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Rossana Leggieri

Rossana Leggieri

Avvocato presso Studio De Poli - Venezia; docente Cuoa; curatore speciale e custode per il Tribunale delle Imprese di Venezia

21 Marzo 2024

Effetti della violazione di una clausola di gradimento

L'interesse ad agire richiede non solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire. In particolare, poi, quanto alla legittimazione generale all'azione di nullità, prevista dall'art. 1421 c.c., quest’ultima non esime l'attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse, a norma dell'art. 100 c.p.c., non potendo tale azione essere esercitata per un fine collettivo di attuazione della legge. Il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese; altrimenti, sarebbe impossibile, per la controparte, controdedurre e, per lo stesso giudice, valutare le risultanze probatorie e i documenti ai fini della decisione. [ Continua ]
8 Marzo 2024

Amministratore di comodo e doveri gestori

L’amministratore di società, in forza della mera accettazione dell’incarico, è gravato dagli specifici obblighi contemplati dalla legge o dallo statuto nonché, dal generale dovere di esercitare le proprie funzioni con diligenza e in assenza di conflitto di interessi in vista del perseguimento dell’oggetto sociale. In particolare, l’accettazione del mandato gestorio comporta per l’amministratore l’obbligo di attivarsi affinché i beni e le risorse di pertinenza della società vengano destinati al perseguimento dei fini sociali e non siano in altro modo distratti o distolti. Pertanto, non esclude la responsabilità per mala gestio l’ aver assunto solo “formalmente” la carica di amministratore e di non aver, di fatto, gestito la società; ché, anzi, l’inerzia dell’amministratore di diritto e la circostanza che lo stesso, pur avendo accettato la carica di amministratore unico, abbia omesso le attività - anche di controllo - dovute in ragione della assunzione del mandato gestorio vale di per sé a fondare la responsabilità anche per eventuali sottrazioni o distrazioni di risorse sociali poste in essere da terzi senza l’opposizione del soggetto che, per legge, è gravato dal dovere di preservare l’integrità del patrimonio sociale e la destinazione dello stesso all’attività di impresa. Il cosiddetto amministratore di comodo (o “testa di legno”) non può mai invocare tale sua posizione (di non concreta attività di gestione) per essere ritenuto indenne da responsabilità conseguente ad atti di mala gestio compiuti o, comunque, non impediti dal medesimo. È amministratore di fatto chi, senza valido titolo – ad esempio, per nomina irregolare, per usurpazione dei poteri o per assenza di una formale investitura – gestisce, da solo o anche con l’amministratore formale, la società, esercitando con sistematicità e completezza un potere di fatto corrispondente a quello degli amministratori di diritto. [ Continua ]
7 Marzo 2024

Il bilancio può essere vero e corretto solo se redatto nell’osservanza delle disposizioni codicistiche

Ciò che rileva, al fine di verificare la compromettibilità o meno in arbitri della controversia, non è l’oggetto della delibera o la circostanza che la stessa coinvolga interessi individuali dei singoli soci ovvero interessi di carattere più generale, come quelli posti a tutela della società o della collettività dei soci. Invero, l'area dell'indisponibilità è più ristretta di quella degli interessi genericamente superindividuali e, pertanto, la natura sociale o collettiva dell'interesse non può valere ad escludere la deferibilità della controversia al giudizio degli arbitri, poiché la presenza di tale carattere denota soltanto che l'interesse è sottratto alla volontà individuale dei singoli soci, ma non implica che eguale conseguenza si determini anche rispetto alla volontà collettiva espressa dalla società (o da altro gruppo organizzato) secondo le regole della rispettiva organizzazione interna, la cui finalità è proprio quella di assicurare la realizzazione più soddisfacente dell'interesse comune dei partecipanti. Perché l'interesse possa essere qualificato come indisponibile è necessario che la sua protezione sia assicurata mediante la predisposizione di norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell'ordinamento svincolata da una qualsiasi iniziativa di parte, come, ad esempio, nel caso delle norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio, la cui inosservanza rende la delibera di approvazione illecita e, quindi, nulla. La deliberazione di assemblea di società di capitali con la quale venga approvato un bilancio non chiaro, non veritiero o non corretto (o in violazione delle norme dettate dalle altre disposizioni in materia di bilancio, costituenti espressione dei medesimi precetti) è da ritenersi nulla per illiceità dell’oggetto (art. 2379 c.c.), essendo tali disposizioni poste a tutela di interessi che trascendono i limiti della compagine sociale e riguardano anche i terzi, del pari destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, che il bilancio deve fornire con chiarezza e precisione. In altri termini, un bilancio redatto in violazione dell’art. 2423, co. 2, c.c. è, di per sé, illecito e costituisce, quindi, l’oggetto illecito della deliberazione assembleare che lo abbia approvato; invero, il bilancio di una società di capitali deve considerarsi illecito tanto in ragione della divaricazione fra risultato effettivo dell’esercizio e quello di cui il bilancio dà contezza, quanto in tutti quei casi nei quali dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite con riguardo alle singole poste di cui è richiesta l’iscrizione. Con il principio della chiarezza si è voluto perseguire l’obiettivo di dare agli interessati (soci, terzi, mercato, ecc.) un’adeguata e intellegibile informazione sulla composizione del patrimonio sociale e non solo sui fattori positivi e negativi del reddito; per tale ragione si è ritenuto di imporre l’indicazione analitica delle poste e degli elementi che, complessivamente considerati, conducono ad enucleare il valore globale del patrimonio sociale e del risultato economico del periodo. Con i principi della verità e della correttezza il legislatore ha inteso far sì che il bilancio fornisca una rappresentazione corrispondente alla realtà tanto del risultato economico conseguito nel periodo di riferimento, quanto della consistenza e composizione del patrimonio sociale al termine dell’esercizio. In particolare, il principio di verità attiene sia al contenuto del bilancio, che alla valutazione degli elementi patrimoniali che in esso figurano. E così, sotto il primo profilo, un bilancio può ritenersi vero se comprende tutti o solo gli elementi che compongono il patrimonio dell’impresa alla data considerata, senza alcuna omissione di attività o passività reali o appostazione di attività e passività fittizie. La veridicità e la correttezza, nei termini innanzi indicati, possono e devono essere assicurate mediante l’esatta osservanza delle norme di dettaglio che indicano le voci rilevanti e le condizioni per la relativa appostazione. Ancor più marcato è, poi, il rilievo delle norme di dettaglio in rapporto alla verità e correttezza del bilancio, sotto il profilo della valutazione delle poste. Ed infatti, atteso che diversi possono essere i criteri di valutazione utilizzabili, la verità del bilancio, per i fini prescritti dalla disciplina civilistica, ricorre allorquando le diverse poste siano rappresentate nella stretta osservanza dei criteri di valutazione dettati dal codice civile. In definitiva, dunque, il bilancio può dirsi vero e corretto solo quando venga redatto nell’osservanza delle disposizioni codicistiche – completate ed integrate dai principi contabili – in tema di struttura, forma e contenuto del cennato documento contabile e di criteri di valutazione dei singoli elementi. [ Continua ]
5 Dicembre 2023

Responsabilità di amministratori e liquidatori di s.r.l. nei confronti dei creditori

Ai sensi dell'art. 2476, co. 6, c.c., gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e la relativa azione di responsabilità può essere esperita dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Tale disposizione, al pari dell’art. 2394 c.c. in materia di s.p.a., attribuisce ai creditori sociali di s.r.l., quali soggetti terzi, la legittimazione ad agire nei confronti degli amministratori che, violando i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto, hanno pregiudicato l’integrità ed il valore del patrimonio sociale, impendendo, in tal modo, il soddisfacimento della loro legittima pretesa creditoria. La norma configura un’ipotesi speciale di responsabilità aquiliana che, secondo l’ordinario criterio di riparto dell’onere probatorio, addossa in capo ai creditori sociali che promuovono il giudizio di responsabilità l’onere di provare l'inosservanza da parte dell'amministratore degli obblighi inerenti la conservazione del patrimonio sociale, che tali inadempimenti sono dovuti a dolo o colpa e, infine, che hanno provocato l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali. Una siffatta responsabilità, quindi, presuppone anzitutto il riscontro di un’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori che sia causalmente connessa all’inosservanza, da parte dell’amministratore, degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale. Ad analoga disciplina, inoltre, è soggetta la responsabilità del liquidatore a norma degli artt. 2489 ss. c.c., che può essere fatta valere anche dai creditori rimasti insoddisfatti a seguito della cancellazione della società (art. 2495 c.c.). Sussiste la responsabilità personale illimitata (extracontrattuale) dell’ex liquidatore nei confronti dei creditori sociali insoddisfatti qualora, dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, il terzo leso nei propri diritti creditori verso la società estinta dimostri in giudizio (i) la sussistenza del proprio credito, certo, liquido ed esigibile al tempo della liquidazione; (ii) il danno subìto per effetto del comportamento doloso/colposo dell’ex liquidatore che abbia omesso di effettuare una completa ricognizione dei crediti/debiti sociali esistenti al tempo della liquidazione, con conseguente omessa considerazione del credito che è stato pretermesso e/o nell’aver violato il principio della par condicio creditorum senza tenere in dovuto conto le legittime cause di prelazione oppure effettuando pagamenti preferenziali; nonché (iii) il nesso causale tra il danno lamentato e il comportamento doloso/colposo dell’ex liquidatore nei termini appena indicati. L’ex liquidatore chiamato in causa potrà fornire la prova liberatoria dimostrando che l’insussistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di massa attiva utile a soddisfare il creditore che lamenta la lesione del proprio diritto, non è dipesa da propri comportamenti omissivi/commissivi che abbiano cagionato la lesione della par condicio creditorum e/o pagamenti preferenziali e/o una incompleta ricognizione dei debiti/crediti sociali, di talché non potrà essere ritenuto personalmente responsabile verso il creditore sociale insoddisfatto. [ Continua ]
5 Dicembre 2023

Natura e caratteri del patto leonino

Il patto leonino ricorre allorché gli accordi finalizzati all’esclusione del socio dalle perdite e dagli utili siano stati stipulati dai soci con la società, mentre il patto avente identico contenuto e finalità, ove stipulato inter socios, non è riconducibile nell’alveo del predetto divieto in quanto esso non sarebbe opponibile alla società rimasta ad esso estranea, la quale, per ciò, continuerebbe ad imputare perdite ed utili alle proprie partecipazioni sociali in base agli ordinari criteri e principi, nel rispetto anche del divieto de quo. La ratio che informa il divieto del patto leonino di cui all'art. 2265 c.c., applicabile anche alle società di capitali, consiste nel preservare la purezza della causa societatis, evitando che un socio possa essere escluso dagli utili o dalle perdite; ipotesi questa che contrasta con l'interesse generale alla corretta amministrazione della società, inducendo il socio a disinteressarsi della proficua gestione della stessa, avendo comunque assicurato il guadagno o restando esonerato da ogni possibile perdita. Deve, quindi, trattarsi di un patto finalizzato alla regolamentazione degli assetti ed equilibri societari con conseguenti implicazioni anche di natura organizzativa/gestoria. Il patto leonino è ravvisabile solo in presenza di una esclusione totale e costante dalle perdite e dagli utili e solo quando questa non integri una funzione autonoma meritevole di tutela. L'esclusione dalle perdite o dagli utili, quale situazione assoluta e costante, deve cioè riverberarsi sullo status del socio. Infatti, perché il limite all'autonomia statutaria dell'art. 2265 c.c. sussista è necessario che l'esclusione dalle perdite o dagli utili costituisca una situazione assoluta e costante. Assoluta, perché il dettato normativo parla di esclusione "da ogni" partecipazione agli utili o alle perdite, per cui una partecipazione condizionata (ed alternativa rispetto all'esclusione in relazione al verificarsi, o non della condizione) esulerebbe dalla fattispecie preclusiva. Costante, perché riflette la posizione, lo status, del socio nella compagine sociale, quale delineata nel contratto di società. Detta esclusione deve finire per alterare la causa societaria nei rapporti con l'ente-società, che trasla, quanto al socio interessato da quell'esonero dalla condivisione dell'esito dell'impresa collettiva, da rapporto associativo a rapporto di scambio con l'ente stesso. Il patto parasociale, in forza del quale taluni soci si impegnano ad eseguire prestazioni a beneficio della società, integra la fattispecie del contratto a favore di terzo, ai sensi dell'art. 1411 c.c., del quale sono legittimati a pretendere l'adempimento sia la società, quale terzo beneficiario, sia i soci stipulanti, moralmente ed economicamente interessati a che l'obbligazione sia adempiuta nei confronti della società di cui fanno parte. Una domanda avente ad oggetto l’adempimento di obbligazioni nascenti da patti parasociali coinvolgenti società di capitali, e diretti, in generale, a disciplinare, inter alia, profili di natura organizzativa e gestoria della società partecipata, la circolazione delle relative partecipazioni e, quindi, l’assetto e la struttura della compagine sociale, nonché,  a dotare quest’ultima delle necessarie risorse finanziarie, introduce una controversia, oggettivamente e soggettivamente, riconducibile a quelle per le quali la competenza è, ope legis, riservata, in via esclusiva funzionale ed inderogabile, ratione materiae, alle sezioni specializzate in materia di impresa, in virtù del disposto di cui all’art. 3, lett. c, d.lgs. n. 168/2003, il quale, tra le controversie attribuite alla competenza funzionale ed inderogabile delle sezioni specializzate in materia di impresa, include espressamente quelle “in materia di patti parasociali”. [ Continua ]
19 Dicembre 2023

Prescrizione o decadenza dei conferimenti non versati dal socio alla cooperativa

Il termine di un anno di prescrizione o decadenza, come alternativamente ricostruito dagli interpreti, previsto dall'art. 2536, co. 1, c.c. in relazione al pagamento dei conferimenti non versati dal socio  decorre, per quanto riguarda l’ipotesi del recesso, da quando questo ha avuto esecuzione o meglio dalla data di comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda ex 2532, co. 3, c.c.. [ Continua ]
20 Dicembre 2023

Diritto di recesso del socio di s.a.s. e sua revoca espressa per fatti concludenti

In caso di società in accomandita semplice contratta a tempo determinato, ove non ricorra nessuna delle ipotesi di recesso previste dalla legge o dal contratto sociale, incidendo l’uscita di uno dei soci dalla compagine sociale sul contratto di società modificandolo, per l’efficacia del recesso di un socio è necessario che vi sia il consenso degli altri; consenso che, al pari degli altri casi di modifiche del contratto secondo quanto stabilito dall’art. 2252 c.c., può desumersi anche da fatti concludenti. Nelle società di persone la dichiarazione di recesso è pacificamente ritenuta revocabile, in forza del carattere personalistico di tale tipo societario. Infatti, la non revocabilità del recesso del socio è limitata alle società di capitali e non estensibile alle società di persone, ove la prevalenza del rapporto volontaristico-collaborativo fra i soci comporta che una diversa comune volontà possa essere espressa, nel senso di intendere rinnovata la partecipazione del socio, con revoca della precedente volontà di scioglimento del singolo rapporto sociale, sempre che sussista la concorde volontà di tutti i soci in tal senso, e ciò quantomeno fino a che non si sia proceduto alla liquidazione della quota del socio uscente. La volontà di sciogliersi dal vincolo associativo che non sia seguita da un comportamento conseguente ma che, anzi, veda la prosecuzione del rapporto caratterizzata da una continuità dell’esercizio dei diritti connessi alla partecipazione sociale, perde la sua efficacia per fatti concludenti. [ Continua ]
20 Dicembre 2023

Rapporto sociale e rapporto di scambio tra socio e cooperativa

Il socio di una cooperativa riveste un doppio ruolo: da un lato ha la qualifica di socio con il correlato obbligo di effettuare i conferimenti e di partecipare alla vita della società, dall’altro ha anche la qualifica di parte contrattuale – autonoma ed indipendente dalla cooperativa– nel momento in cui decide di acquisire i beni e i servizi che produce la cooperativa, sulla base di un rapporto di scambio tra socio e cooperativa. Proprio questa doppia posizione del socio della cooperativa (di socio e di autonoma parte contrattuale per gli acquisti dei beni prodotti dalla medesima cooperativa) diventa rilevante nel momento in cui occorre procedere alla liquidazione della quota del socio, liquidazione che si comporrà di due elementi: la liquidazione della quota sociale e la restituzione degli apporti effettuati dal socio come acconto pagamenti per i beni e servizi prodotti dalla cooperativa. In tema di cooperative edilizie deve distinguersi tra il rapporto sociale, di carattere associativo, e quello di scambio, di natura sinallagmatica, rapporti che, pur collegati, hanno causa giuridica autonoma; da ciò discende che il pagamento di una somma, eseguito dal socio a titolo di prenotazione dell’immobile, deve essere ascritto al rapporto di scambio e perciò al pagamento del prezzo d’acquisto, alla cui restituzione la cooperativa è, quindi, tenuta, in caso di scioglimento dal rapporto sociale per esclusione o per recesso, anche in presenza di un disavanzo di bilancio. Nelle cooperative edilizie aventi ad oggetto la costruzione di alloggi e l’assegnazione degli stessi in godimento e in proprietà ai soci, in caso di recesso avvenuto prima dell’assegnazione dell’alloggio prenotato, il socio ha diritto alla restituzione dell’intera somma anticipata in conto di costruzione, in virtù della posizione di creditore verso la cooperativa che il socio ha acquisito. [ Continua ]
4 Dicembre 2023

Esclusione di responsabilità dell’amministratore di S.r.l.

L’azione di responsabilità esercitata da una s.r.l. nei confronti dell’ex amministratore unico, ai sensi dell’art. 2476 c.c., quantomeno nei rapporti con la società ed i soci, ha natura contrattuale e risponde, per ciò, ai canoni e alla disciplina di cui all’art. 1218 c.c. Ai sensi della disposizione da ultimo citata, la presunzione di responsabilità posta, ex lege, a carico del debitore (nella specie, l’amministratore), può essere da quest’ultimo superata dimostrando di aver adempiuto, con la diligenza richiesta, ex art. 1176 c.c., dalla natura dell’obbligazione, ovvero di non avervi potuto adempiere per fatto a lui non imputabile (c.d. prova liberatoria). Con più specifico riferimento agli obblighi inerenti, per legge e statuto, alla carica di amministratore di società di capitali, gravano sull’organo di gestione, in ragione della carica rivestita, tanto il dovere di curare l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, quanto il dovere di agire, a tal fine, in modo informato, nel prioritario interesse della società. Gli amministratori, quindi, devono adempiere ai doveri ai medesimi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze, e, per ciò, essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri. [ Continua ]

Responsabilità da prospetto. Il caso UniPol Assicurazioni

Nelle azioni di risarcimento danni basate sulla falsa rappresentazione in bilancio della situazione dell’emittente, l’investitore deve dimostrare che l’illegittima rappresentazione della situazione patrimoniale ed economica scaturente dal bilancio abbia avuto incidenza determinante nelle proprie scelte di investimento e ciò alla luce anche della valutazione di eventuali segnali di allarme.   Se indubbio è il carattere stringente degli obblighi di informazioni finanziarie corrette e adeguate in capo al sottoscrittore del prospetto, incombe pur sempre sul risparmiatore la prova del nesso causale tra le inesatte e fuorvianti informazioni e le conseguenti scelte di investimento, e ciò proprio in forza della sussunzione della responsabilità nell’alveo dell’illecito aquiliano: nesso causale che può essere costruito in termini positivi per l’investitore sulla scorta di dati univoci, anche presuntivi, sia a livello oggettivo, sia a livello soggettivo.   Non si può aprioristicamente escludere che un investitore retail sia dotato di conoscenze finanziarie talmente sofisticate da poter competere con analisti finanziari e tanto da poter cogliere anche dati non di primo rilievo nell’esame del prospetto; tali elementi, tuttavia, devono essere adeguatamente esplicitati ad opera di chi agisce per il risarcimento del danno derivante da una supposta falsità di prospetto. [ Continua ]