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Art. 700 c.p.c.
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20 Aprile 2023

Tutela cautelare e rischio di confusione tra marchi figurativi e tridimensionali

Ai fini della valutazione del rischio di confusione, la comparazione dei marchi deve essere effettuata tenendo conto dell’impressione complessiva prodotta in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti presenti nei segni in comparazione. Tale valutazione va condotta in riferimento alla normale diligenza ed avvedutezza del tipo di clientela cui il prodotto è in concreto destinato. Il livello di attenzione muta in funzione della categoria di beni o servizi sui quali il marchio è apposto, innalzandosi per i prodotti duraturi o per i prodotti di lusso, mentre il consumatore porrà una minore attenzione per i beni di consumo. Peraltro, il consumatore ha una visione d’insieme del marchio e solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi; di regola, il confronto viene eseguito a distanza di tempo e spazio e viene effettuato tra il segno che il consumatore guarda ed il ricordo mnemonico dell’altro, con una immagine dunque “imperfetta” del segno. La valutazione va dunque condotta in riferimento all’impressione di insieme che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e sincronico. Inoltre, nel giudizio di comparazione occorre tenere conto in concreto di tutti i fattori pertinenti nel caso di specie; rileva, in particolare, la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei segni designati. In aggiunta, quanto più è affollato il settore merceologico di riferimento, tanto più potrà essere ritenuta rilevante anche la variazione di un elemento di carattere puramente secondario, sicché va accordata tutela in funzione di una novità e individualità da riconoscersi ai marchi che presentano differenziazioni anche lievi rispetto alle anteriorità.

18 Aprile 2023

Assemblea di società quotata svolta mediante rappresentante designato e diritto del socio di integrazione dell’o.d.g.

In ordine allo svolgimento dell’assemblea di una società quotata mediante rappresentante designato dalla società, gli azionisti intenzionati a esprimere il proprio voto sono obbligati a conferire delega al rappresentante designato. L’assemblea non si svolge con la partecipazione personale degli azionisti all’assemblea, ma è soltanto il rappresentante designato a partecipare e ad esprimere, per loro conto e sulla base delle istruzioni ricevute, il voto. Per esprimere il voto ogni azionista deve incaricare il rappresentante designato e fornirgli le relative istruzioni mediante apposita delega da conferire entro e non oltre il secondo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l’assemblea (art. 135 undecies TUF).

Tale modalità di svolgimento del procedimento assembleare “a porte chiuse” è incompatibile con l’esercizio in forma ordinaria di taluni diritti partecipativi tipici degli azionisti, tra cui con il diritto individuale del socio avente diritto di voto di presentare direttamente in assemblea ulteriori proposte di deliberazione su argomenti già all’ordine del giorno (art. 126 bis, co. 1, terzo periodo, TUF). L’esercizio di tale diritto deve allora essere configurato in via interpretativa in modo tale da risultare coerente, da un lato, con le scansioni procedurali caratterizzanti la modalità di svolgimento dell’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ai sensi dell’art. 106, co. 2, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Decreto Cura Italia”) e, dall’altro, con il pari diritto di tutti gli altri soci di votare in modo consapevole e informato. A tale riguardo, appare consono sia ai connotati formali dell’interpretazione analogica, sia alle esigenze di effettiva tutela del diritto individuale di proposta e del pari diritto di tutti i soci di votare in modo informato e consapevole, sia alle scansioni procedurali proprie dello svolgimento dell’assemblea a distanza, assumere a riferimento, per individuare la data entro la quale il socio può presentare proposte di delibera su argomenti all’ordine del giorno, la disposizione prevista dall’art. 126 bis, co. 2, TUF, secondo cui delle proposte dei soci di minoranza qualificata deve essere data notizia almeno 15 giorni prima di quello fissato per l’assemblea. Né, peraltro, la società, nell’indicazione del termine in questione, è vincolata alla suddetta disposizione – applicata solo analogicamente – ben potendo indicare in sede di convocazione una data diversa, purché parimenti idonea a soddisfare adeguatamente le diverse esigenze sopra indicate, nel rispetto del generale principio di buona fede.

Essendo il procedimento ex art. 700 c.p.c. funzionalizzato unicamente a tutelare chi teme il verificarsi di un pregiudizio durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, cioè mediante processo a cognizione piena, esso deve essere escluso allorquando, a tutela di determinati diritti è prevista, almeno in una prima fase, un’apposita procedura di tipo sommario, quale il procedimento ex art. 126 bis, co. 5, TUF. È esclusa la possibilità di un cumulo/alternatività tra i due procedimento in ragione delle loro evidenti difformità strutturali, determinando la duplicazione di procedimenti aventi lo stesso oggetto che si svolgono parallelamente tra le stesse parti innanzi a giudici diversi (monocratico e collegiale) secondo riti diversi, nonché in ragione dell’impraticabilità di tale soluzione che rimette ad un soggetto processuale evidentemente non legittimato – cioè il giudice – di scegliere quale dei due procedimenti dovrebbe in concreto svolgersi a discapito dell’altro e che viola il diritto di difesa della parte resistente che sarebbe ignara delle regole procedurali con cui esso debba essere esercitato.

20 Marzo 2023

Impugnazione delle delibere assembleari e soccombenza virtuale

Ai sensi dell’art 2377 comma 8 c.c., la revoca della delibera impugnata implica il riconoscimento da parte dell’ente dell’invalidità della delibera sostituita.

In ipotesi di revoca della delibera impugnata, le spese processuali vanno poste a carico dell’ente che ha revocato la propria delibera, in quanto soccombente virtuale.

16 Marzo 2023

Procedimento cautelare per la consegna al socio della documentazione societaria

In un procedimento cautelare ex att. 700 c.p.c. e 2476, comma 2, c.c., instaurato dal socio nei confronti dell’amministratore unico per la consegna della documentazione societaria, il c.d. fumus boni iuris è rappresentato dal diritto del socio di avere accesso alla documentazione societaria, di visionare la stessa presso i locali della sede sociale (ovvero presso lo studio del commercialista che la detiene nell’ipotesi in cui ivi sia domiciliata la compagine) e, ove ritenuto opportuno, di prenderne consegna con modalità telematiche ovvero con quelle della estrazione delle copie cartacee (salvo sostenere i relativi costi); il c.d. periculum in mora è integrato dall’ingiustificato rifiuto dell’amministratore di far fronte alle legittime richieste dell’istante che conduce a fondare il convincimento che possano essere state attivate condotte volte alla spoliazione ovvero al depauperamento della società e, di riflesso, al detrimento del valore della partecipazione societaria dell’istante.

Requisiti dell’azione di revoca cautelare dell’amministratore ex art. 2476, comma 3, c.c.

L’azione ex art. 2476, 3 comma, c.c. consente l’adozione di una misura cautelare tipizzata meramente strumentale all’azione sociale di responsabilità prevista dal medesimo articolo, avente contenuto solo risarcitorio. Si deve escludere l’esistenza nel merito, in favore del socio, di un diritto alla revoca che consenta di rimuovere definitivamente gli amministratori, non essendo prevista dall’ordinamento un’azione di merito, tendente alla sola revoca degli amministratori.

Ai fini dell’accoglimento della domanda di revoca cautelare dell’amministratore di S.r.l., è necessario che dagli atti di causa emerga non solo la probabile ascrivibilità delle condotte di mala gestio lamentate all’amministratore di cui è chiesta la revoca, ma anche la portata lesiva delle condotte medesime e la probabile sussistenza di un concreto ed attuale pregiudizio al patrimonio della società, potenzialmente suscettibile di aggravamento, nel caso di permanenza in carica dell’amministratore medesimo.

È invece precluso lo strumento della revoca d’urgenza in presenza di irregolarità, anche gravi, ma non foriere di danni, ovvero di irregolarità che già hanno manifestato tutta la loro capacità lesiva e non residuino rischi di aggravamento del danno già prodotto e risarcibile con l’azione di responsabilità.

Dal momento che l’approvazione del bilancio costituisce una formalità necessaria alla vita della società, gli ostacoli frapposti dall’amministratore all’approvazione del medesimo sono idonei a integrare quella “grave irregolarità” prevista dall’art. 2476 co. 3 c.c. come causa di revoca dell’amministratore.

Tuttavia, l’omessa predisposizione dei progetti di bilancio o l’irregolare tenuta delle scritture contabili, pur integrando inadempimento ai compiti primari cui è tenuto l’amministratore di società di capitali, in sé non è causa di un danno patrimoniale che può ben discendere dal disordine contabile ma deve essere allegato come evento conseguenza della irregolarità contabile e adeguatamente dimostrato.

Il divieto di concorrenza sleale per imitazione servile è diretto a impedire il rischio di confusione tra i prodotti dell’imitatore e i prodotti del concorrente

L’imitazione servile è sanzionata dall’art. 2598 n.1 c.c. solo in quanto idonea a creare confusione con i prodotti del concorrente, cioè tale da indurre il potenziale acquirente a ritenere che l’oggetto imitato è proprio quello del produttore che subisce l’imitazione. Inoltre, poiché l’imitazione servile viene ricondotta all’ambito della concorrenza confusoria e quindi al tema dei segni distintivi (nel caso di specie costituiti dalla forma esteriore del prodotto), la tutela della forma è subordinata alle condizioni generali di tutelabilità dei segni distintivi. Ne consegue che chi assume la commissione dell’illecito in questione ed invoca la tutela contro l’imitazione deve allegare e provare la capacità distintiva della forma imitata, intesa soprattutto quale percezione del segno da parte del pubblico come segno distintivo.

10 Febbraio 2023

L’esercizio del diritto di ispezione dei soci di s.r.l.: il diritto di estrarre copia della documentazione

Deve essere concessa al socio la possibilità di estrarre copia della documentazione sociale consultata ai sensi dell’art. 2476, co. 2, c.c., tenuto conto che tale possibilità appare connaturata alla effettività dell’esercizio del diritto di controllo, altrimenti in fatto limitato o, comunque, richiedente modalità di consultazione che, data la complessità della documentazione da esaminare, risulterebbero eccessivamente onerose ovvero non esaustive.

L’esercizio della facoltà di controllo non trova limiti specifici, se non quelli desumibili dal comportamento secondo buona fede e, in genere, dalle esigenze di tutela della società medesima; attengono all’esercizio della suddetta facoltà anche la possibilità di estrarre copia della documentazione richiesta, nonché di operare l’esame così richiesto attraverso terzi professionisti appositamente incaricati.

Il diritto di controllo può essere esercitato in via potestativa, senza che il socio debba indicare o dimostrare l’utilità della documentazione a cui intende accedere rispetto ad uno specifico interesse fermo restando il limite di azioni palesemente abusive e del necessario rispetto di esigenze di riservatezza di sociali. Pertanto, salvi casi di palese violazione del dovere di buona fede e salve le esigenze di riservatezza della società, che possono comportare l’adozione di accorgimenti opportuni, come il mascheramento di dati sensibili o la stipulazione di accordi di riservatezza, negare al socio la possibilità di estrarre copia dei documenti, sia pure a sue spese, si traduce in una violazione mediata del diritto del socio a esercitare il controllo ex art. 2476, co. 2, c.c.

L’interesse del socio a informarsi e ispezionare la documentazione relativa alla gestione non è strettamente legato al tempo di formazione del singolo documento ed è ben possibile che una verifica sull’operato degli amministratori, anche ma non soltanto ai fini di un’azione di responsabilità, richieda l’esame combinato di documenti formatisi in tempi diversi, purché tuttora conservati dalla società e quindi nell’arco dei dieci anni previsti dall’art. 2220 c.c.

L’interesse del socio a informarsi e ispezionare i documenti sociali, per sua natura, è normalmente incompatibile con i tempi di un giudizio ordinario di cognizione.

25 Gennaio 2023

Presupposti per la concessione del sequestro conservativo di beni degli amministratori di una s.r.l. fallita

Ai sensi dell’art. 671 c.p.c., il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento. Per la concessione dell’invocato provvedimento cautelare è richiesta la coesistenza dei due requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, intesi, il primo, come dimostrazione della verosimile esistenza del credito per cui si agisce, essendo infatti sufficiente, in base ad un giudizio necessariamente sommario e prognostico, la probabile fondatezza della pretesa creditoria e, il secondo, come timore di perdere la garanzia costituita dal patrimonio del debitore.

Il requisito del periculum in mora non deve consistere nel mero timore soggettivo del creditore di perdere le garanzie del proprio credito, ma deve concretarsi in una situazione di pericolo reale e oggettivo, evincibile sia da elementi oggettivi (concernenti la sopravvenuta inadeguatezza – qualitativa o quantitativa – del patrimonio del debitore rispetto al presunto credito da tutelare), sia da elementi soggettivi (desumibili dal comportamento del debitore che renda verosimile l’eventualità di un depauperamento del suo patrimonio). Quindi, a differenza dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c., nella disciplina sul sequestro conservativo il legislatore non richiede la sussistenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile, ma esclusivamente la concreta possibilità che il patrimonio del debitore risulti inadeguato al soddisfacimento del credito.

Per effetto del fallimento di una società di capitali, le fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. confluiscono in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile, all’esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori e i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità di questi verso la società, quanto a quelli della responsabilità verso i creditori sociali. Ebbene, l’azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale. La norma di cui all’art. 2392 c.c. struttura una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Di contro, l’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.

Sono da considerarsi astrattamente efficienti a produrre un danno che si assuma corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita ed accertato nell’ambito della procedura concorsuale quegli inadempimenti “qualificati” dell’amministratore di società, allegati quale ragione della domanda risarcitoria, che integrano violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio a cagione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza In considerazione della mancata consegna delle scritture contabili il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare: tale criterio può essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

19 Gennaio 2023

Buona fede e correttezza nell’esercizio del diritto di consultazione del socio di s.r.l.

L’art. 2476 c.c. riconosce ai soci il diritto di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione. Segnatamente, in analogia con quanto previsto dall’art. 2261 c.c. in tema di controllo sulla gestione di società di persone da parte dei soci che non partecipano alla relativa amministrazione, anche nelle società a responsabilità limitata il diritto alla consultazione dei libri e documenti sociali è riconosciuto a qualunque socio non amministratore, indipendentemente dalla consistenza della partecipazione di cui lo stesso sia titolare. In particolare, il diritto di cui si discute – strumentale all’esercizio del potere di controllo accordato al socio – attiene alla consultazione di tutti i documenti afferenti all’amministrazione della società, dal momento della relativa costituzione, e comprende, quale necessario corollario, anche la facoltà di estrarre copia dei documenti esaminati (naturalmente a spese del socio interessato).

Il diritto di controllo del socio non amministratore, non a caso disciplinato nell’ambito dell’art. 2476 c.c., soddisfa l’esigenza di acquisizione di informazioni utili in merito alle modalità di effettivo svolgimento della funzione gestoria da parte degli amministratori ed è funzionale, altresì, all’esperimento dell’azione sociale di responsabilità promuovibile in via surrogatoria da ciascun socio, nonché dell’azione di revoca dell’organo gestorio.

Il diritto di consultazione ex art. 2476, co. 2, c.c. spettante al socio non amministratore di s.r.l., in quanto strumentale all’esercizio del fondamentale potere di controllo, non tollera limitazioni di sorta, se non quelle connesse alla generale operatività del principio di buona fede e correttezza.

In omaggio al principio di buona fede e correttezza sono da considerare illegittimi i comportamenti che risultino rivolti a fini diversi da quelli strettamente informativi. Il socio è infatti tenuto ad astenersi da una ingerenza nell’attività degli amministratori per finalità di turbativa dell’operato di questi ultimi con la richiesta di informazioni di cui il socio non ha effettivamente bisogno al solo scopo di ostacolare l’attività sociale; in tal caso l’esercizio del diritto non potrebbe ricevere tutela in quanto mosso da interessi ostruzionistici. Parimenti contraria a buona fede è la condotta del socio che eserciti il controllo in modo contrastante con l’interesse sociale. In siffatti casi, sussiste un vero e proprio obbligo degli amministratori di rifiutare informazioni sociali riservate, considerato anche che gli amministratori potrebbero rendersi responsabili verso la società per l’indebito uso delle informazioni da parte del socio ai danni della società.

Sia che si invochi il limite generale derivante dai doveri di correttezza e buona fede, sia che si invochi la figura dell’abuso del diritto, è certo che i soci non possano esercitare i propri diritti di controllo con modalità tali da recare intralcio alla gestione societaria ovvero da svantaggiare la società nei rapporti con imprese concorrenti: una scelta puramente emulativa o vessatoria o antisociale di tempi e modi dei diritti di controllo farebbe, infatti, esorbitare questi ultimi dallo scopo per cui sono stati concessi dall’ordinamento ai soci stessi.

Fra le esigenze che possono legittimare la società a richiedere il rispetto di determinate condizionalità e modalità di accesso e, financo, di precludere la visione di taluni documenti o informazioni in essi riportati, rientrano la salvaguardia dei dati e del know-how aziendale e la prevenzione di un uso strumentale del diritto di ispezione da parte del socio; segnatamente, non indirizzato a fini di controllo individuale, quanto piuttosto a scopi concorrenziali, avuto riguardo alla concreta posizione del socio richiedente che renda verosimili e seri i rischi di utilizzo abusivo della documentazione riservata.

Qualora le circostanze facciano presagire un comportamento del socio contrario a buona fede nei rapporti sociali, è ammissibile che la società subordini l’esercizio del diritto di ispezione a specifiche proprie richieste. Tra queste, l’oscuramento dei dati sensibili, anche di natura commerciale, sulle copie dei documenti maggiormente rilevanti ovvero la firma di impegni di non disclosure da parte del socio. Tuttavia, tali prassi devono trovare giustificazione, in concreto, dal pregiudizio che potrebbe conseguire alla società dalla divulgazione a terzi delle informazioni oggetto di ostensione al socio ovvero dall’utilizzo delle stesse da parte del medesimo. Ciò a maggior ragione poiché l’assenso da parte degli amministratori della società ad una richiesta di ispezione pretestuosa potrebbe esporre gli amministratori a responsabilità verso la società per i danni ad essa arrecati dall’indebito uso delle informazioni da parte del socio.

Al di là delle limitazioni derivanti dall’operatività del principio di buona fede e correttezza, l’ingiustificato procrastinarsi del rifiuto da parte degli amministratori all’accesso del socio alla documentazione sociale vale, di per sé, ad integrare il periculum in mora che giustifica l’emissione di un provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., poiché il ritardo lede il diritto di controllo del socio medesimo sull’amministrazione della società e l’esercizio dei poteri connessi sia all’interno della società che mediante eventuali iniziative giudiziarie.

Proprio in quanto fondamentale strumento per l’esercizio dei poteri di controllo spettanti al socio non amministratore, il diritto alla consultazione ed eventuale estrazione di copie deve intendersi riferito a tutti i libri sociali e documenti relativi alla gestione. Quindi, integra una seria e grave lesione di tale diritto anche la preclusione dell’esame di taluni soltanto dei documenti richiesti.