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Carlo Arsie

Carlo Arsie

Avvocato in Padova, si occupa prevalentemente di contenzioso civile e societario.

16 Settembre 2023

Divieto di patto leonino e di patto commissorio e strumenti finanziari partecipativi

Affinché il limite all'autonomia statutaria dell'art. 2265 c.c. sussista, è necessario che l'esclusione dalle perdite o dagli utili costituisca una situazione assoluta e costante. Assoluta, perché il dettato normativo parla di esclusione "da ogni" partecipazione agli utili o alle perdite, per cui una partecipazione condizionata (ed alternativa rispetto all'esclusione in relazione al verificarsi, o non, della condizione) esulerebbe dalla fattispecie preclusiva. Costante, perché riflette la posizione, lo status del socio nella compagine sociale, quale delineata nel contratto di società. Sia il divieto di patto commissorio (artt. 1963 e 2744 c.c.) sia il divieto di usura postulano l'esistenza di un rapporto negoziale di natura (quantomeno) prevalentemente creditizio-finanziaria, pena l'impossibilità giuridica di applicare detti divieti. E' lecito e meritevole di tutela l'accordo negoziale concluso tra i soci di società azionaria con il quale gli uni, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighino a manlevare un altro socio delle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l'attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato e il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell'acquisto, pur con l'aggiunta di interessi sull'importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società. Il tenore letterale dell'art. 2346, co. 6, c.c. recita che lo strumento finanziario partecipativo possa essere emesso "a seguito dell'apporto da parte di soci o di terzi anche di opera o di servizi": tale precisazione implica necessariamente che l'apporto del sottoscrittore non sia necessariamente limitato alla dazione di denaro o beni fungibili, ma si estenda anche allo svolgimento di una prestazione di facere, ipoteticamente contraddistinta da intuitus personae. Da ciò discende la possibilità di emettere strumenti partecipativi singoli e individualizzati e quindi non seriali. E' ammissibile una deroga statutaria del principio secondo il quale le cariche sociali sono nominate in modo collegiale da tutte le azioni riunite in assemblea ordinaria. Lo statuto può diversamente allocare il potere di assumere la decisione nell'ambito della compagine sociale, mediante la configurazione di "diritti diversi" attribuiti a una o più categorie di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c. [ Continua ]
27 Settembre 2023

Validità del c.d. “preliminare di preliminare” di cessione di quote

La stipulazione di un contratto preliminare di preliminare, in virtù del quale le parti si obbligano a concludere un successivo contratto che preveda soltanto effetti obbligatori, ha natura atipica; lo stesso è valido ed efficace ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, perché la procedimentalizzazione delle fasi contrattuali non può essere considerata, di per sé, connotata da disvalore, se intesa a comporre un complesso di interessi che sono realmente alla base dell'operazione negoziale. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare una responsabilità contrattuale da inadempimento di una specifica obbligazione sorta nella fase precontrattuale. [ Continua ]
27 Settembre 2023

Azione ex art. 146 l.f. e suo termine prescrizionale. Danno da ritardato fallimento

L’azione unitaria ex art. 146 l.f. cumula sia i profili propri dell’azione di responsabilità sociale che dell’azione dei creditori sociali. L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ex art. 2394 c.c., esercitata dal curatore fallimentare a norma dell'art. 146 l.f., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti; pertanto, in ragione dell'onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione "iuris tantum" di coincidenza tra il "dies a quo" di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull'amministratore la prova contraria della diversa data, anteriore, di insorgenza e percepibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito. Nel caso in cui non siano state addebitate, quale mala gestio, singole specifiche operazioni in tesi produttive di danno bensì tout court l’illecita prosecuzione di attività gestionale in situazione di chiara perdita di continuità aziendale e in cui era doverosa l’istanza di autofallimento, il danno generato dalla illecita prosecuzione della gestione sociale può essere ragionevolmente determinato secondo i parametri, frutto di elaborazione giurisprudenziale prima e del novellato art. 2486 c.c. poi (ancorché quest’ultimo articolo si riferisca specificamente alla prosecuzione di attività gestoria “non conservativa” dopo l’avverarsi della causa di scioglimento e non alla diversa mala gestio del “ritardato fallimento”), con il criterio dello “sbilancio fallimentare”, qualora manchino attendibili elementi per determinare il differenziale del patrimonio netto. Il criterio dello sbilancio fallimentare, essendo equitativo e meramente residuale, è suscettibile di opportuni correttivi quando in giudizio vi siano gli elementi per operare detta “correzione”. [ Continua ]

Principi in tema di c.t.u. contabile. Il valore probatorio della sentenza di patteggiamento

Mentre nella c.t.u. generica il consulente neppure con il consenso delle parti può acquisire nuovi documenti concernenti fatti e situazioni poste direttamente a fondamento delle domande ed eccezioni, il c.t.u. contabile non incontra tale limite se le parti consentono alle nuove acquisizioni/produzioni documentali. Nel primo caso la c.t.u. è nulla anche se la parte aveva prestato consenso (salva la tempestività del rilievo); nel secondo caso è perfettamente valida anche se acquisisce al processo elementi fondanti le prospettazioni/allegazioni/dimostrazioni delle parti. Nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, la sentenza penale di patteggiamento non ha efficacia di giudicato né inverte l'onere della prova, costituendo invece, quale mero fatto del mondo reale, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l'inefficacia agli effetti civili. [ Continua ]
22 Novembre 2023

Ammissibilità del giuramento decisorio in relazione al contratto di cessione di partecipazioni

Il patto coevo alla conclusione dell’atto di cessione di partecipazioni sociali e rispetto ad esso difforme è provabile mediante giuramento decisorio, posto che l’atto di cessione delle partecipazioni sociali non richiede forma scritta ad substantiam, ma unicamente ad probationem. [ Continua ]
21 Novembre 2023

Differenze tra nullità e annullabilità della delibera; legittimazione all’azione di annullamento

Secondo la disciplina prevista dall’art. 2377 c.c. in tema di annullabilità delle delibere assembleari, la legittimazione all’impugnazione compete al socio assente o dissenziente, precisando la norma che lo stesso socio può proporre l’impugnazione ove sia titolare di almeno il 5 % del capitale sociale, posto che diversamente il socio, pur dissenziente, non legittimato a proporre l’impugnativa, ha diritto unicamente al risarcimento del danno a lui cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto. La titolarità di un numero minimo di azioni in capo all’impugnante è qualificata dal legislatore come condizione di legittimazione all’azione demolitoria, presupposto stesso del diritto del socio ad ottenere l’annullamento della delibera viziata, cosicché il difetto di detta condizione di legittimazione non introduce questione che possa qualificarsi come eccezione in senso proprio e stretto e, quindi, esaminabile unicamente ove il difetto sia stato eccepito in giudizio tempestivamente dalla società convenuta. In realtà, potendo la questione del difetto di legittimazione attiva essere rilevata anche d’ufficio, la mancanza di titolarità minima di azioni in capo al socio impugnante deve essere qualificata come mera difesa, di modo che non può reputarsi fondata l’eccezione di tardività di essa. Rispetto alle ordinarie norme di diritto civile comune, ove la nullità negoziale si configura come invalidità virtuale, comprendendosi in detta sanzione anche il difetto di forma ad substantiam dell’atto, e l’annullabilità è predicabile solo per i vizi previsti specificamente dal legislatore, la disciplina dell’invalidità delle delibere societarie, come individuata dagli artt. 2377 e 2379 c.c., opera un capovolgimento di prospettiva, posto che le cause di nullità sono definibili come tipiche, ovvero predicabili unicamente nei casi previsti dal menzionato art. 2379 c.c., mentre, in tutte le altre ipotesi in cui la delibera assembleare sia contraria alla legge o allo statuto, la decisione dei soci risulterà meramente annullabile. Peraltro, è individuabile come vizio della deliberazione anche la più radicale inesistenza, categoria di elaborazione giurisprudenziale che può essere affermata in tutte le ipotesi in cui la carenza viziante sia tale da comportare in fatto che neppure possa essere ravvisabile una deliberazione assembleare. Posta la regola della tassatività delle nullità delle delibere assembleari, con inversione prospettica rispetto alle ordinarie nullità negoziali, la violazione della norma di legge, secondo cui le delibere delle assemblee straordinarie debbano essere adottate in forma notarile ex art. 2375, co. 2, c.c., deve necessariamente rientrare tra le ipotesi di violazione sancite dall’art. 2377 c.c. in termini di annullabilità, non potendosi importare nel sistema societario le fattispecie di nullità proprie del diritto comune in riferimento ai requisiti di forma pubblica ad substantiam degli atti negoziali. In effetti, il sistema delineato dal legislatore in tema di invalidità delle delibere dell’assemblea dei soci è improntato alla tutela del valore della stabilità delle delibere medesime, circostanza che spiega, tra l’altro, il motivo per il quale l’annullabilità ricomprenda un novero di vizi esteso rispetto ai casi tassativi di nullità, con l’inversione dei principi diversamente previsti nel diritto comune. [ Continua ]
27 Settembre 2023

Diritto di ispezione del socio di s.r.l.

La norma di cui all’art. 2476, co. 2, c.c., come modificata dalla riforma del diritto societario, ha attribuito al socio non amministratore di s.r.l. il diritto di ispezione e di accesso alle informazioni, diritto funzionale al controllo sull’attività gestoria. La attribuzione espressa al socio non amministratore del diritto di ispezione e accesso alla documentazione sociale non esclude che spetti anche al socio amministratore il diritto di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i documenti relativi alla gestione societaria compiuta dagli altri amministratori, nei casi in cui a detta gestione egli non abbia in tutto o in parte partecipato, quando siano stati frapposti, ad esempio da parte di altri amministratori, ostacoli all’accesso a dette informative e documenti. In una s.r.l. non può esser negato, quanto ai soci amministratori, il diritto di ispezione e di informazione quale diritto-dovere costituente implicito portato delle prerogative della carica. Con la conseguenza che, qualora l'esercizio di tale diritto-dovere sia precluso da altri, in specie co-amministratori o componenti del consiglio di amministrazione, essi potranno agire a loro tutela, facendo valere anche l'impossibilità di diligente adempimento dell'incarico gestorio, ove lasciati all'oscuro delle vicende sociali e, dunque, per la stessa esigenza di adempiervi fedelmente e non incorrere in responsabilità. Di tale importanza è la trasparenza interna nelle società che il legislatore ha previsto il presidio della sanzione penale all'art. 2625 c.c. per gli amministratori che, "occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo". Con l’assunzione della carica gestoria sorge insomma in capo all’amministratore il diritto ed il dovere di agire in modo informato e tale diritto ben può essere fatto valere anche giudizialmente nel caso in cui esso venga negato / ostacolato. [ Continua ]
29 Gennaio 2024

Principi in tema di responsabilità degli amministratori

L'azione ai sensi dell'art. 146 l.f. racchiude sia l’azione sociale (art. 2476, co. 1 e 3, c.c.), sia l'azione creditoria (odierno art. 2476, co. 6, c.c., che dal 16 marzo 2019 esplicita tale titolo di responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali nelle s.r.l., titolo in giurisprudenza già considerato valevole per essi in ragione della ritenuta applicazione anche alle s.r.l. del disposto dell'art. 2394 c.c., quantomeno nell'azione unitaria fallimentare). L'art. 2476, co. 8 (già co. 7), c.c. stabilisce la corresponsabilità solidale con gli amministratori dei soci che abbiano intenzionalmente deciso atti dannosi per la società, i soci o i terzi. Il tenore del richiamo normativo (“ai sensi dei precedenti commi”) fonda la corresponsabilità degli amministratori sia nell’illecito contrattuale (art. 2476, co. 1 e 3, c.c.) sia in quello extracontrattuale (attuale art. 2476, co. 7, c.c.). La norma richiede un'intenzionalità, che devesi ravvisare anche nel caso del dolo eventuale. Le due azioni (l'azione sociale ex art. 2476, co. 1 e 3, c.c. e l'azione creditoria ex art. 2476, co. 7, c.c.) rimangono regolate distintamente sia quanto al regime prescrizionale, sia quanto al regime dell'onere probatorio. La prescrizione dell'azione sociale decorre da quando la società in persona dei suoi amministratori è in grado di percepire la dannosità dell'atto, quella dell’azione creditoria da quando ne sono posti in grado i creditori. I soli amministratori vedono la sospensione della prescrizione ex art. 2941, n. 7, c.c., norma applicabile all'azione sociale; la ratio della causa di sospensione (in mancanza di essa la società rimarrebbe indifesa, dato che il soggetto che dovrebbe agire a tutela della società, essendo suo amministratore, certamente non eserciterebbe l’azione contro sé medesimo) e il disposto espresso dell’art. 1310, co. 2, c.c. comportano tale conseguenza. Anche la causa di sospensione di cui all’art. 2941, n. 8, c.c. opera con solo riguardo al responsabile dell'occultamento e al creditore. L'art. 1310 c.c. prevede che l'atto interruttivo della prescrizione operante verso uno dei condebitori sia efficace anche contro gli altri.   [ Continua ]