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5 Ottobre 2023

Azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare: questioni processuali

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. per le s.p.a. e dall’art. 2476, co. 3 e 6, c.c. per le s.r.l., a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in  relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma – quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali -, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi e indipendenti, con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe, sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione e dei limiti al risarcimento ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

L’azione sociale, intrapresa ai sensi dell’art. 2476, co. 3, c.c., mira a far valere la  responsabilità degli amministratori per quelle violazioni dei loro doveri che abbiano cagionato un pregiudizio patrimoniale alla società. Questi, infatti, sono chiamati ad adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, esponendosi a responsabilità per i danni derivanti dall’inosservanza dei cennati doveri. L’inadempimento degli amministratori ai loro obblighi può essere fatto valere direttamente dalla società sicché in ipotesi di esercizio della predetta azione nel caso di fallimento, la sostituzione del curatore alla società fallita è una manifestazione specifica del generale effetto per cui il curatore, ai sensi dell’art. 43 l. fall. sta in giudizio nelle controversie relative ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento.

L’insufficienza patrimoniale – cui si ricollega la responsabilità degli amministratori e dei sindaci della società verso i creditori – deve essere individuata nell’eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa, ovverossia in una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, risulti insufficiente al soddisfacimento di questi ultimi. Essa va distinta dall’eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest’ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall’importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. L’insufficienza patrimoniale è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, definita dall’art. 5 l. fall. come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, così come potrebbe accadere l’opposto, vale a dire che l’impresa possa presentare una eccedenza del passivo sull’attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste (per esempio ricorrendo ad ulteriore indebitamento).

Il criterio dello sbilancio fallimentare può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio in ragione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore; o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza. Il giudice non può pervenire in via automatica ad una liquidazione equitativa del danno secondo tale criterio, ma unicamente laddove il curatore, dopo aver allegato gli inadempimenti dell’amministratore almeno astrattamente idonei a porsi come causa del danno lamentato, indichi le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

21 Giugno 2023

Sull’azione di responsabilità degli amministratori di s.r.l. nel fallimento

Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo ovvero per non avere osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, come previsto dall’art. 2392 c.c. sulla responsabilità degli amministratori della s.p.a., applicabile ex art. 12 disp. prel. al c.c. anche alle s.r.l.

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino un’enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, spetta all’attore allegare l’inadempimento ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dell’amministratore contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

In mancanza del deposito dei bilanci e della tenuta delle scritture contabili obbligatorie i danni devono essere liquidati nella misura pari alla differenza tra attivo e passivo (c.d. deficit fallimentare), secondo il criterio equitativo già invalso nella giurisprudenza di legittimità e oggi codificato all’art. 2486, co. 3, seconda parte, c.c.

29 Maggio 2023

Gli amministratori devono monitorare le condizioni patrimoniali della società. L’art. 2486, co. 3, c.c. è applicabile a condotte anteriori al 2019

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore nella parte in cui persegue gli interessi del ceto creditorio deve inquadrarsi nel regime della responsabilità extracontrattuale, mentre in quella in cui persegue gli interessi della società fallita soggiaccia, invece, al regime della responsabilità contrattuale. Ne consegue che il curatore, quale rappresentante della massa creditoria, risulta gravato della prova della condotta degli amministratori asseritamente lesiva dell’integrità del patrimonio sociale. Al contrario, quale soggetto legittimato ad agire nell’interesse della società fallita, il medesimo soggiace al regime di riparto degli oneri di allegazione e prova invalso in tema di azioni contrattuali, in forza del quale – fermi a carico dell’attore gli oneri della prova del danno e del nesso causale con l’inadempimento – incombono sulla parte asserita creditrice unicamente la prova del titolo della pretesa creditoria azionata e l’allegazione dell’inadempimento ex adverso perpetrato. Con l’ulteriore precisazione per cui, peraltro, al cospetto dell’allegazione non già dell’inadempimento rispetto a un individuato dovere previsto dalla legge o dallo statuto, bensì, più ampiamente, della violazione di un’obbligazione c.d. di mezzi – qual è il generale dovere di diligenza nell’espletamento dell’incarico gestorio gravante sull’amministratore ex art. 2392 c.c. (dettato per le s.p.a., ma da ritenersi enunciativo di principi estensibili alle s.r.l.): – l’onere di allegazione dell’inadempimento dovrà sostanziarsi nella specifica indicazione dei singoli inadempimenti cc.dd. qualificati, intesi come astrattamente idonei a ingenerare il danno in concreto lamentato; – l’onere della prova del titolo imporrà la dimostrazione della ricorrenza in concreto dei presupposti di insorgenza delle specifiche obbligazioni qualificate asseritamente inadempiute, ossia degli elementi di contesto da cui desumere la violazione di quei doveri.

L’erronea redazione di scritture contabili non costituisce, di per sé, una causa di danno, giacché la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, ma non li determina, ed è da quegli accadimenti, e non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità, che deriva la perdita patrimoniale; di conseguenza, salva l’ipotesi che dalle singole violazioni od omissioni contabili derivino specifiche voci di pregiudizio per il patrimonio sociale, la violazione di obblighi contabili o amministrativi e, in particolare, l’irregolarità contabile, in sé e per sé considerati, non rappresentano condotte idonee a determinare una responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori nei confronti della società, ove non si alleghi e dimostri che esse sono state causa di violazioni produttive di un danno alla società, tale danno non potendosi comunque mai identificare tout court nel complessivo ammontare della perdita patrimoniale del periodo di gestione.

All’indomani del verificarsi di una causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato alla realizzazione dello scopo sociale, sicché gli amministratori non possono più utilizzarlo a tale fine, ma sono abilitati a compiere soltanto gli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando agli stessi inibito il compimento di nuovi atti di impresa suscettibili di porre a rischio, da un lato, il diritto dei creditori della società a trovare soddisfacimento sul patrimonio sociale, e, dall’altro, il diritto dei soci a una quota, proporzionale alla partecipazione societaria di ciascuno, del residuo attivo della liquidazione. Devono essere qualificate come nuove operazioni vietate tutti quei rapporti giuridici che, svincolati dalle necessità inerenti alle liquidazioni delle attività sociali – in quanto il patrimonio sociale diviene finalizzato alla garanzia dei creditori – siano costituiti dagli amministratori per il conseguimento di un utile sociale e per finalità diverse da quelle di mera liquidazione della società.

Posto che le condizioni di cui all’art. 2482 bis c.c. possono verificarsi, e normalmente si verificano, non già al termine dell’esercizio, bensì nel corso di esso, gli amministratori sono ritenuti obbligati a monitorare la consistenza del patrimonio sociale anche nei periodi infra-esercizio, in ragione del livello di diligenza minimo cui sono tenuti; diligenza che impone loro, proprio allorquando il patrimonio netto stia per raggiungere i minimi di legge, o addirittura subisca oscillazioni tali da condurlo a un valore negativo, di effettuare controlli più frequenti ed accurati.

La conoscenza del verificarsi di una causa di scioglimento costituisce oggetto di una presunzione connaturata alla posizione rivestita dagli amministratori nell’organizzazione societaria.

I criteri liquidatori di cui all’art. 2486, co. 3, c.c. ben possono essere applicati anche per la liquidazione di danni consequenziali a fatti verificatisi anteriormente alla relativa entrata in vigore, poiché, da una parte, l’art. 2486 c.c., lungi dall’avere modificato la nozione di danno da indebita prosecuzione societaria, si è limitato a positivizzarne i criteri di liquidazione alla luce del previgente diritto vivente e, dall’altra, fino alla liquidazione del danno non possono considerarsi esauriti gli effetti della condotta illecita.

26 Maggio 2023

Responsabilità dell’amministratore per mancata tenuta delle scritture contabili e mancato assolvimento degli adempimenti fiscali

La contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina; sicchè dalla irregolare tenuta non può discendere ex se un danno idoneo a dar luogo a responsabilità risarcitoria da parte dell’amministratore nei confronti della società.

La mancata presentazione ai competenti uffici dell’erario delle prescritte dichiarazioni fiscali, con conseguente esposizione debitoria della società nei confronti dell’erario per imposte evase, contributi, sanzioni ed interessi, costituisce un’inadempimento fonte di responsabilità in capo all’amministratore. Non giova all’amministratore dedurre di essersi affidato per tale adempimento ad un consulente esterno, non essendo l’amministratore esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati.

In caso di violazione degli obblighi specifici derivanti dall’atto costitutivo o dalla legge, la responsabilità degli amministratori di una società può essere esclusa solo nel caso, previsto dall’art. 1218 c.c., in cui l’inadempimento sia dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata né superata con la diligenza richiesta al debitore. Laddove gli amministratori adducono a propria discolpa la presenza di una crisi di liquidità, hanno l’onere di fornirne la prova, nonché di dimostrare di essersi adoperati per porvi rimedio, convocando l’assemblea per deliberare l’aumento del capitale sociale o, altrimenti, per proporre la liquidazione della società.

Poiché il debito risarcitorio ex art. 2393 c.c. ha natura di debito di valore – come tale sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione – ancorché il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare del danno, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo, al fallimento spetta anche (art. 1223 c.c.) il ristoro per il mancato godimento delle somme liquidate, da calcolare applicando sulla somma predetta, rivalutata annualmente (fino alla data della sentenza), gli interessi al tasso legale a decorrere dalla data del fallimento e fino alla pronuncia.

22 Maggio 2023

L’azione di responsabilità della curatela e i doveri degli amministratori

Ai sensi dell’art. 2476 c.c. gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo ovvero per non avere osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, come previsto dall’art. 2392 c.c. sulla responsabilità degli amministratori della s.p.a., applicabile ex art. 12 disp. prel. al c.c. anche alla s.r.l.

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

Nei casi di azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità che sarebbe stata esperibile dalla medesima società, se ancora in bonis, nei confronti dei propri amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c. (o 2476 c.c. per le s.r.l.), sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice (2476, co. 6, c.c. per le s.r.l.). L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale; dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, spetta all’attore allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dell’amministratore contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

Per quanto riguarda il criterio liquidativo del danno, in caso di totale assenza delle scritture contabili e dei bilanci, è legittimo l’utilizzo del criterio del c.d. deficit fallimentare secondo cui il danno viene liquidato, in via equitativa, nella misura pari alla differenza tra attivo e passivo del fallimento.

17 Aprile 2023

Sulla natura dell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare

Nell’ipotesi in cui la procedura agisca in giudizio ai sensi dell’art. 146 l.fall. la responsabilità fatta valere in giudizio in ragione dei medesimi fatti gestori deve reputarsi fondata sia sul titolo di responsabilità contrattuale, sia sul titolo di responsabilità extracontrattuale, esercitando il curatore contestualmente l’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. e l’azione dei creditori ex art. 2394 c.c.

28 Febbraio 2023

Azione di responsabilità del curatore verso gli amministratori: diligenza dovuta e onere della prova

La mala gestio degli amministratori deve essere valutata sulla scorta del criterio della diligenza dovuta dal mandatario, anche indipendentemente dalla violazione di specifiche disposizioni di legge o di singole clausole statutarie. Ne consegue che il profilo della violazione deve essere valutato alla stregua del parametro della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi alla operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite altrimenti prevedibili.

Grava sul curatore l’onere di fornire la prova della ricorrenza di quelle condotte che denotano l’inosservanza del dovere di diligenza, oltre che l’onere della prova dell’esistenza del danno, del suo ammontare e della riconducibilità dello stesso al comportamento illegittimo dell’amministratore; grava, per contro, sul convenuto l’onere di riscontrare la non ascrivibilità dell’evento dannoso alla propria condotta, mediante la prova dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti dalla legge.

Il mancato rinvenimento delle scritture contabili o comunque la non regolare tenuta della contabilità potrebbe giustificare, ma non con modalità automatiche, la conseguenza che gli amministratori possano rispondere della differenza tra l’attivo e il passivo accertato in sede fallimentare, dovendosi verificare se non sia possibile individuare lo specifico danno causalmente riconducibile alle violazioni dai medesimi posti in essere nella gestione dell’ente. Una volta precisato se la mancanza o la irregolare tenuta delle scritture contabili renda difficile per il curatore la quantificazione e una prova precisa del danno riconducibile agli inadempimenti accertati in capo all’amministratore, è consentito allo stesso invocare a proprio vantaggio la disposizione dell’art. 1226 c.c. richiedendo al giudice di provvedere alla quantificazione del danno operando riferimento, in via equitativa, allo sbilancio patrimoniale della società quale registrato nell’ambito della procedura concorsuale, purché siano indicate in tali ipotesi le ragioni che rendono plausibile il ricorso a detto criterio avuto riguardo alle specifiche circostanze del cose concreto.

14 Febbraio 2023

Azione unitaria ex art. 146 l.fall. proposta dal curatore e onere della prova

Dopo il fallimento della società le azioni di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono nell’unica azione prevista dall’art. 146 l.fall., al cui esercizio è esclusivamente legittimato il curatore fallimentare. Tuttavia, la legittimazione del curatore non fa mutare la natura e i regimi probatori delle due azioni: l’azione sociale conserva natura contrattuale e, quindi, grava sull’attore (società o curatela fallimentare) il solo onere di dimostrare le violazione di legge, dell’atto costitutivo o del generale obbligo di diligenza (presumendosi l’inadempimento colposo) e da parte degli amministratori, il nesso causale tra violazione e danno lamentato, mentre incombe sull’amministratore convenuto l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso; l’azione dei creditori sociali, mantiene natura extracontrattuale e presuppone un comportamento dell’amministratore causativo di una diminuzione del patrimonio sociale , con conseguente diritto dell’attore (creditore sociale o curatore) di ottenere l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di adempiere.

Qualora il curatore agisca in giudizio per far valere la responsabilità dell’organo amministrativo per violazione degli obblighi derivanti dalla perdita del capitale sociale, deve allegare l’inadempimento dell’amministratore astrattamente idonee a cagionare il danno lamentato, indicando le ragioni che hanno impedito lo specifico accertamento degli effetti dannosi e non potendo applicarsi il criterio  della differenza tra passivo accertato e attivo fallimentare sempre e in via automatica, utilizzabile come parametro per una valutazione equitativa. Ove sia allegata la prosecuzione dell’attività nonostante l’erosione del capitale sociale, il curatore deve poi provare, anche mediante il ricorso a presunzioni, che le scelte di assunzione di nuovo rischio sono state adottate al di fuori di una logica meramente conservativa. Anche in questo caso è ammissibile la liquidazione del danno in via equitativa secondo il criterio dei netti patrimoniali, fermo tuttavia che non tutta la perdita riscontrata dopo la causa di scioglimento illegittimamente non rilevata può non essere integralmente riferita alla prosecuzione dell’attività, potendo prodursi anche in pendenza di liquidazione o fallimento.

9 Novembre 2022

Responsabilità dei precedenti amministratori di una cooperativa edilizia in l.c.a. per indebita prosecuzione dell’attività

A fronte di una contabilità inattendibile non può utilizzarsi ai fini della quantificazione del danno il criterio prevalente della c.d. perdita incrementale, bensì va applicato quello residuale della differenza tra attivo e passivo fallimentare. Infatti, quando la mancanza di scritture contabili o l’inattendibilità delle stesse, addebitabile all’amministratore, impedisca di ricostruire con l’analiticità necessaria quale sia stato l’effettivo andamento dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, il giudice può utilizzare il criterio fondato sulla differenza tra attivo e passivo patrimoniale a supporto della liquidazione equitativa del danno risarcibile.

20 Ottobre 2022

La responsabilità del socio gestore di s.r.l.: l’intenzionalità dell’art. 2476, co. 8, c.c.

L’art. 2476, co. 8, c.c. estende la responsabilità degli amministratori ai soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. La norma, letta congiuntamente alle disposizioni sulla responsabilità da abuso di direzione e coordinamento (artt. 2497 ss.), disciplina il fenomeno della eterogestione nelle società, costituendo il fondamento giuridico dell’ammissibilità della responsabilità dei cosiddetti gestori di fatto delle società di capitali. La responsabilità in commento è, tuttavia, limitata alla sola ipotesi del dolo, come emerge dalla necessità che il compimento dell’atto dannoso sia stato deciso o autorizzato “intenzionalmente”, dovendo, dunque, provarsi la sussistenza della consapevolezza dell’illiceità e della dannosità dell’atto. L’intenzionalità ai fini della responsabilità del socio gestore di s.r.l. è costituita dalla riferibilità psicologica dell’atto al socio: è sufficiente al proposito che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio, dell’antigiuridicità dell’atto; a tal riguardo quest’ultima viene a configurarsi non solo quando l’atto deciso è contrario alla legge o all’atto costitutivo della società, ma anche quando l’atto, pur se di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, cioè con una finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale.

La responsabilità del socio come disciplinata ex art. 2476 c.c. ha un carattere tipico che non prevede equipollenti nell’ambito delle società azionarie. Invero, la circostanza che in materia di s.p.a. non è prevista una responsabilità dei soci è diretta conseguenza della mancanza di una norma simile a quella dell’art. 2479 c.c., che prevede la possibilità che gli statuti delle s.r.l. riservino poteri gestionali ai soci. Comunque, tale responsabilità sussisterebbe anche nell’ipotesi in cui, in assenza di un conferimento formale al socio di potere gestorio, questi abbia di fatto concorso nell’operazione intrapresa dall’amministratore, ovvero il socio abbia espresso la propria approvazione in termini autorizzativi, quindi ex ante.

Ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2476, co. 8, c.c. è richiesta una specifica connotazione soggettiva dell’agire del socio, il quale potrà essere coinvolto nella responsabilità degli amministratori solo con riferimento ad atti gestori dannosi decisi o autorizzati nella piena consapevolezza delle caratteristiche dell’atto e delle possibili conseguenze, non essendo invece sufficiente la mera volontà di intervenire nella gestione della società.

Nonostante il legislatore abbia omesso di disciplinare alcuni aspetti fondamentali relativi ai presupposti della responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, quali il grado di diligenza richiesta e l’obbligo di agire in modo informato, è la stessa natura dell’incarico a richiedere che per l’amministratore di società a responsabilità limitata (secondo lo schema delle obbligazioni di mezzi) venga adottato l’approccio valutativo di cui agli artt. 1176, co. 2, e 2236 c.c.