hai cercato per tag: obbligo-di-fedelta - 5 risultati
16 Giugno 2021

Denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c.

La nuova formulazione dell’art. 2409 c.c. consente di affermare come non assuma rilievo qualsiasi violazione di doveri gravanti sull’organo amministrativo, ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Le gravi irregolarità, come da giurisprudenza prevalente, devono – oltre che riguardare la sfera societaria e non quella personale degli amministratori – essere attuali, per cui nessun provvedimento potrà essere adottato qualora le stesse abbiano esaurito ogni effetto. Infine, esse devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale.

Con riferimento alle condotte, alla luce dell’opzione legislativa per l’atipicità delle irregolarità, il requisito della gravità postula fatti e deficienze non altrimenti eliminabili, concretanti violazioni di legge e, segnatamente, delle norme civili, penali, amministrative e tributarie e dello statuto e – in virtù del richiamo di cui all’art. 2392, comma 1, c.c. – delle regole generali di gestione diligente nell’interesse sociale e in assenza di conflitti di interesse, che si sostanzino in fatti specificamente determinati e ascrivibili agli amministratori.

Inoltre non rilevano né il tipo di norma violata né lo stato soggettivo (dolo o colpa) di amministratori e sindaci, non essendo il procedimento instaurato in seguito a un ricorso presentato ai sensi dell’art. 2409 c.c. direttamente collegato all’esercizio dell’azione di responsabilità, in quanto trattasi di procedimento volto a ripristinare la regolarità dell’attività gestoria e privo di ogni finalità sanzionatoria.

Quanto al requisito dell’attualità, non rilevano vicende societarie esaurite e non ulteriormente produttive di possibili effetti nocivi, non potendosi dar luogo all’intervento dell’autorità giudiziaria quando sia già stato ripristinato l’ordine amministrativo e gli effetti della condotta siano ormai intangibili, come si evince anche dalla previsione di cui all’art. 2409, comma 3, c.c.

Inoltre, le irregolarità devono essere idonee alla causazione di un danno alla società. Deve reputarsi sufficiente anche il mero pericolo di danno futuro, purché patrimonialmente rilevante, alla società; non rivestono, invece, alcuna rilevanza ai fini dell’art. 2409 c.c. eventuali profili di danno ai singoli soci, ai creditori sociali e ai terzi.

Sono, invece, irrilevanti le censure attinenti al merito delle scelte gestorie, con due sole eccezioni: in primo luogo, le scelte palesemente irragionevoli o negligenti, atteso che il controllo dell’autorità giudiziaria è di legalità e di regolarità della gestione, intesa quale attività materiale e giuridica diretta alla realizzazione dell’oggetto sociale in modo conveniente, cioè tale che la quantità delle risorse complessivamente consumate nella produzione dei beni e dei servizi sia inferiore o corrispondente ai ricavi; in secondo luogo, il tribunale può sindacare anche il merito delle scelte economiche compiute dagli amministratori in conflitto di interessi, e segnatamente quelle in pregiudizio della società da loro amministrata, ma conformi all’interesse del socio di maggioranza, a condizione che ricorra l’ulteriore presupposto della potenzialità del danno per la società stessa. In altre parole, il limite derivante dalla cd. business judgment rule non opera laddove si tratti di sindacare non tanto l’osservanza del dovere di diligenza, quanto dell’obbligo di fedeltà, comunque compreso tra quelli richiamati dall’art. 2409, comma 1, c.c. e sotteso ai precetti normativi in tema di conflitto di interessi.

26 Febbraio 2020

Storno di dipendenti e appropriazione di segreti industriali

In tema di responsabilità civile, nell’ipotesi in cui la parte convenuta chiami in causa un terzo in qualità di corresponsabile dell’evento dannoso, la richiesta risarcitoria deve intendersi estesa al medesimo terzo anche in mancanza di un’espressa dichiarazione in tal senso dell’attore, poiché la diversità e pluralità delle condotte produttive dell’evento dannoso non dà luogo a distinte obbligazioni risarcitorie, non mutando l’oggetto del giudizio, essendo peraltro irrilevante, ai fini di cui sopra, che la chiamata sia fondata su di una garanzia propria o impropria, attribuendo a tale definizione solo carattere descrittivo.

Secondo i principi generali del concorso, un soggetto terzo non imprenditore può essere chiamato a rispondere di storno, quando si interpone, in ragione di una relazione di interessi che lo collega all’imprenditore in concorrenza, per cui viene a svolgere la attività illecita, con la conseguenza che entrambi ne rispondono in solido. Tuttavia, la condotta di “storno” è una condotta attiva, che si concreta nell’allontanare e/o trasferire qualche cosa (o qualcuno, nel caso di storno di dipendenti), e presuppone l’alterità tra soggetto che storna e soggetto stornato; si tratta di condotta che non può essere addebitata, per incompatibilità logica, a chi sia nel contempo oggetto passivo dello storno, ossia al dipendente che viene stornato.

Lo storno dei dipendenti, mediante il quale l’imprenditore si assicura le prestazioni lavorative di uno o più dipendenti di un’impresa concorrente, costituisce una lecita espressione dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà d’iniziativa economica, libertà che trovano una tutela anche negli artt.35, 36 e 41 della Costituzione. Perché lo storno si connoti come illecito, sul piano concorrenziale, è necessario che si verifichi con modalità illecite, tali da alterare significativamente la correttezza della competizione, e danneggiare il concorrente, e nel contempo che alla condotta attiva si accompagni la consapevolezza nel soggetto agente dell’idoneità dell’atto a danneggiare il concorrente; questa consapevolezza, che è uno stato soggettivo non dimostrabile direttamente, si desume esaminando le modalità oggettive e di contesto dello storno, e l’impatto sull’organizzazione e la struttura produttiva del concorrente, nel loro complesso e alla luce dei principi di correttezza professionale.

Le dichiarazioni scritte di un testimone costituiscono elementi di prova atipici, quando non possono essere qualificate come testimonianze scritte di cui all’art. 257 bis, mancando i presupposti formali, nè sono equiparabili a deposizioni assunte oralmente, con le garanzie del contraddittorio, ma possono costituire validi elementi di prova atipici quando intrinsecamente coerenti e credibili, numerose, e convergenti nella descrizione dei fatti, disegnando un quadro indiziario probante.

Sono informazioni riservate quelle che recano non solo i dati identificativi dei clienti, ma nel contempo ulteriori indicazioni, utili non solo al loro reperimento, ma piuttosto e soprattutto a determinare il profilo qualificante, in modo che dalla sua lettura sia possibile ricavare conseguenze utili e necessarie per l’esercizio dell’attività aziendale senza necessità di acquisire ulteriori informazioni (nel caso di specie, un database che contiene la lista dei clienti, accompagnata da informazioni ulteriori quali il tipo di contratti da ciascuno stipulati, le relative condizioni economiche, ed eventualmente le scadenze contrattuali da far valere).

Non costituisce concorrenza sleale lo sfruttamento da parte dell’ex dipendente delle conoscenze tecniche, delle esperienze e financo delle informazioni relative alla politica commerciale dell’impresa dalla quale egli proviene, a condizione che non si tratti di informazioni segrete o riservate, ma appunto di un patrimonio personale di conoscenza ed esperienza acquisita dal lavoratore potendo ritenersi fisiologico che il terreno dell’attività elettiva dell’ex dipendente, proprio in virtù delle conoscenze e relazioni precedentemente acquisite, si rivolga ai clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro: in costanza di rapporto di lavoro, infatti, il dipendente è tenuto ad osservare l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., mentre terminato il rapporto di lavoro, l’ex dipendente, in mancanza di patto (retribuito) di non concorrenza ex art. 2125 c.c., può ben esplicare, per conto proprio o di terzi, l’attività in concorrenza, utilizzando le cognizioni e le esperienze acquisite nel precedente rapporto di lavoro, ed anche le relazioni preferenziali con la clientela.

24 Luglio 2017

Opera dell’ingegno creata dall’ex dipendente, responsabilità contrattuale per mancato pagamento del corrispettivo e preminenza del diritto di difesa sulle privative industriali

La norma speciale di cui all’art. 12 bis l.d.a. esprime il principio generale secondo il quale l’imprenditore acquista i risultati del lavoro del dipendente – nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite- senza alcun atto di trasferimento, quale effetto derogabile del contratto. I software rielaborati nel corso del rapporto di lavoro sono automaticamente trasferiti nella titolarità del datore di lavoro, senza [ LEGGI TUTTO ]

16 Giugno 2015

Sviamento di clientela e concorrenza sleale dell’ex dipendente

Rassegnate le dimissioni e venuta meno l’operatività dell’art. 2105 c.c., in assenza di un patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c.c. all’ex dipendente non è vietato lo svolgimento di atti in concorrenza con l’ex datore di lavoro. L’ex dipendente è sottoposto alle medesime regole, di concorrenza leale e di [ LEGGI TUTTO ]