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23 Settembre 2022

Fast fashion brand e rischio di confusione tra segni

In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento sulla confondibilità va compiuto dal giudice di merito accertando non soltanto l’identità o almeno la confondibilità dei due segni, ma anche l’identità e la confondibilità tra i prodotti, sulla base quanto meno della loro affinità; tali giudizi non possono essere considerati tra loro indipendenti, ma sono entrambi strumenti che consentono di accertare la cd. “confondibilità tra imprese”. [Nel caso concreto il giudice ritiene che l’apposizione di un mero punto tra le due parole che compongono il marchio del convenuto non appare idonea a distinguerla dal marchio dell’attore, tanto più ove si consideri che entrambi vengono utilizzati per la pubblicizzazione e commercializzazione di abbigliamento]

Domain name: principio di unitarietà dei segni e capacità distintiva

Il codice della proprietà industriale ha esplicitamente riconosciuto la natura di segno distintivo del nome a dominio, e ciò ha fatto introducendo all’art. 12 cpi il principio di unitarietà dei segni distintivi. Il principio di unitarietà dei segni distintivi comporta che sia da un lato vietato di registrare un marchio interferente (nei termini dell’art. 12 c.p.i.) con un precedente segno distintivo – quale un nome a dominio – già noto, e che dall’altro sia vietato utilizzare un segno distintivo interferente con un precedente marchio (nei termini dell’art. 22). Il nome a dominio, che non ha una propria specifica disciplina quale segno, deve rispettare, per la sua normativamente riconosciuta natura, il requisito della distintività. Per la valutazione di sussistenza della distintività si ritiene possano applicarsi i criteri dell’art. 13 c.p.i. in quanto applicabili. In forza di tale disciplina va esclusa la distintività, fra l’altro, per quei nomi che sono costituiti da denominazioni generiche di prodotti o servizi, o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscano. I segni non distintivi sono quelli che non sono idonei a indicare al pubblico l’origine di un prodotto o servizio.

20 Luglio 2020

Nullità del marchio successivo simile al segno anteriore riproducente l’immagine di un avo e assenza di concorrenza sleale. Carenza di legittimazione attiva

La legittimazione attiva per la tutela del marchio registrato ex art. 20 c.p.i. spetta esclusivamente al titolare del marchio, apparendo irrilevante sul piano del diritto – se non in alcun modo provata – l’autodefinizione in termini di “ex titolare di fatto del marchio” o anche di “autore morale dell’immagine riportata nel marchio”.

La circostanza che l’insegna, e più in generale l’immagine in essa riprodotta, raffiguri un avo di un soggetto non esclude la possibilità che quella immagine possa essere inserita nei segni distintivi aziendali e quindi possa essere legittimamente utilizzata da altri soggetti, acquirenti dei predetti segni.

E’ principio noto e consolidato, in coerenza con la funzione intrinseca del segno, che l’apprezzamento sulla confondibilità fra i segni distintivi similari dev’essere compiuto dal giudice non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via generale e sintetica, vale a dire con riguardo all’insieme degli elementi salienti, grafici, visivi e fonetici dei marchi interessati, e tenuto conto di tutti i fattori pertinenti, e quindi della notorietà del marchio e del grado di somiglianza tra i prodotti, nonché della normale avvedutezza dei consumatori cui i prodotti o servizi sono destinati.

L’uso del patronimico consentito nella ditta, in quanto giustificato per il principio di verità, deve avvenire nell’osservanza dei principi di correttezza professionale, e quindi non in funzione di marchio, e non in contrasto con la disciplina delle privative.

23 Luglio 2019

L’uso nella denominazione sociale di parola caratterizzante un marchio costituisce contraffazione

Costituisce contraffazione del marchio registrato l’utilizzo nella denominazione sociale della parola richiamata nel marchio medesimo laddove tale parola costituisce elemento distintivo caratterizzante l’impresa nell’ambito dello stesso settore merceologico.

24 Aprile 2019

Costituisce contraffazione l’utilizzo nella denominazione sociale di un marchio registrato altrui

L’impresa che utilizzi nella propria denominazione sociale un marchio registrato altrui viola i diritti del titolare del marchio quando, tenuto conto dell’oggetto sociale delle parti e della clientela di riferimento, sussista [ LEGGI TUTTO ]

10 Gennaio 2019

Rapporti tra Enti associativi senza scopo di lucro e tutela del nome, del marchio e da condotta anticoncorrenziale

Per costante giurisprudenza, ai fini della applicabilità della disciplina della concorrenza sleale, la nozione di imprenditore deve essere interpretata in modo estensivo, così da ricomprendere anche associazioni ed enti che operino per scopi ideali e svolgano, senza fine di lucro, mediante un’organizzazione stabile, un’attività continuativa di natura obiettivamente economica.

Ai fini della configurazione del rapporto di concorrenzialità mentre l’assenza di scopo di lucro può essere irrilevante “l’identità del settore si deve desumere dal fatto che entrambe [le associazioni] offrono servizi alla platea delle piccole e medie imprese e che il supporto all’internazionalizzazione non costituisce che una species del genus dei servizi alle imprese”.

La sussistenza del rapporto di concorrenzialità “va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, l’offerta dei medesimi prodotti e servizi alla medesima clientela”.

La riproduzione illecita della denominazione sociale e del marchio denominativo di un Ente viola l’art. 2564 c.c. e l’art. 22 c.p.i.

L’appropriazione dei segni distintivi può determinare confusione fra l’attività ed i servizi [delle due imprese] che ove accertata consente di “ravvisare la concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598 c.c. n. 1”.

23 Maggio 2017

Canoni tradizionali del giudizio di confondibilità tra marchi

Il giudizio di confondibilità tra marchi si modula secondo canoni tradizionalmente seguiti, attraverso una valutazione globale del rischio di associazione. Essa implica una interdipendenza fra i fattori presi in considerazione ed in particolare, la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei segni designati. Cosicché, [ LEGGI TUTTO ]

16 Febbraio 2017

Cautelare in materia di licenza di marchio: onere della prova e preteso inadempimento

Con riguardo alla violazione dell’art. 23 CPI, è onere di chi le invoca allegare e provare, data la tassatività delle ipotesi riconducibili al disposto dell’art. 23 CPI, le specifiche clausole del contratto di licenza violate e la loro [ LEGGI TUTTO ]