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5 Gennaio 2024

Finanziamenti infragruppo postergati e responsabilità di amministratori e sindaci

Nella situazione in cui la holding, operando già a patrimonio netto negativo e quindi in modo tale da traslare sui propri creditori il rischio delle sue nuove iniziative imprenditoriali, esegue finanziamenti nei confronti di una società controllata operativa a sua volta sull’orlo dell’insolvenza non sono configurabili i cc.dd. vantaggi compensativi che presuppongono l’operatività secondo criteri di economicità di tutte le società del gruppo in modo tale che l’impiego delle risorse a favore di una controllata sia effettivamente compensato nel patrimonio della controllante dal risalire dei proventi dell’attività della controllata operativa in misura tale da assicurare il soddisfacimento anche del suo ceto creditorio. Non valgono, quindi, a configurare vantaggi compensativi per la massa dei creditori della holding che opera a patrimonio netto negativo né la destinazione del finanziamento alla riduzione del passivo della controllata di cui hanno beneficiato solo i suoi creditori, né la liberazione dalle garanzie prestate tramite un’altra società controllata di cui si è avvantaggiata semmai solo la massa dei creditori della controllata garante.

L’art. 2467 c.c. si applica anche ai finanziamenti eseguiti dai soci amministratori di società per azioni.

7 Novembre 2023

Imputazione a riserva degli utili e abuso di maggioranza

L’aspettativa alla distribuzione di utili discende dalla natura stessa del contratto di società, in cui l’esercizio in comune di un’attività economica è attuato precisamente allo scopo di dividerne gli utili, ai sensi dall’art. 2247 c.c.; tuttavia, la dichiarazione di abusività della delibera sulla distribuzione degli utili costituisce una extrema ratio nell’ambito del sistema societario, pena la pretermissione del metodo maggioritario, che del primo rappresenta architrave fondante. L’interesse del socio di società di capitali alla distribuzione di utili deve infatti essere contemperato con l’interesse della società, i cui organi sono liberi di decidere in merito alle scelte fondamentali della vita sociale, qual è la destinazione dei profitti rinvenienti dall’attività caratteristica.
Il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di società impone di sanzionare con l’annullamento la delibera che sia priva di una qualsiasi utilità per la società e che contestualmente arrechi un danno al socio di minoranza, in assenza di una ragione giustificatrice, segno dell’intento deliberato dei soci di maggioranza di ledere i diritti degli altri soci.

Impugnativa di bilancio e non necessaria impugnazione dei bilanci approvati medio tempore. L’interesse della società e il conflitto di interessi del socio

Non è fondata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio, in ragione della mancata impugnazione dei bilanci di esercizio successivi, con conseguente intangibilità dei saldi di tali bilanci, per il principio di continuità dei valori di bilancio, posto che, ai sensi dell’art. 2434 bis, co. 1, c.c., l’impugnazione del bilancio può essere promossa se al momento dell’instaurazione del giudizio non sia stato ancora approvato il bilancio dell’esercizio successivo, a nulla rilevando che, nelle more del giudizio, siano stati approvati i bilanci degli anni successivi, e ciò in ragione del fatto che la durata del processo non può ripercuotersi negativamente a scapito di colui che ha proposto l’impugnazione tempestivamente.

Il conflitto di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione, sia essa una delibera dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione; in dette ipotesi, infatti, l’invalidità dell’atto è subordinata non solo al fatto che il voto determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria per l’approvazione della delibera sia espressione del soggetto in capo al quale si configura una situazione di conflitto d’interessi, ma anche alla condizione che tale delibera possa recare alla società un danno, seppur in via solo potenziale. Ai fini dell’annullamento della delibera per conflitto di interessi è essenziale che essa sia idonea a ledere l’interesse sociale, inteso come l’insieme di quegli interessi che sono comuni ai soci, in quanto parti del contratto di società, e che concernono la produzione del lucro, la massimizzazione del profitto sociale (ovverosia del valore globale delle azioni o delle quote), il controllo della gestione dell’attività sociale, la distribuzione dell’utile, l’alienabilità della propria partecipazione sociale e la determinazione della durata del proprio investimento. Si ha conflitto di interessi rilevante quale causa di annullabilità delle delibere assembleari quando vi è un conflitto tra un interesse non sociale e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili al contratto di società.

Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili. Identica ratio si rinviene nel caso di censura dell’approvazione del bilancio d’esercizio da parte del socio amministratore unico in conflitto di interessi ex art. 2479 ter, co. 2, c.c.

28 Luglio 2023

Cessazione della materia del contendere e nel giudizio d’impugnazione del bilancio di società cooperativa

La cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronuncia giudiziale, può configurarsi solo quando, nel corso del processo, sopravvenga una situazione che elimini completamente e in tutti i suoi aspetti la posizione di contrasto tra le parti, facendo in tal modo venir meno del tutto la necessità di una decisione sulla domanda quale originariamente proposta in giudizio ed escludendo così sotto ogni profilo l’interesse delle parti ad ottenere l’accertamento, positivo o negativo, del diritto, o di alcuno dei diritti inizialmente dedotti in causa. La cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, che deve avvenire facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale. 

La rilevanza probatoria delle scritture contabili

A norma dell’art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione – senza distinguere i libri obbligatori per legge e quelli richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa da quelli meramente facoltativi – fanno sempre prova contro l’imprenditore, mentre per valere a suo favore occorre che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 2710 c.c., ossia: (i) che siano regolarmente tenuti, nonché bollati e vidimati; (ii) che riguardino rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa; (iii) che si facciano valere in una controversia con un altro imprenditore. Le risultanze delle annotazioni contabili fanno sorgere una presunzione iuris tantum contraria all’imprenditore, poiché egli può liberamente contrastare le proprie registrazioni con qualunque mezzo di prova. Ed invero, l’art. 2709 c.c., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest’ultimo; pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio, e il relativo apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se sufficientemente motivato.

Il medesimo principio vale anche per l’utilizzabilità delle scritture contabili a favore dell’imprenditore nei rapporti con l’altro imprenditore inerenti all’esercizio dell’impresa, la cui efficacia probatoria, non avendo esse valore di prova legale, è rimessa dall’art. 2710 c.c. al libero apprezzamento del giudice di merito.

Possiedono l’efficacia probatoria di cui all’art. 2709 c.c. anche i bilanci delle società per azioni, redatti ed approvati conformemente agli artt. 2423-2435 c.c., i quali quindi possono costituire utile prova delle obbligazioni sociali. Ne consegue che la prova che il bilancio di una società di capitali, regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fornisce in ordine ai debiti della società medesima, è affidata alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.

23 Dicembre 2022

Vizi della relazione sulla gestione e invalidità del bilancio

La previsione della seconda convocazione rinviene la sua ratio nel favor deliberationis sotteso alla eliminazione del quorum costitutivo previsto per la prima (art. 2369, co. 3, c.c.). In tanto l’assemblea in seconda convocazione potrà svolgersi, in quanto quella in prima convocazione, regolarmente costituita, si sia svolta. Il mancato svolgimento della prima assemblea – trattandosi di fatto negativo – può essere provato in ogni modo, ma in primis, certamente, provando che l’assemblea in prima convocazione si è correttamente costituita. La delibera assembleare societaria, assunta in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata inesistente, in quanto essa possiede tutti gli elementi per essere riconducibili al modello legale delle deliberazioni assembleari e pone solo problemi di validità legati all’accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione (di seconda convocazione).

La violazione dei canoni di cui all’art. 2423, co. 2, c.c. comporta l’illiceità della delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione di norme imperative in materia contabile. Nondimeno, la nullità della delibera può essere rilevata solo nella misura in cui: (i) la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo d’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza; oppure (ii) in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

La relazione sulla gestione di cui all’art. 2428 c.c. ha una funzione di illustrazione ampiamente valutativa della situazione economico/gestionale della società e non è oggetto di delibera assembleare in quanto non propriamente parte del bilancio d’esercizio. Tuttavia, i vizi informativi che affliggono la relazione sulla gestione possono determinare la nullità della deliberazione nella misura in cui siano tali da rendere non chiaramente intellegibile o addirittura da falsare sul punto il bilancio. In particolare, se i vizi sono collegati a mancanze non connesse ai dati di bilancio, questi possono determinare solo la annullabilità del bilancio o la nullità dell’allegato; se i vizi invece sono connessi ad informazioni direttamente collegabili a dati contenuti nel bilancio d’esercizio, questi comportano la nullità della delibera assembleare di approvazione del bilancio se ed in quanto la loro capacità decettiva sia tale da inficiare chiarezza, correttezza e veridicità delle corrispondenti voci di bilancio.

30 Novembre 2022

Non compromettibilità in arbitri delle controversie sulla violazione dei principi di redazione di bilancio

Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, in quanto le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti con cui la società entra in contatto, trascendono l’interesse del singolo ed attengono a diritti indisponibili, sicché devono essere decise dal giudice.

Nel caso di impugnazione del bilancio ad opera del socio per nullità derivante dalla violazione del precetto di cui all’art. 2423, co. 2, c.c. è sempre necessario che lo stesso indichi quale sia il suo interesse ad agire ovvero quale diritto si assume leso, posto che detta condizione dell’azione non può essere integrata dal generico interesse alla legalità della delibera.

24 Novembre 2022

Sulla mancata appostazione di fondo rischi

La valutazione quanto al “rischio” di effettiva sussistenza di passività non ancora determinate al momento di chiusura dell’esercizio consiste (non nel rilievo di una vicenda gestoria oggettivamente già conclusa ma) nell’apprezzamento ex ante delle probabilità/possibilità di evoluzione di una situazione: la correttezza di tale apprezzamento – spettante in primis all’organo amministrativo quale redattore della bozza di bilancio e poi all’assemblea dei soci all’atto dell’approvazione del documento contabile – non è dunque ancorata a dati oggettivi, ma va rapportata ai canoni generali di prudenza e ragionevolezza che presiedono alla redazione del bilancio, la sola violazione dei quali può portare a far ritenere scorretta la valutazione e, conseguentemente, inficiato il bilancio da carenze quanto all’appostazione di fondo rischi e, quindi, contrastante anche con il principio di verità.

Legittimazione del terzo a impugnare il bilancio e responsabilità degli amministratori di s.r.l.

L’interesse del terzo creditore sociale all’impugnazione del bilancio per nullità non sussiste soltanto nel caso di stipulazione di un contratto per errore di fatto sulla situazione economica e finanziaria determinato da oscura o non veritiera rappresentazione della stessa nel bilancio. L’interesse ad agire in tal senso deve ravvisarsi ogniqualvolta dalla rettificazione del bilancio, conseguente all’accertamento della sua nullità, possano derivare conseguenze di rilievo sul piano giuridico. In particolare, ciò accade quando una corretta redazione del bilancio avrebbe generato la verificazione di una situazione di scioglimento della società, con conseguente applicazione della regola di cui al primo comma dell’art. 2486 c.c., in forza del quale gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

Non trova applicazione il disposto di cui all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., a norma del quale le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, ove sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice la nullità della deliberazione per illiceità dell’oggetto, tale dovendo ritenersi quella di approvazione di un bilancio non chiaro o non veritiero. Infatti, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita la delibera di approvazione e, quindi, nulla. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dall’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente.

La norma di cui all’art. 2467 c.c. non si applica ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori all’entrata in vigore di tale disposizione (1 gennaio 2004).

In tema di società di capitali, le dazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale), sicché l’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio tali dazioni, né di mutare la voce relativa, successivamente all’iscrizione originaria, dovendo quest’ultima rispecchiare l’effettiva natura e la causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nell’interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito.

Gli amministratori della società sono liberi di decidere per la resistenza in giudizio pur a fronte di contestazioni della controparte, ma devono nel contempo prefigurarsi come possibile l’esito negativo della vertenza e mettere in conto i relativi maggiori costi, di ciò dando la dovuta evidenza in bilancio, e richiedere alla proprietà la ricapitalizzazione della società che ne garantisca la solvibilità anche a fronte dei rischi correlati al contenzioso in atto. Ciò vale anche nei confronti degli amministratori che non siano stati parte in giudizio.

In tema di azione di responsabilità per violazione del divieto di concorrenza ex art. 2390, co. 1, c.c. l’attività concorrenziale potrebbe risultare di rilievo per il terzo creditore della società soltanto nel caso in cui ne sia derivato un depauperamento della consistenza patrimoniale di quest’ultima.