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Art. 1218 c.c.
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Presupposti per l’esercizio del diritto di opzione

La natura non ambulatoria del diritto di opzione (avente effetto obbligatorio solo tra le parti) impedisce di ritenere che il diritto potestativo dell’oblato sul bene opzionato (partecipazioni azionarie) si trasferisca, nel caso in cui il bene opzionato sia soggetto ad un’operazione societaria di fusione ovvero di cessione, sulle azioni dell’incorporante o della cessionaria, salvo che le parti non abbiano previsto nel contratto di opzione una clausola di sostituzione automatica dell’oggetto del diritto di opzione all’occorrere di determinate operazioni societarie.

Si può prescindere dalla formale comunicazione all’oblato utile per l’esercizio del diritto di opzione nel caso in cui l’oblato ricopra una carica gestoria nel consiglio di amministrazione della società le cui azioni sono oggetto di opzione, ma non nel caso in cui l’oblato ricopra la posizione di dirigente (anche se apicale) della società.

 

 

26 Gennaio 2023

Azione sociale di responsabilità: onere della prova, distrazione di somme e danno da inadempimento di obbligazioni tributarie

Dalla natura contrattuale dell’azione sociale di responsabilità consegue che sull’attore grava esclusivamente l’onere di dimostrare l’inadempimento (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), il nesso di causalità tra quest’ultimo e il danno verificatosi,  mentre sugli amministratori incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.

L’art. 2476 c.c. compendia una responsabilità di tipo colposo, come emerge sia dal richiamo alla diligenza quale criterio di valutazione e imputabilità della responsabilità, sia dalla circostanza che la predetta disposizione consente all’amministratore di andare esente da responsabilità fornendo la prova positiva di essere immune da colpa per aver improntato la propria condotta a diligenza.

Nella valutazione della diligenza usata dall’amministratore nel caso concreto è necessario operare un giudizio ex ante e non ex post, dovendosi quindi prendere in considerazione solo le circostanze conosciute o conoscibili nel momento in cui è stata tenuta quella determinata condotta, poi risultata foriera di danni per la società.

Il versamento di somme contabilizzato alla voce “rimborso prestito soci” non può essere qualificato come tale se il beneficiario non rivestiva la qualifica di socio nel momento in cui il presunto finanziamento da rimborsare era stato erogato: il versamento deve ritenersi avvenuto in difetto di giustificazione causale e, di conseguenza, sottende una finalità distrattiva e dissipativa di denaro sociale.

Il pagamento dei tributi e degli oneri fiscali rappresenta un obbligo per gli amministratori ma, in caso di inadempimento, il danno subito dalla società non può essere parametrato all’entità dell’imposta o del contributo omesso, atteso che la società sarebbe stata comunque obbligata a sopportarne il costo. Il danno dev’essere quindi commisurato solo in considerazione dell’entità delle sanzioni comminate dall’amministrazione finanziaria e dagli interessi maturati successivamente alla scadenza del termine legalmente previsto, atteso che tali esborsi sarebbero stati evitati se l’amministratore, utilizzando l’ordinaria diligenza, avesse provveduto regolarmente ai propri obblighi.

È fatta salva la possibilità per l’amministratore convenuto di eccepire e provare di non aver potuto pagare, pur avendo impiegato la dovuta diligenza, in ragione dell’incapienza finanziaria o patrimoniale della società.

12 Dicembre 2022

Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e dell’amministratore di fatto

Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero per non aver osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.

5 Dicembre 2022

Natura dell’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore e onere della prova

Quando ad agire in giudizio nei confronti dell’ex amministratore sia la liquidazione giudiziale della società già gestita dal convenuto, la curatela esercita in modo cumulativo sia l’azione sociale di responsabilità, ovvero l’azione che la stessa società in bonis avrebbe potuto proporre nei confronti dell’organo gestorio per il danno arrecato al suo patrimonio, sia l’azione dei creditori sociali. Nel caso di condotte di carattere distrattivo, l’onere della liquidazione giudiziale è quello di allegare esattamente l’inadempimento degli obblighi conservativi del patrimonio sociale, dovendo poi allegare e provare il danno ed il nesso causale, sostanziandosi detto onere nella allegazione e prova della sottrazione dal patrimonio sociale delle risorse da parte dell’amministratore. Di converso, l’amministratore convenuto dovrà dare prova che l’atto dispositivo del patrimonio della società sia espressione dell’adempimento dei suoi obblighi conservativi ovvero che esso atto sia coerente con gli interessi sociali e posto in essere in ragione del perseguimento degli stessi.

(nel caso di specie, i pagamenti ottenuti dallo stesso amministratore unico erano secondo la corte da reputarsi del tutto ingiustificati posto che il medesimo, lungi dall’aver ottenuto in tal modo il versamento di compensi gestori, non si vede a che titolo abbia prestato la sua attività di consulenza, quando l’attività in questione, ove effettivamente prestata, doveva necessariamente reputarsi ricompresa nei propri poteri amministrativi e non avendo fornito alcuna prova contraria che siano stati eseguiti in ragione di attività e prestazioni effettivamente ottenute dalla società corrispondenti a un effettivo interesse sociale).

2 Dicembre 2022

Sul danno “in re ipsa” cagionato dalla perdita della “parità gestoria”

In caso di violazione di una clausola di prelazione contrattuale il danno derivante da perdita della “parità gestoria” può ritenersi “in re ipsa” poiché riconducibile ad un interesse giuridicamente rilevante del socio, consistente nella impossibilità oggettiva di conseguire l’esercizio di tutte le prerogative di partecipazione e gestione della società previste per legge e per statuto, prerogative che una partecipazione paritaria avrebbe procurato. Si tratta, in particolare, di diritti poteri e facoltà, insiti nella partecipazione paritaria del socio e che dunque ne corredano e definiscono il complessivo patrimonio, che, in sintesi, possono essere descritti come il potere del socio tanto di indirizzare le gestione della società, quanto di impedire decisioni rilevanti dell’amministratore o dell’assemblea senza il suo consenso.

3 Novembre 2022

Tolleranza dell’inadempimento e clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di distribuzione

La mera tolleranza dell’inadempimento da parte del creditore, sia che si estrinsechi sotto forma di una condotta negativa sia che si manifesti come condotta positiva, non integra una rinuncia tacita ad avvalersi della clausola risolutiva espressa presente nel contratto, ove il medesimo creditore contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti poi la volontà di avvalersi della predetta clausola in caso di protrazione dell’inadempimento. [Nella specie, la Corte ha qualificato come atto di tolleranza e non di rinuncia a far valere la clausola risolutiva espressa – poi successivamente attivata – la condotta del creditore che, pur a fronte del mancato raggiungimento da parte del distributore delle soglie minime di acquisto pattuite per la precedente annualità contrattuale, abbia continuato a dare esecuzione al contratto per due ulteriori mensilità, accettando ed eseguendo nuovi ordini, risolvendo il contratto solo una volta rilevata l’impossibilità per il distributore di raggiungere gli obiettivi minimi di acquisto contrattualmente pattuiti anche per l’anno corrente].

28 Ottobre 2022

Il contenuto della delibera di azione di responsabilità contro gli amministratori; la responsabilità dei sindaci per culpa in vigilando

L’art. 2393 c.c. non richiede che la deliberazione con cui l’assemblea autorizza l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità rechi una specifica motivazione volta ad illustrare le ragioni che giustificano tale scelta, tantomeno che rechi una individuazione specifica delle condotte degli amministratori asseritamene contrarie ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto. Ne deriva che è da escludere che la delibera prevista dall’art. 2393 c.c. circoscriva l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità solo agli atti di mala gestio eventualmente riportati nella relativa motivazione e che deve essere ritenuto senz’altro ammissibile, in sede di proposizione, fondare l’azione su fatti diversi da quelli specificamente esaminati dall’assemblea. A differenza di altre deliberazioni societarie, non è necessario che detta delibera sia motivata, né che individui in maniera specifica tutti gli addebiti, essendo sufficiente che emerga la volontà dei soci di ottenere per via giudiziaria il risarcimento del danno causato dalla mala gestio di determinati amministratori, poiché la delibera è soltanto una condizione dell’azione e non può predeterminarne il contenuto, che deve invece essere rimesso al vaglio degli amministratori attuali non in conflitto di interessi. L’azione di responsabilità, pertanto, non solo può essere concretamente esercitata nei confronti di alcuni soltanto degli amministratori indicati nella delibera assembleare, ma può anche essere fondata su fatti diversi da quelli specificatamente esaminati dall’assemblea in sede di delibera della relativa azione.

Per poter accertare la sussistenza della responsabilità dei sindaci in concorso omissivo con il fatto illecito degli amministratori o dei liquidatori, colui che propone l’azione ex art. 2407 c.c. ha l’onere di allegare specificamente quali doveri sono rimasti inadempiuti e quali poteri non sono stati esercitati dai sindaci, nonché di provare il danno e il nesso di causalità tra quelle omissioni e il danno, nesso che può ritenersi sussistente quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica (art. 2407, co. 2, c.c.), cioè quando, in base ad un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione diligente dei poteri che la legge accorda loro lo avrebbe ragionevolmente evitato o limitato. Ciò accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, specie se protratti per un lasso di tempo apprezzabile, poiché in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori (o dei liquidatori) pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni.

Se lo statuto della società non stabilisce il diritto dell’amministratore al compenso, esso è determinato dall’assemblea ordinaria dei soci all’atto della nomina o successivamente. In mancanza di determinazione in seno allo statuto è pertanto necessaria, perché sorga in capo all’amministratore il diritto al compenso, un’esplicita delibera assembleare. Le medesime regole valgono anche con riferimento al liquidatore, al quale lo statuto dell’amministratore, mutatis mutandis, è applicabile (art. 2489 c.c.).

Sede appropriata per la verifica dei soci in ordine alla correttezza, da parte dell’organo amministrativo, della liquidazione dei propri compensi sulla base di criteri già stabiliti in apposita e previa sede assembleare ed assumere le relative determinazioni, ben può essere anche l’ approvazione del bilancio di esercizio, considerando che tale delibera è pur capace di esplicare limitati e condizionati effetti negoziali non già, come ovvio, nei rapporti della società con terzi, ma nei rapporti interni, non solo tra soci e tra soci e società (es.: vincolo, solo per i soci che lo abbiano approvato, del bilancio che reca un determinato regime dei loro finanziamenti), ma anche con riferimento ai rapporti interni tra organo amministrativo proponente il progetto di bilancio e società. Tuttavia, perché in sede di approvazione del bilancio possa dirsi formata un’effettiva volontà dei soci in ordine al riconoscimento / ratifica del compenso erogato all’organo gestorio, è necessario che la relativa appostazione sia chiara e specifica sia con riferimento all’attribuzione della somma pagata all’organo stesso a titolo di compenso, sia con riferimento al suo ammontare.

Il revisore è il soggetto preposto per legge al controllo dei conti delle società di capitali. L’attività del revisore consta di due diverse fasi: quella ispettivo-ricognitiva e quella valutativa. Il revisore, infatti, verifica periodicamente la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione; a ciò segue la fase valutativa nella quale egli accerta se il bilancio di esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato corrispondano alle risultanze delle scritture contabili e siano stati redatti correttamente, esprimendo il relativo giudizio in apposita relazione (artt. 11 e 14 d.lgs. n. 39/2010). Il revisore contabile ha dunque prevalentemente doveri informativi che consistono specialmente nell’esprimere la valutazione sul bilancio di esercizio ma anche nel fornire tempestivamente al collegio sindacale informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti ex art. 2409 septies c.c. La presentazione di dichiarazioni fiscali è un’attività di natura senz’altro gestoria ed esula dai poteri preventivi di controllo del revisore.

20 Ottobre 2022

Sulla natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società

L’azione di responsabilità esercitata ai sensi dell’art. 2476, co. 3, c.c. deve essere qualificata in termini di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., sicché in capo all’attore grava esclusivamente l’onere di allegare compiutamente la sussistenza delle violazioni agli obblighi imposti in capo agli amministratori, oltre agli elementi costitutivi della domanda risarcitoria quali il nesso di causalità e il danno verificatosi, incombendo, invece, sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.

La domanda di risarcimento del danno, quale debito di valore, include implicitamente la domanda di riconoscimento sia di interessi compensativi che del danno da svalutazione, quali componenti indispensabili del risarcimento. Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di  risarcimento del danno hanno la funzione di compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito e pertanto costituiscono una necessaria componente dello stesso, come la somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, che non configura l’ipotesi di un risarcimento maggiore o diverso, ma soltanto una diversa espressione monetaria del medesimo.

6 Ottobre 2022

Ripartizione tra soci delle componenti attive e passive della società e giurisdizione del giudice italiano

L’azione che ha ad oggetto l’inadempimento da parte del convenuto del contratto di ripartizione tra i soci delle componenti attive e passive della società, ancorché si parli di omesso trasferimento della proprietà di un immobile sito all’estero, non è reale ma personale, sicché la giurisdizione deve essere radicata sulla base del parametro generale della residenza del convenuto.