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Marco Verbano

Marco Verbano

Laureatosi col massimo dei voti e la lode in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Padova nel 2011 (tesi di diritto civile su "Il danno da intese anticoncorrenziali", relatore il Prof. Stefano Delle Monache), ha svolto il tirocinio forense presso lo Studio degli Avvocati Laghi, Tabacchi & Associati di Treviso (ora Laghi Leo Spangaro & Associati), presso il quale ha collaborato per cinque anni, trattando prevalentemente pratiche di diritto commerciale, societario e bancario. Ancora dall'autunno del 2011 è collaboratore della cattedra di Diritto commerciale del Dipartimento di diritto privato e critica del diritto dell'Università degli Studi di Padova (Prof. Marco Cian). È iscritto all'Ordine degli Avvocati di Treviso dal settembre del 2014. Nell'aprile del 2016 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca presso la Scuola di dottorato in Diritto internazionale e diritto privato e del lavoro dell'Università degli Studi di Padova, dopo aver discusso una tesi su "Il danno da deliberazione invalida nelle s.p.a." (relatore il Prof. Stefano Delle Monache). Da maggio 2016 a settembre 2018 ha collaborato anche con la cattedra di Diritto commerciale del Dipartimento di scienze giuridiche dell'Università degli Studi di Udine (Prof. Vittorio Giorgi). È stato assegnista di ricerca di Diritto commerciale presso l'Università degli Studi di Padova per il 2016/2017 e presso l'Università degli Studi di Udine per il 2017/2018 ed è docente a contratto presso la Scuola di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Padova dall'a.a. 2016/2017.

23 Aprile 2023

Assemblea totalitaria e abuso di maggioranza

Nel caso di mancata convocazione dell’assemblea, l’art. 2379 bis c.c. preclude al socio che, pur non essendovi convocato, abbia partecipato e ne abbia consentito lo svolgimento, di impugnare la delibera esitata dall’assemblea. In altre parole, per quell’ipotesi di totale compromissione del diritto d’informazione del socio, cui la convocazione è preordinata, in omaggio al principio generale immanente nel sistema del diritto societario – di garantire, il più possibile, la stabilità delle decisioni assembleari – il legislatore ha inteso prevedere un’ipotesi di nullità sanabile. Di fronte a un’assemblea totalitaria, l’accertamento della presenza dell’intero capitale sociale e della maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo esclude la rilevanza della mancanza delle formalità previste per la convocazione, il cui astratto rilievo officioso rimane neutralizzato. Tale assemblea ha competenza generale, senza che rilevi l’eventuale violazione delle norme che disciplinano la convocazione. La disciplina dell’assemblea totalitaria contenuta al comma 4 dell’art. 2366 c.c. è da ritenersi applicabile anche alle assemblee di s.r.l. L’esecuzione del contratto di società deve essere improntata ai ben noti canoni di correttezza e buona fede e l’abuso di maggioranza (c.d. abuso, o eccesso, di potere) può condurre all’annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando le stesse non trovino alcuna giustificazione nell’interesse sociale – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale – oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. Nel nostro ordinamento non esiste una norma che identifichi espressamente la figura dell’abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, anche se, da tempo, si ammette l’esistenza di tale fattispecie, riferendola alle ipotesi di applicazione non corretta del principio maggioritario; più precisamente, tale figura giuridica non tipizzata si estrinseca nell’esercizio del diritto di voto da parte del socio di maggioranza a danno degli altri soci, tramite l’adozione di una delibera assembleare lesiva degli interessi della minoranza, ovvero, in alternativa, in contrasto con l’interesse sociale. Il cosiddetto abuso della regola di maggioranza costituisce una species del ben più ampio genus dell’abuso del diritto, al quale si riconducono tutte quelle ipotesi in cui un comportamento, che formalmente rappresenta l’esercizio di un diritto soggettivo, è sprovvisto di tutela giuridica o comunque illecito in quanto svolto in violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, le quali sono di applicazione generale a tutti i rapporti giuridici obbligatori e, tra questi, anche a quelli derivanti dal contratto di società. Sussiste, infatti, la figura dell’abuso quando la decisione dell’assemblea risulta arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci di maggioranza allo scopo di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero per ledere i diritti del singolo partecipante. [ Continua ]
25 Aprile 2022

Poteri del conservatore e del giudice del Registro delle Imprese

Il conservatore e il giudice del registro esercitano un controllo formale che si appunta sui requisiti formali della domanda (competenza dell’ufficio, provenienza e certezza giuridica della sottoscrizione, riconducibilità dell’atto da iscrivere al tipo legale, legittimazione alla presentazione dell’istanza di iscrizione). Il conservatore non deve limitarsi a ricevere l'atto e a verificare la regolarità e la completezza della domanda sotto il profilo formale, ma deve altresì procedere  alla qualificazione dell'atto presentato per l'iscrizione, onde accertare se sia conforme al modello di atto di cui la legge prevede l'iscrizione. Il conservatore ha la funzione di verificare la compatibilità logica-giuridica, sotto il profilo della continuità, tra le diverse iscrizioni. La verifica della continuità delle iscrizioni e, in particolare, la verifica della compatibilità delle diverse iscrizioni implica (recte: può implicare) anche una attività d'interpretazione sotto il profilo giuridico del contenuto dell’atto o del provvedimento da iscrivere. All’ufficio ed al giudice del registro compete soltanto la formale verifica della corrispondenza tipologica dell'atto da iscrivere a quello previsto dalla legge, senza alcuna possibilità di accertamento in ordine alla validità negoziale dell'atto, poiché tale controllo potrà essere svolto unicamente in sede giurisdizionale. Nelle s.r.l., si deve ritenere che il socio recedente, nel momento in cui manifesta l’intenzione di recedere, accetti, implicitamente ma inequivocabilmente, che le modalità di liquidazione della quota si realizzino secondo lo schema delineato dalla legge, e quindi, in particolare, acconsente a che la partecipazione sia acquistata dagli altri soci o da un terzo; in ultima analisi, la dichiarazione di recesso assume il significato, ulteriore ed implicito, ma oggettivo, certo ed univoco, di assunzione, da parte del recedente, dell’eventuale obbligo di cedere la partecipazione nei confronti di quei soci o di quei soggetti terzi che intendano esercitare il diritto di opzione loro attribuito ex art. 2473 c.c. È ammesso un controllo di legittimità sostanziale limitato alla rilevazione di vizi di validità individuabili prima facie e tali da rendere l'atto presentato immeritevole di iscrizione perché non corrispondente a quello previsto dalla legge. In altre parole, la radicale illiceità dell’atto può venire in rilievo solo se compromette la riconducibilità al tipo giuridico di atto iscrivibile. L’inadempimento, da parte del socio di s.r.l. recedente, dell’obbligo di cooperare al perfezionamento della vicenda traslativa trasferendo la quota ai soci o ai terzi individuati ex art. 2473 c.c. legittima gli altri soci all’esperimento dell’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ai sensi dell’art. 2932 c.c.. [ Continua ]
16 Giugno 2018

Responsabilità di liquidatori e soci di s.r.l. ex art. 2495 ed ex art. 2476 c.c.

Dopo la cancellazione, la responsabilità di soci e liquidatori nei confronti dei creditori sociali insoddisfatti ex art. 2495, comma 2, c.c. assorbe quella ex art. 2476 c.c. [ Continua ]
28 Aprile 2022

Responsabilità degli amministratori e dei sindaci di s.r.l. nel fallimento e criterio di determinazione del danno

Il danno che gli amministratori ed i sindaci sono tenuti a risarcire, in sede fallimentare, quando, al verificarsi di una causa di scioglimento della società, abbiano, rispettivamente, violato o non vigilato sul dovere di non intraprendere nuove operazioni, non s'identifica automaticamente nella differenza tra passivo ed attivo accertati in sede di fallimento, ma può essere commisurato a tale differenza, in mancanza di prova di un maggior pregiudizio, solo se da detta violazione sia dipeso il dissesto economico ed il conseguente fallimento della società. Anche qualora sia stata accertata l'impossibilità di ricostruire i dati con l'analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento degli organi sociali il suaccennato criterio differenziale può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa; ma, in tal caso, è compito del giudice del merito indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta dei convenuti, nonchè la plausibilità logica del ricorso a detto criterio. Non può ragionevolmente sostenersi che il deficit patrimoniale accertato nella procedura fallimentare - nella sua interezza - sia di regola la naturale conseguenza dell'essersi protratta la gestione dell'impresa in assenza delle condizioni che giustificano la continuità aziendale: non sarebbe logicamente corretto nè imputare all'amministratore le perdite patrimoniali che ben potrebbero già essersi verificate in un momento anteriore al manifestarsi della situazione di crisi, nè far gravare su di lui la responsabilità per le ulteriori passività che quasi sempre un'impresa in crisi comunque accumula nella fase di liquidazione. [fattispecie relativa a fatti verificatisi anteriormente all’introduzione del terzo comma dell’art. 2486 c.c., disposta dall’art. 378, comma 2, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14] Nelle cause ex art. 146 l.fall., l'attore, pur non dovendo provare l'inadempimento del convenuto, lo deve quantomeno allegare; e l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento quale che sia, ma ad un inadempimento astrattamente efficiente alla produzione del danno. Grava poi sull'attore l'onere di provare danno e nesso di causalità. Amministratori e sindaci, in sede fallimentare, non sono tenuti a risarcire il danno derivato alla società dall’omesso versamento degli oneri tributari, previdenziali ed assicurativi, ove non sia stata quantomeno allegata la presenza, nel patrimonio della società, dei fondi necessari ad adempiervi. [ Continua ]
29 Dicembre 2018

Esercizio abusivo delle dimissioni da parte di amministratori legati da clausola “simul stabunt, simul cadent”

La revoca degli amministratori non deve essere necessariamente formalizzata in un'esplicita manifestazione di volontà, ma può anche avvenire in modo implicito, come nel caso – ad esempio – in cui venga deliberata una riduzione dei membri del consiglio di amministrazione. ... [ Continua ]
24 Aprile 2022

Responsabilità degli amministratori nel fallimento e determinazione del danno

Nell'azione del curatore fallimentare contro gli amministratori ex art. 146 l. fall. confluiscono tanto l'azione sociale di responsabilità ex art. 2392 ss. c.c., di natura contrattuale, quanto l'azione di responsabilità spettante ai creditori ex art. 2394 c.c., di natura extracontrattuale. ... [ Continua ]
24 Aprile 2022

Responsabilità nel fallimento e decadenza sanzionatoria dei sindaci di s.r.l.

Perché possa imputarsi ai sindaci l'inadempimento degli obblighi di vigilanza ex art. 2407, co. 2, c.c. non occorre individuare specifici comportamenti che si pongano in violazione dello stesso, essendo sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, segnalando all'assemblea le irregolarità riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero ex art. 2409 c.c. La decadenza sanzionatoria dei sindaci per ripetuta assenza ingiustificata alle sedute del Collegio sindacale e del Consiglio di amministrazione ex 2404 e 2405 c.c., richiedendo la verifica dell'insussistenza di una valida causa di giustificazione, non può operare senza un accertamento assembleare (salve spontanee dimissioni dei sindaci stessi). In ciò, essa si distingue dalla decadenza ordinaria ex art. 2399 c.c., che opera invece automaticamente. [ Continua ]
24 Aprile 2022

Postergazione di finanziamenti soci erogati in situazione emergenziale

La circostanza che alcuni finanziamenti siano stati effettuati dai soci, in favore della società, per fronteggiare esigenze urgenti e sopperire all'impossibilità di operare mediante rapporti bancari, a seguito della revoca di tutte le linee di credito, conferma l'impossibilità della società stessa di esercitare normalmente la propria attività, e dunque la necessità di ricorrere a conferimenti di capitale, con la conseguenza che i finanziamenti sono postergabili ex art. 2467 c.c.. [ Continua ]