12 Gennaio 2016

Imitazione servile e principio di estraneità del marchio al prodotto

Al fine di accertare l’esistenza dell’imitazione servile e del pericolo di confusione, la comparazione tra i prodotti concorrenti deve essere compiuta non attraverso un esame analitico dei singoli elementi caratterizzanti ma mediante una valutazione sintetica dei medesimi nel loro complesso.
L’imitazione servile va riferita non alla riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo a quella che cade su caratteristiche esteriori idonee, in virtù della loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa.

L’illecito confusorio, il quale è un illecito di pericolo, ricorre quando il comportamento appare idoneo a determinare una possibilità di confusione, sulla base di un giudizio di probabilità formulato in considerazione delle circostanze del caso di specie, senza che vi sia la necessità di provare l’avvenuta confusione.
L’imitazione confusoria, rilevante al fine della concorrenza sleale, cade solo su caratteristiche esteriori, dotate di efficacia individualizzante e quindi idonee a ricollegare il prodotto a una determinata impresa e non rese necessarie dalle caratteristiche funzionali del prodotto.
L’onere probatorio relativo alla capacità distintiva incombe su chi agisce chiedendo l’accertamento della violazione, mentre incombe sul convenuto l’onere di provare la perdita sopravvenuta della capacità distintiva.

In virtù del principio di estraneità del marchio al prodotto, i segni costituiti dalla forma del prodotto non possono essere marchi quando si sostanzino in caratteristiche del prodotto e non costituiscano, invece, segni in grado di distinguere i prodotti di un’impresa da quelli di altra impresa.
L’imitazione di forme con valenza estetica è libera quando esse non siano suscettibili di varianti, avendo l’imitatore l’onere di differenziarsi con le c.d. varianti innocue, cioè mediante quelle varianti che non compromettano il pregio estetico della forma e non richiedano costi anticompetitivi.
La forma di un prodotto può costituire marchio solo se si traduca in segno che possa essere rappresentato graficamente e se sia adatto a distinguere il prodotto di un impresa da quello di altre imprese.

La riproduzione pedissequa di ogni elemento e dettaglio esteriore, arbitrario e capriccioso , connotata dall’essere pantografica, determina un vantaggio concorrenziale, con approfittamento parassitario dei costi d’investimento effettuati dall’inventore, in violazione delle regole della concorrenza.

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Valentina Borgese

Valentina Borgese

Editor – Sezione di Diritto Industriale. Dopo aver conseguito la laurea presso l'Università di Palermo (oggetto della tesi: Le reti d'impresa; relatore Prof. Rosalba Alessi), ha svolto il Tirocinio presso la...(continua)

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