitto di interessi che si sia manifestato in sede di esercizio del potere rappresentativo.

Presupposto applicativo della norma di cui all’art. 1304 c.c. è che la transazione riguardi l’intero debito solidale e non la quota interna del singolo debitore; in quest’ultimo caso (c.d. “transazione parziale”, estranea al perimetro applicativo dell’art. 1304 c.c.), gli altri condebitori non possono avvalersi della transazione come causa di estinzione dell’obbligazione, pur verificandosi la riduzione dell’intero debito solidale per un importo corrispondente alla quota transatta e, conseguentemente, rimanendo in capo agli altri condebitori un’obbligazione non maggiore di quella loro complessivamente attribuibile. Da ciò consegue che, in ipotesi di accertata responsabilità dei convenuti non paciscenti, essi saranno sì condannati al risarcimento dell’obbligazione residua, ma con la precisazione che se le somme oggetto di transazione risultino inferiori rispetto alla quota ideale dei debitori che vi hanno aderito, allora la somma cui siano stati complessivamente condannati i condebitori in solido andrebbe ridotta di un importo pari alla suddetta quota ideale e non alla minor somma oggetto di transazione; viceversa, laddove gli importi oggetto di accordo transattivo dovessero risultare maggiori rispetto alle quote ideali, il complessivo debito dei responsabili in solido verrebbe ridotto per tale somma, dal momento che il creditore non può ottenere un risarcimento maggiore del danno patito.

8 Novembre 2019

Conflitto di interessi e violazione dei doveri di corretta gestione societaria degli organi sociali di S.p.A.

La previsione statutaria derogatoria del divieto di concorrenza di cui all’art. 2390 c.c. non esaurisce l’obbligo imposto agli amministratori di S.p.A. di dichiarare il conflitto di interessi ai sensi dell’art. 2391 c.c., il quale può sussistere anche in assenza di violazione del divieto di concorrenza, costituendo una fattispecie dal perimetro più ampio rispetto a quella di cui all’art. 2390 c.c. [ LEGGI TUTTO ]

19 Aprile 2019

Azione sociale di responsabilità nella Srl: nomina curatore speciale; condizione dell’azione e oneri allegativi

Non è condivisibile l’interpretazione restrittiva dell’art. 78 co. 2 c.p.c. secondo cui la nomina del curatore speciale sarebbe ammissibile  solo in caso di esercizio dell’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. da parte del socio nei confronti degli amministratori (anziché nell’azione sociale di responsabilità): invero l’ipotesi di conflitto di interessi di cui all’art. 78 co.2 c.p.c. ha carattere generale e vale ad evitare situazioni di contrasto tra le parti in causa, che possono pregiudicare la posizione processuale del soggetto rappresentato. Si è infatti sostenuto che “Nel contenzioso societario, in ipotesi di azioni di annullamento di contratti conclusi dagli amministratori, di responsabilità contro gli amministratori, di impugnativa di delibere del C.d.A., la potenzialità del suddetto conflitto è palese ed «in re ipsa», laddove gli amministratori siano al contempo attori, nella veste di legali rappresentanti della società beneficiata dalla pronuncia, e convenuti, quali autori del danno di cui si chiede il ristoro” (Cfr. Trib. Verona 8.10.2012).

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1 Settembre 2018

Responsabilità degli amministratori di s.r.l. e diritto/obbligo di informazione ex art. 2476, co. 2 c.c.

In tema di responsabilità degli amministratori, nonostante il silenzio dell’art. 2476 c.c. circa il grado di diligenza richiesto, si ritiene ormai pacificamente che, come per gli amministratori di s.p.a. (art. 2392 c.c.), anche per quelli di s.r.l. debba farsi riferimento alla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze possedute, la quale [ LEGGI TUTTO ]

Amministratore di fatto, requisiti. Violazione del divieto di concorrenza e quantificazione del danno risarcibile

È qualificabile come amministratore di fatto il soggetto che, in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell’assemblea (sia pur irregolare o implicita), si sia ingerito nella gestione di una società in maniera sistematica e completa. La valutazione della sistematicità e della completezza deve essere fatta tenendo in considerazione le attività svolte dal soggetto nell’ambito dei rapporti interni (con i soci e/o gli amministratori) ed esterni (coi clienti e i collaboratori) alla società [Nel caso di specie, il tribunale [ LEGGI TUTTO ]