hai cercato per tag: curatela-fallimentare - 13 risultati
17 Aprile 2023

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. e la relativa disciplina della prescrizione

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma – quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali –, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti. Ne discende che la mancata specificazione del titolo nella domanda giudiziale, lungi dal determinare la sua nullità per indeterminatezza, fa presumere, in assenza di un contenuto anche implicitamente diretto a far valere una sola delle azioni, che il curatore abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni. Tale principio è riferibile sia alle s.p.a., che alle s.r.l.

L’autonomia delle azioni ha ricadute in punto di disciplina della prescrizione e del riparto dell’onere della prova. Il termine di prescrizione per entrambe le azioni, quella sociale di natura contrattuale e quella verso i creditori sociali, è di 5 anni ex art. 2949, rispettivamente co. 1 e 2, c.c. L’art. 2941, n. 7, c.c. stabilisce la sospensione della prescrizione tra le persone giuridiche, la s.r.l., e l’amministratore finché è in carica. La norma si riferisce, come risulta espressamente dal suo tenore letterale, al pari dell’art 2393, co. 4, c.c., alla sola azione di responsabilità sociale, cioè a quella che può esercitare la società verso il suo ex amministratore.

L’azione di responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali che abbiano compromesso l’integrità del patrimonio sociale, anche violando il disposto dell’art 2486, co. 1, c.c., può essere proposta dai creditori e dal solo curatore fallimentare ai sensi dell’art 146 l.f. dopo l’apertura della procedura, sul presupposto che il patrimonio sia divenuto insufficiente al soddisfacimento dei crediti, situazione che ricorre quando la società presenta un attivo che, raffrontato ai debiti, non consente il loro integrale soddisfacimento. Il termine di prescrizione di questa azione decorre quindi quando l’attivo si sia palesato esternamente alla società e in modo oggettivamente percepibile dai creditori come inidoneo a soddisfare i crediti sociali; in ragion dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria di una diversa data, anteriore, di insorgenza e percepibilità dello stato di incapienza patrimoniale con deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

Ai sensi dell’art. 2486, co. 1, c.c., al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all’art. 2487 bis c.c., gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale; per configurare la responsabilità verso i creditori occorre accertare che l’amministratore non solo non ha provveduto a constatare la causa di scioglimento e a proporre la liquidazione, ma che ha proseguito l’attività di impresa non con finalità meramente conservative, perché è questa condotta che può determinare un aggravio del dissesto in cui già la società si trova e di tale aggravio del dissesto può ritenersi responsabile l’amministratore.

13 Luglio 2022

Mala gestio per pagamenti per cassa non quietanzati

Nel contesto dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore, il pagamento di debiti verso fornitori ‘per cassa’ senza il rilascio di quietanze rappresenta comportamento dannoso dell’amministratore, non trattandosi soltanto di una pratica censurabile dal punto di vista fiscale, ma concretamente dannosa per la società.

17 Dicembre 2019

Esperimento unitario da parte del curatore fallimentare dell’azione sociale di responsabilità e di quella riconosciuta al ceto creditorio

Sia l’azione sociale di responsabilità, sia quella (di cui all’art. 2394 del codice civile, per le società per azioni, e all’art. 2476, comma 6, del codice civile, per le società a responsabilità limitata) riconosciuta al ceto creditorio – rappresentato, post fallimento, dal curatore – nei confronti degli amministratori per inosservanza degli obblighi su di essi incombenti in vista della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, possono essere esperite unitariamente dalla curatela fallimentare, ma non per questo motivo perdono le rispettive distinzioni quanto a presupposti e termini prescrizionali, ben potendo, in particolare, essere prescritta l’una ma non anche l’altra.

8 Novembre 2019

Sul rimborso del finanziamento concesso alla società in crisi dal socio-amministratore

In un giudizio avente ad oggetto la responsabilità risarcitoria dell’amministratore-socio di una S.r.l., nei confronti della massa dei creditori, costituisce fonte di responsabilità per violazione dei doveri di diligenza il preventivo rimborso dei finanziamenti concessi dallo stesso amministratore in violazione del disposto dell’art.2467 c.c., che impone la postergazione del rimborso dei finanziamenti rispetto alla soddisfazione degli altri creditori.

 

16 Luglio 2019

L’onere probatorio in materia di condotte distrattive e la determinazione del danno risarcibile

Nella procedura di fallimento l’onere probatorio della curatela si arresta alla prova della esistenza della somma e del suo mancato ritrovamento o della mancata consegna al momento del fallimento. Pertanto, a fronte di uno specifico addebito di distrazione, l’onere di dimostrare che le somme siano state destinate al pagamento dei lavoratori non può che ricadere sul convenuto amministratore della società fallita.

Per quanto riguarda l’addebito di prosecuzione illegittima dell’impresa, in presenza di uno stato passivo che cristallizza l’esposizione debitoria della fallita ed in presenza di parte delle scritture contabili, il danno risarcibile non può essere desunto aprioristicamente da un criterio equitativo, come è la differenza tra l’attivo ed il passivo o la differenza dei patrimoni netti.

Responsabilità degli amministratori per mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili e danno risarcibile

Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato all’evidenza, non già dalla misura del “falso”, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi di sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

Il danno oggi non viene più dunque automaticamente identificato nella differenza tra attivo e passivo fallimentare, a meno che non si dimostri che il dissesto economico della società e il conseguente fallimento si siano verificati per fatto imputabile agli amministratori.

Non è sufficiente, ai fini della configurabilità della responsabilità degli amministratori, addurre che l’evento dannoso è pari al disavanzo fallimentare, bensì occorre dimostrare non solo la specifica violazione dei doveri imposti dalla legge ma anche la correlazione tra tali violazioni e il pregiudizio arrecato alla società. In altri termini, il danno arrecato dagli amministratori responsabili di violazioni della legge e dello statuto va “debitamente provato e quantificato in relazione al concreto pregiudizio arrecato da ciascun atto di mala gestio”.

Responsabilità degli amministratori e mancato passaggio di consegne “formale” con il liquidatore

Nel quadro dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, può ascriversi agli amministratori la violazione del disposto di cui all’art. 2487-bis, c. 3, c.c. derivante dal mancato deposito presso il Tribunale della contabilità sociale riferita agli anni ante liquidazione, laddove gli stessi amministratori non abbiano provveduto a redigere un formale passaggio di consegne che certifichi la transizione della gestione della società in capo al liquidatore.

18 Dicembre 2018

Competenza in materia di risoluzione contrattuale ex art. 72, quinto comma, l. fall.

Non può essere valutata in via autonoma – ed è quindi improcedibile – la domanda di  risoluzione del contratto che implica dirette conseguenze, negative per la massa fallimentare, sulla titolarità del marchio e, dunque, sul trasferimento a favore del suo titolare e a danno della convenuta nonché, a valle, sul [ LEGGI TUTTO ]

22 Marzo 2018

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore e la quantificazione del danno

Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Pertanto, il legislatore, con riferimento alle s.r.l., ha adottato lo stesso criterio utilizzato per le s.p.a., secondo cui chi ha la gestione sociale è tenuto, nell’ambito dell’obbligazione di mezzi assunta nei confronti della società, al rispetto delle regole di buona e corretta amministrazione stabilite dalla legge e dall’atto costitutivo, la cui violazione, se produttiva di danni, può costituire fonte di responsabilità. L’art. 2476 c.c. non prevede espressamente, come nella s.p.a. (art. 2392, co. 1, c.c.) il criterio della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze dell’amministratore cui il medesimo deve uniformarsi nell’espletamento dell’incarico. Si deve ritenere applicabile il criterio generale dell’esercizio di un’attività professionale rinvenibile, in ogni caso, nella disciplina in materia di obbligazioni negli artt. 1176 e 1710 c.c., per il quale la diligenza deve valutarsi con riferimento alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, co. 2, c.c.). Inoltre, a mente del vigente art. 2489 c.c. ai principi della diligenza e della professionalità richiesta dalla natura dell’incarico devono uniformare il loro operato i liquidatori anche della s.r.l., non si vede per quale motivo gli amministratori della s.r.l. dovrebbero poterne essere svincolati. Riguardo ai criteri di attribuzione della responsabilità, analogamente a quanto previsto in materia di s.p.a., l’amministratore è esonerato dalla responsabilità, allorquando dimostri di essere esente da colpa. La responsabilità, di natura contrattuale stante il rapporto che lega l’amministratore alla società, comporta che l’attore ha esclusivamente l’onere di provare la violazione addebitata, mentre chi subisce l’azione, per essere esonerato dalla responsabilità, deve dimostrare di essere immune da colpa in relazione alle violazioni contestate.

Anche nel caso in cui le azioni previste dagli artt. 2476 e 2394 c.c. vengano esercitate nell’ambito di una procedura concorsuale, il curatore che agisce per far valere la responsabilità dell’amministratore ha l’onere di dedurre specifici inadempimenti o inosservanze, non potendo limitarsi ad una generica deduzione dell’illegittimità dell’intera condotta ovvero alla mera doglianza afferente i risultati negativi delle scelte gestorie. L’amministratore, che pure si sia reso responsabile di condotte di mala gestio, può essere chiamato a rispondere dei soli pregiudizi che siano conseguenza diretta delle condotte e omissioni al medesimo addebitabili, essendo onere della parte istante allegare in maniera specifica e provare, nell’an e nel quantum, i cennati pregiudizi.

Anche nel caso di omessa o irregolare tenuta della contabilità sociale, il curatore non può, per ciò solo, invocare il criterio della differenza tra l’attivo ed il passivo per la determinazione del ristoro dovuto dai preposti alla gestione della società ed alle attività di controllo, sottraendosi all’onere di allegazione specifica e di prova dei danni in concreto sofferti e dello stretto vincolo eziologico tra i pregiudizi lamentati e gli illeciti addebitati.