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Art. 124 c.p.i.
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3 Settembre 2019

Il carattere più o meno forte del segno distintivo

L’art. 122 c.p.i. non esclude la proponibilità della mera eccezione di nullità del marchio (sulla scorta del presente principio di diritto il Tribunale ha ritenuto ammissibile, per il nostro ordinamento, l’eccezione di nullità proposta dal convenuto in contraffazione al solo fine di paralizzare la domanda avversaria e non anche allo scopo di ottenere la declaratoria di nullità del marchio asseritamente contraffatto; ciò diversamente da quanto previsto in materia di marchio comunitario dal Reg. CE 207/2009 – oramai superato per effetto del Reg. UE 1001/2017 – il cui art. 99 poneva limiti alla proponibilità delle domande di nullità in forma diversa da quella della domanda riconvenzionale).

Il marchio costituito dalle parole “Regina Margherita” riferito alla attività di ristorazione napoletana, ed in particolare alla pizzeria, viene ad avere carattere descrittivo del prodotto somministrato, la pizza, nella particolare ricetta di grandissima diffusione che riporta i colori della bandiera: rosso il pomodoro, bianca la mozzarella e verde il basilico; per l’effetto tale marchio, in riferimento alla classe 43, è un marchio che può acquisire carattere distintivo ed essere validamente registrato solo in ragione degli elementi figurativi che si aggiungono o connotano le parole in sé, mancando nella denominazione “Regina Margherita”, di per sé considerata, il carattere distintivo necessario.

Il carattere più o meno forte del segno distintivo rileva, ai fini della tutela, perché consente margini diversi di interferenza lecita agli altri segni: un segno composto da elementi fortemente distintivi, che quindi nel mercato vale a richiamare fortemente il prodotto e il produttore cui è associato, non potrà verosimilmente essere riprodotto neppure in parte senza che vi sia contraffazione, mentre un segno che connotato da un aspetto almeno parzialmente descrittivo potrà convivere nel mercato con segni oggettivamente interferenti ogni qualvolta l’interferenza riguardi gli aspetti descrittivi e non riguardi la porzione distintiva.

Al fine di dimostrare l’assunzione, da parte di un segno distintivo, di un secondary meaning non basta che l’imprenditore dimostri di avere fatto pubblicità, e utilizzato il segno, nella rete, sui social, diffondendolo vastamente, ma occorre dimostrare che l’uso del segno ha conseguito un effetto specifico, cosicché gli elementi che lo compongono, pur mantenendo il loro significato per così dire naturalistico, hanno acquisito una ulteriore valenza, richiamando nella percezione dei consumatori, il produttore o il prodotto a cui quel segno è abitualmente associato.

La concessione in licenza del marchio costituisce una forma di uso posta in essere dal titolare del diritto; si tratta infatti di una condotta positiva, a cui consegue anche un ritorno economico, e che consente che il segno sia utilizzato nel mercato.

Non vi è dubbio che il criterio della royalty corrisponda al minimo liquidabile, atteso che non include alcun aspetto sanzionatorio, imponendo, in definitiva, a chi ha improntato la propria condotta all’agire illecito, il solo prezzo di acquisto del bene (marchio) di cui ha usufruito.

25 Luglio 2019

Inibitoria e penale: inapplicabilità della sanzione per mancata prova della violazione

Il mero reperimento di prodotti sul mercato, commercializzati successivamente alla sentenza che ha disposto l’inibitoria assistita da penale, non costituisce prova dell’avvenuta violazione dell’inibitoria stessa e non è, pertanto, di per sé sufficiente a fare ravvisare i presupposti per l’applicazione della sanzione stabilita. Laddove, infatti, la sentenza non abbia disposto anche il sequestro dei prodotti già in commercio, occorre la prova che i prodotti rinvenuti sul mercato siano stati oggetto di commercializzazione successivamente alla sentenza stessa.

14 Febbraio 2019

Adempimento dell’obbligo di ritiro dal commercio delle res contraffattorie e opposizione a precetto

In sede di opposizione al precetto, possono essere fatti valere unicamente i fatti estintivi, modificativi e impeditivi rispetto al titolo esecutivo azionato, ma non possono essere sollevate censure nel merito della relativa pronuncia, poiché tale profilo può essere indagato solo tramite i rimedi impugnatori allo scopo previsti (non esperiti nel caso di specie). [ LEGGI TUTTO ]

3 Dicembre 2018

Disegni e modelli industriali: il carattere individuale

Il requisito del carattere individuale può, invero, consistere (anche) in un pregio estetico ma, più in generale, è dato da qualunque particolarità della forma o delle linee o della struttura del prodotto che abbia l’attitudine di attrarre o “captare” l’attenzione del consumatore; è tale attitudine attrattiva che attribuisce valore aggiunto al prodotto, rendendolo concorrenziale sui mercati. Ciò consente, ai prodotti che ne sono dotati, di divenire concorrenziali non in un’ottica di prezzo (come accade per i prodotti provenienti da mercati non europei, ed in particolare asiatici) ma nell’ottica del design. L’aspetto o forma innovativa che rileva è quindi necessariamente quella che si coglie con un “colpo d’occhio”, e lascia una “impressione generale”, capace di attrarre nel mercato.

L’esame del carattere “individuale” e “originale” non può avere come parametro di confronto un insieme di elementi o parti tratti da plurimi modelli precedenti, ma deve confrontarsi con una singola anteriorità, che presenti tutti gli aspetti rilevanti, sul piano della impressione generale . [Nella fattispecie, la combinazione di elementi significativi, sul piano dell’impressione generale non è riscontrabile in alcuna delle anteriorità, pertanto sussiste il carattere individuale del modello].

 

19 Ottobre 2018

Concorrenza sleale, imitazione servile del prodotto altrui e necessaria proporzionalità della sazione di cui all’art. 124, comma 2, c.p.i.

L’imitazione rilevante ai fini della concorrenza sleale per confondibilità di cui all’art. 2598 c.c., n. 1, non si identifica con la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo con quella che riguarda le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, ovvero quelle che sono idonee, proprio in virtù della loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa; ciò comporta che non possa attribuirsi carattere individualizzante alla forma funzionale, cioè a quella resa necessaria dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto. Ne discende che la fabbricazione di prodotti identici nella forma a quelli realizzati da impresa concorrente costituisce atto di concorrenza sleale soltanto se la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto, ma investa elementi del tutto inessenziali alla relativa funzione. La parte che agisce ex art. 2598 n. 1 c.c. non può, dunque, limitarsi a provare che il proprio prodotto è imitato “fedelmente” da quello del concorrente, ma deve anche dimostrare che tale imitazione è confusoria, perché investe quegli elementi che servono a distinguere il suo prodotto nel mercato. L’art. 2598 n. 1 c.c. chiarisce infatti che la fattispecie costitutiva della concorrenza sleale non si esaurisce nell’imitazione servile, ma richiede l’attitudine a creare confusione, effetto che, evidentemente, non può neppure ipotizzarsi quando il prodotto imitato non si distingua dai prodotti similari già presenti al suo ingresso nel mercato, siccome privo di forma individualizzante. La tutela di cui alla norma indicata concerne, pertanto, le forme aventi efficacia individualizzante e diversificatrice del prodotto rispetto ad altri simili, non essendo tuttavia compresi nella tutela medesima gli elementi formali dei prodotti imitati che nella percezione del pubblico non assolvano ad una specifica funzione distintiva del prodotto stesso, intesa nel duplice effetto di differenziarlo rispetto ai prodotti simili e di identificarlo come riconducibile ad una determinata impresa. In definitiva, poichè l’originalità del prodotto e la sua capacità distintiva integrano entrambi fatti costitutivi della contraffazione per imitazione servile, essendo i medesimi requisiti necessari non in via alternativa, ma in via cumulativa, l’onere della prova con riguardo ad entrambi i fatti costitutivi incombe – in ossequio alle regole generali in tema di onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. – su chi agisce in contraffazione, mentre spetta al convenuto l’onere di dimostrare la mancanza di novità del prodotto o la perdita sopravvenuta della sua capacità distintiva, quali fatti estintivi dell’altrui diritto.

La ratio della forma di coercizione indiretta all’adempimento di cui all’art. 124, comma 2, c.p.i. è quella di rafforzare l’inibitoria, cui si accompagna, per indurre il debitore verso lo spontaneo adempimento, prevedendo una sanzione per il caso di inottemperanza al provvedimento definitivo o anche solo emesso in via cautelare. Si tratta dunque di un rimedio sanzionatorio e non risarcitorio, che è indirettamente a presidio e tutela dell’inibitoria, costituendo una rilevante e autonoma misura di prevenzione nella contraffazione. La natura sanzionatoria del provvedimento non esclude, però, che la misura non debba essere eccessivamente afflittiva, perché vige nel nostro ordinamento il principio della necessaria proporzione tra violazioni e sanzioni. Tale principio è espressamente sancito anche nell’art. 124, comma 6, c.p.i., ai sensi del quale nell’applicazione delle sanzioni l’autorità giudiziaria tiene conto della necessaria proporzione tra la gravità delle violazioni e le sanzioni, nonché l’interesse dei terzi.

29 Agosto 2018

Uso e registrazione di marchio identico al marchio anteriore registrato altrui per prodotti affini

Gli artt. 2569 c.c. e 20 c.p.i. attribuiscono al titolare del marchio di impresa registrato la facoltà di fare uso esclusivo del marchio ed il diritto di vietare a terzi – fermo restando il diritto di chi abbia dimostrato un preuso avente portata locale di continuare in tale preuso, nell’ambito di una sorta di “duopolio” – di usare un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità tra i prodotti o servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.

I marchi di cui costituiscono il cuore il nome comune dell’ingrediente principale usato per la preparazione dei prodotti seguito dal suffisso “osa”, non può ritenersi abbiano mera valenza descrittiva degli stessi. L’uso del suffisso “osa” evocativo del concetto di “golosità” e dunque della gradevolezza al gusto dei prodotti così denominati consente infatti di attribuire ai lemmi in questione una efficacia individualizzante sufficiente a rendere i marchi di cui costituiscono il cuore meritevoli di tutela (Il nucleo essenziale dei marchi per cui è causa è costituito dalle parole PISTACCHIOSA e MANDORLOSA per prodotti di pasticceria).

Considerata l’appartenenza dei prodotti contraddistinti dai marchi per cui è causa alla medesima categoria merceologica – l’identità fonetica del cuore dei marchi utilizzati dalle due società rende irrilevanti le differenze grafiche apportate, restando ininfluente il fatto che i marchi in questione siano annoverabili tra i marchi deboli in ragione dell’aderenza concettuale agli ingredienti base dei prodotti dagli stessi contraddistinti.

Il fatto che i prodotti abbiano una destinazione differente non è sufficiente a escludere il rischio di confusione atteso che il pubblico al quale sono destinati è costituito, in buona parte, da categorie di soggetti  che si sovrappongono ove si consideri che le due attività vengono spesso svolte contestualmente dagli stessi imprenditori (nella specie, i prodotti in questione erano destinati ad utilizzi diversi e tra loro infungibili, ovvero, da un lato, ai consumatori finali e ai laboratori di pasticceria, dall’altro, ai gelatai).

Se i marchi per cui è causa sono stati utilizzati nell’ultimo quinquennio per contraddistinguere prodotti diversi ma affini a quelli per i quali è stata effettuata la registrazione, non ricorre la causa di decadenza parziale per non uso rispetto a questi ultimi, atteso che si tratta di prodotti che rientrano nella medesima categoria merceologica, sicché sussiste l’uso effettivo nel settore.

20 Aprile 2018

Indebito uso e registrazione del marchio anteriore registrato altrui nel settore vitivinicolo

La valutazione sulla obiettiva confondibilità dei segni distintivi va compiuta in maniera unitaria e sintetica dal punto di vista dei consumatori che siano dotati di media intelligenza e diligenza e non può risolversi in un’indagine di fatto sul raffronto tra il numero dei consumatori effettivamente caduti in confusione e quelli che invece non lo sono, tenendo altresì in considerazione se i prodotti siano destinati al commercio all’ingrosso e al dettaglio, quindi (anche) al grande pubblico. [nel caso di specie ritiene il Tribunale che ai fini della sussistenza del requisito della confondibilità assuma rilievo determinante l’uso da parte della convenuta del nucleo essenziale del marchio registrato dalla società attrice, la parola AUGUSTALE, denominazione di un’antica moneta d’oro con l’effige dell’imperatore romano Augusto, che, oltre a non essere una parola di uso comune, non ha una funzione intrinsecamente descrittiva dei prodotti per distinguere i quali è stata utilizzata, i vini, ma è ad essi collegata in virtù di un accostamento di pura fantasia che le attribuisce originalità ed efficacia individualizzante. Non assume rilievo in senso contrario l’aggiunta – sulle etichette dell’impresa convenuta – del nome del vitigno indicativa della provenienza geografica del prodotto].

Ai fini della liquidazione equitativa del danno e, in particolare, dell’ammontare delle spese sostenute a causa della contraffazione, assumono rilievo le spese documentate sostenute per effettuare la ricerca sul marchio presso banche dati, prodromica alla diffida attraverso uno studio specializzato.

 

27 Novembre 2017

Perimetro di legittimità della facoltà di limitazione delle rivendicazioni brevettuali in corso di causa e presupposti della concorrenza sleale per imitazione servile

Ai sensi dell’art. 79 comma terzo e dell’art. 76 comma terzo c.p.i., le istanze di limitazione e di conversione di un brevetto possono essere presentate in ogni stato e grado del giudizio. Pertanto, il titolare di un brevetto può riformulare le rivendicazioni in corso di causa, senza limitazione ad una fase processuale, ad un grado di giudizio e al numero delle modifiche apportate, fatto salvo il limite generale della [ LEGGI TUTTO ]

4 Ottobre 2017

Novità ed altezza inventiva in una controversia in materia di brevetti alimentari

In tema di novità di un’invenzione, quando viene rivendicato un intervallo di valori più o meno ampio, e un documento anteriore prevede un valore specifico compreso in esso, ciò priva di novità l’intero [ LEGGI TUTTO ]