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Art. 183 c.p.c.
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8 Febbraio 2023

Il requisito del periculum in mora nel sequestro conservativo

Il requisito del periculum in mora richiede la prova di un fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Requisito desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio. Il periculum in mora può essere riconosciuto esistente innanzitutto quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore stesso in rapporto all’entità del credito.

28 Dicembre 2022

Risoluzione del contratto di cessione di quote sociali per mancato assolvimento dell’onere probatorio

Spetta alla società convenuta fornire la prova di aver adempiuto nel termine pattuito il pagamento del corrispettivo della cessione delle quote sociali. In caso di tardiva costituzione del contumace, dovendo il convenuto accettare il procedimento nello stato in cui si trova e non potendo produrre in giudizio documentazione tardiva, non è più possibile per il convenuto fornire la prova dell’adempimento, con la conseguenza dell’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c.

 

17 Maggio 2022

Principi probatori nell’azione cambiaria; condizioni per la proposizione di domande nuove in sede di opposizione a d.i.

In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all’attore formale e sostanziale dall’art. 183 c.p.c.

In tema di azioni cambiarie, l’onere di cui all’art. 66, co. 3, r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669 (Offerta del titolo in restituzione), gravante sul portatore della cambiale che esperisca l’azione causale prima della prescrizione di quella cambiaria, non è riconducibile alla categoria dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione in senso proprio, attenendo, invece, alla sfera dei requisiti per l’esame della domanda nel merito in relazione ad esigenze di natura disponibile del debitore. La relativa osservanza è volta ad evitare che il debitore si trovi esposto al pericolo del doppio pagamento, in forza della cambiale e in forza della sentenza che definisce il giudizio intrapreso con l’azione ex causa tendente al pagamento della somma portata dalla cambiale.

Costituisce presupposto indefettibile per l’accoglimento della domanda volta a ottenere il soddisfacimento del credito cambiario la produzione in giudizio degli originali dei titoli cambiari. Infatti, la posizione di legittimo portatore – che, sul piano probatorio, al di fuori dei casi eccezionali di ammortamento e rilascio di copia autentica può essere verificato solo attraverso l’esibizione del titolo in originale – coincide con la titolarità del diritto di credito azionato.

Pegno nel contratto di cessione di quote di s.r.l. e perdurante efficacia della garanzia fideiussoria

Qualora l’atto di cessione di quote di s.r.l. contenga la costituzione in favore del cedente di un pegno sulle partecipazioni cedute a garanzia della somma dovuta dal cessionario, con l’impegno del cedente a cancellare il pegno all’atto del pagamento, il cessionario non può adempiere all’obbligazione con una modalità diversa da quella prevista espressamente dalle parti.

Una garanzia fideiussoria prestata nell’ambito di un contratto preliminare a favore della società cessionaria conserva un’efficacia inter partes anche qualora non compaia nel successivo atto di cessione, a condizione che non consti alcun atto, contrario o incompatibile, che possa ritenersi aver avuto l’effetto di liberare il garante dalla garanzia prestata. Allo stesso modo, non può ritenersi che una garanzia personale sia implicitamente sostituita da un pegno concesso sulle partecipazioni acquistate, se la costituzione di tale garanzia reale era stata già pattuita sin dall’atto preliminare.

22 Febbraio 2022

Sorte dei contratti e dei debiti nelle vicende circolatorie dell’azienda

È ammissibile l’introduzione, in sede di prima udienza di trattazione, della domanda nuova risarcitoria fondata sulla responsabilità del cessionario d’azienda ex art. 2558 c.c., ove risponda all’esigenza dell’attore di difendersi dall’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata rispetto alla domanda di condanna al risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento di un contratto eseguito dal cedente.

Ai sensi dell’art. 2558 c.c., la successione dell’acquirente dell’azienda nei contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa, ancora in corso al momento della cessione, si verifica come effetto legale del trasferimento dell’azienda solo “se non è pattuito diversamente” ed è, quindi, impedita dalla diversa volontà delle parti, che abbiano espressamente pattuito l’esclusione di determinate posizioni contrattuali dall’oggetto della cessione d’azienda.

L’art. 2560, co. 2 c.c. regola la successione nei c.d. debiti puri relativi all’azienda, quelli cioè derivanti da fonte extracontrattuale o da contratti a prestazioni corrispettive in cui il terzo abbia già eseguito integralmente la propria prestazione: di tali debiti l’acquirente è solidalmente responsabile solo se risultanti dai libri contabili obbligatori, rivestendo l’annotazione del debito nelle scritture contabili obbligatorie dell’alienante dell’azienda natura di elemento costitutivo della responsabilità solidale dell’acquirente.

La responsabilità solidale tra cedente e cessionario dell’azienda prevista dall’art. 2560, co. 2 c.c. può essere applicata estensivamente, con finalità di protezione del creditore, solo nella particolare ipotesi in cui la cessione d’azienda sia stata utilizzata come strumento fraudolento per spogliare la società debitrice di ogni attivo e precludere al creditore il soddisfacimento del proprio diritto.

11 Novembre 2021

Note sostanziali e processuali dell’impugnazione della delibera di bilancio. Legittimazione dell’ex socio ad impugnare la delibera ex art. 2447 c.c.

Dev’essere considerata ammissibile la precisazione, effettuata in prima memoria, della domanda di impugnazione di una delibera assembleare quale domanda di nullità, allorché riguardi la mera qualificazione dell’impugnazione in riferimento a presupposti di invalidità della delibera già prospettati in citazione.

Non sono compromettibili in arbitri le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere assembleari di approvazione del bilancio per vizi attinenti alla violazione delle norme che disciplinano la redazione dei documenti contabili.

Colui il quale abbia perso la qualità di socio, non avendo sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale, conserva la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare adottata ex art. 2447 c.c., in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, co. 1 Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.

Il corretto richiamo, in nota integrativa, dei principi contabili di cui si è fatta applicazione nella redazione del bilancio esclude l’invalidità della relativa delibera di approvazione [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto corretta la scelta degli amministratori di svalutare integralmente le immobilizzazioni, dopo aver rilevato la perdita del requisito della continuità aziendale, a fronte di un ingente fabbisogno finanziario immediato, rispetto al quale i soci non avevano manifestato alcuna disponibilità ad intervenire con versamenti o  finanziamenti].

Non può ritenersi annullabile per abuso di maggioranza la delibera di riduzione e contestuale aumento del capitale ex art. 2447 c.c., allorché le alternative astrattamente percorribili dalla società – i.e. il rinvio annuale delle iniziative di cui all’art. 2447 c.c. data la natura di PMI innovativa della società, la trasformazione, il ricorso al credito bancario ovvero l’acquisto delle partecipazioni dei soci di minoranza da parte di quelli di maggioranza – non avrebbero comunque consentito il recupero della continuità aziendale o avrebbero presupposto delle valutazioni aventi carattere discrezionale, in quanto tali libere.

Esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo in sede di opposizione

Il giudice istruttore, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, può emettere il provvedimento con il quale concede la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. anche all’esito delle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., trattandosi di un provvedimento che può essere emesso sia in prima udienza, sia essere differito all’udienza successiva, nel caso in cui sia necessario garantire il rispetto delle ragioni del contraddittorio e delle esigenze di difesa dell’opponente.

L’ordinanza con la quale il giudice, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, concede la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. è espressamente definita come “non impugnabile” e deve pertanto escludersi la possibilità di una sua autonoma impugnazione in appello nella pendenza del giudizio di primo grado. Non vale ad affermare il contrario l’allegazione di parte secondo la quale il provvedimento sarebbe comunque impugnabile per il fatto che lo stesso avrebbe il contenuto decisorio di una sentenza, in ragione del fatto che il giudice, per mezzo di esso, si sarebbe già pronunciato nel merito della controversia prendendo posizione sulle difese dell’appellante. La circostanza che il giudice istruttore, ai fini della concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, abbia correttamente valutato, da un lato, il merito della pretesa creditoria azionata con il decreto ingiuntivo e, dall’altro, il carattere non ostativo delle ragioni di opposizione fatte valere dall’opponente, non implica in alcun modo che l’ordinanza con cui è stata concessa la provvisoria esecuzione possa assumere un carattere decisorio e definitivo, tale da consentire la sua impugnazione in appello, in contrasto con la regola della sua non impugnabilità fissata dall’art. 648 c.p.c. L’ordinanza con la quale il giudice concede la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. deve qualificarsi, infatti, come un provvedimento non definitivo e non decisorio, che sul piano degli effetti resta un’ordinanza interinale destinata ad esaurirsi con la sentenza sull’opposizione. Detta ordinanza non è, in definitiva, impugnabile con l’appello neppure se, ai fini della sua pronuncia, il giudice abbia conosciuto di questioni di merito rilevanti per accertare la sussistenza del fumus del diritto in contestazione.

Distribuzione non autorizzata di copie di quotidiani e concorrenza sleale

In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.

La concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui (art. 2598, n. 2, c.c.) non consiste nell’adozione di tecniche materiali o procedimenti già usati da altra impresa – che può dar luogo, invece, alla concorrenza sleale per imitazione servile – ma ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.

La concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598, n. 3, c.c., consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, mediante l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall’ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore.

L’ipotesi prevista dall’art. 2598, n. 3, cod. civ. – consistente nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo «non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda» – si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici previsti dai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione e costituisce un’ipotesi autonoma di possibili casi alternativi, per i quali è necessaria la prova in concreto dell’idoneità degli atti ad arrecare pregiudizio al concorrente (v. ad es. Cass. civ. Sez. I Sent., 04/12/2014, n. 25652).

La messa in commercio dell’opera giornalistica, se, da un lato, può comportare l’esaurimento del diritto alla sua successiva circolazione, dall’altro, non determina un effetto estintivo con riferimento alla facoltà di sfruttamento anche pubblicitario dell’opera stessa che rimane in capo al suo autore o, comunque, al suo titolare.