hai cercato articoli in
Art. 1226 c.c.
118 risultati
23 Novembre 2018

I requisiti per la valutazione equitativa del danno nelle lesioni di diritti di proprietà intellettuale

Seppure nell’ipotesi di lesioni di beni di proprietà industriale ed intellettuale in sede applicativa si faccia largo impiego della valutazione equitativa del danno di cui all’art. 1226 c.c., tale rimedio può essere correttamente esperito solo nell’ipotesi [ LEGGI TUTTO ]

20 Novembre 2018

La mala gestio nell’azione di responsabilità promossa dalla curatela fallimentare: ancora sulla quantificazione del danno

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 cod. civ., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 legge fall., la quale, [ LEGGI TUTTO ]

29 Agosto 2018

Uso e registrazione di marchio identico al marchio anteriore registrato altrui per prodotti affini

Gli artt. 2569 c.c. e 20 c.p.i. attribuiscono al titolare del marchio di impresa registrato la facoltà di fare uso esclusivo del marchio ed il diritto di vietare a terzi – fermo restando il diritto di chi abbia dimostrato un preuso avente portata locale di continuare in tale preuso, nell’ambito di una sorta di “duopolio” – di usare un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità tra i prodotti o servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.

I marchi di cui costituiscono il cuore il nome comune dell’ingrediente principale usato per la preparazione dei prodotti seguito dal suffisso “osa”, non può ritenersi abbiano mera valenza descrittiva degli stessi. L’uso del suffisso “osa” evocativo del concetto di “golosità” e dunque della gradevolezza al gusto dei prodotti così denominati consente infatti di attribuire ai lemmi in questione una efficacia individualizzante sufficiente a rendere i marchi di cui costituiscono il cuore meritevoli di tutela (Il nucleo essenziale dei marchi per cui è causa è costituito dalle parole PISTACCHIOSA e MANDORLOSA per prodotti di pasticceria).

Considerata l’appartenenza dei prodotti contraddistinti dai marchi per cui è causa alla medesima categoria merceologica – l’identità fonetica del cuore dei marchi utilizzati dalle due società rende irrilevanti le differenze grafiche apportate, restando ininfluente il fatto che i marchi in questione siano annoverabili tra i marchi deboli in ragione dell’aderenza concettuale agli ingredienti base dei prodotti dagli stessi contraddistinti.

Il fatto che i prodotti abbiano una destinazione differente non è sufficiente a escludere il rischio di confusione atteso che il pubblico al quale sono destinati è costituito, in buona parte, da categorie di soggetti  che si sovrappongono ove si consideri che le due attività vengono spesso svolte contestualmente dagli stessi imprenditori (nella specie, i prodotti in questione erano destinati ad utilizzi diversi e tra loro infungibili, ovvero, da un lato, ai consumatori finali e ai laboratori di pasticceria, dall’altro, ai gelatai).

Se i marchi per cui è causa sono stati utilizzati nell’ultimo quinquennio per contraddistinguere prodotti diversi ma affini a quelli per i quali è stata effettuata la registrazione, non ricorre la causa di decadenza parziale per non uso rispetto a questi ultimi, atteso che si tratta di prodotti che rientrano nella medesima categoria merceologica, sicché sussiste l’uso effettivo nel settore.

17 Luglio 2018

Concorrenza sleale per storno di dipendenti e sfruttamento parassitario delle altrui informazioni aziendali riservate

Il passaggio dei dipendenti alla società concorrente non realizza, di per sé, in via diretta un danno alla struttura ed alla organizzazione produttiva del precedente datore di lavoro, cosicché non sussiste l’illecito concorrenziale di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. per storno di dipendenti allorché è assente l’elemento caratteristico dello storno, rappresentato dalla illegittima privazione delle competenze dei propri dipendenti realizzata dal concorrente al solo fine di sabotare l’altrui attività.

La necessità di recarsi e reperire fisicamente all’interno dell’azienda talune informazioni dimostra l’appartenenza delle stesse al patrimonio tecnico aziendale e ne impedisce la qualificazione come insieme di competenze tecnico-professionali in possesso del dipendente.

L’assunzione di ex collaboratori non dettata dalla particolare perizia o competenza degli stessi nel settore merceologico interessato bensì dalla volontà di acquisire e sfruttare in modo parassitario le informazioni aziendali riservate altrui così da poter proporre sul mercato in breve tempo un prodotto concorrente senza affrontare le spese di ricerca e sviluppo altrimenti necessarie viola l’art. 2598, n. 3, c.c.

 

 

 

4 Luglio 2018

Quantificazione del danno nell’ambito dell’azione di responsabilità esercitata contro l’amministratore di società fallita per l’aggravamento del dissesto

Nell’ambito di un’azione di responsabilità esercitata contro l’amministratore di una società fallita per violazione degli obblighi ex artt.2484 ss. ed ex art.2486 c.c. (cd.obbligo di gestione conservativa), qualora sia concretamente impossibile ricostruire ex post le singole operazioni “non conservative” del valore e della integrità del patrimonio sociale, espressamente vietate dall’art. 2486 c.c., il danno risarcibile è quantificabile [ LEGGI TUTTO ]

5 Giugno 2018

Criterio della “differenza dei netti patrimoniali” e continuazione dell’attività con capitale eroso

Il danno arrecato al patrimonio sociale dall’illecita continuazione dell’attività in modo eccedente la conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio ex articolo 2486 del codice civile in presenza del capitale sociale interamente eroso può equitativamente essere determinato [ LEGGI TUTTO ]

20 Aprile 2018

Indebito uso e registrazione del marchio anteriore registrato altrui nel settore vitivinicolo

La valutazione sulla obiettiva confondibilità dei segni distintivi va compiuta in maniera unitaria e sintetica dal punto di vista dei consumatori che siano dotati di media intelligenza e diligenza e non può risolversi in un’indagine di fatto sul raffronto tra il numero dei consumatori effettivamente caduti in confusione e quelli che invece non lo sono, tenendo altresì in considerazione se i prodotti siano destinati al commercio all’ingrosso e al dettaglio, quindi (anche) al grande pubblico. [nel caso di specie ritiene il Tribunale che ai fini della sussistenza del requisito della confondibilità assuma rilievo determinante l’uso da parte della convenuta del nucleo essenziale del marchio registrato dalla società attrice, la parola AUGUSTALE, denominazione di un’antica moneta d’oro con l’effige dell’imperatore romano Augusto, che, oltre a non essere una parola di uso comune, non ha una funzione intrinsecamente descrittiva dei prodotti per distinguere i quali è stata utilizzata, i vini, ma è ad essi collegata in virtù di un accostamento di pura fantasia che le attribuisce originalità ed efficacia individualizzante. Non assume rilievo in senso contrario l’aggiunta – sulle etichette dell’impresa convenuta – del nome del vitigno indicativa della provenienza geografica del prodotto].

Ai fini della liquidazione equitativa del danno e, in particolare, dell’ammontare delle spese sostenute a causa della contraffazione, assumono rilievo le spese documentate sostenute per effettuare la ricerca sul marchio presso banche dati, prodromica alla diffida attraverso uno studio specializzato.

 

Valutazione equitativa e rivalutazione monetaria del danno arrecato dagli amministratori al patrimonio sociale quale debito di valore

Al danno arrecato al patrimonio sociale da condotte di mala gestio degli amministratori consegue il sorgere di un debito di valore e dunque soggetto a rivalutazione monetaria per il lasso di tempo compreso da quando esso è accertato a quando è liquidato (i.e. il deposito della sentenza) oltre che suscettibile di valutazione equitativa del danno ex articolo 1226, come richiamato dall’articolo 2056 del codice civile (valore che nel caso di specie si attesta nella misura del tasso di interesse legale).

24 Gennaio 2018

Responsabilità degli amministratori e dei sindaci di s.r.l. nel fallimento e criterio di determinazione del danno

Il danno che gli amministratori ed i sindaci sono tenuti a risarcire, in sede fallimentare, quando, al verificarsi di una causa di scioglimento della società, abbiano, rispettivamente, violato o non vigilato sul dovere di non intraprendere nuove operazioni, non s’identifica automaticamente nella differenza tra passivo ed attivo accertati in sede di fallimento, ma può essere commisurato a tale differenza, in mancanza di prova di un maggior pregiudizio, solo se da detta violazione sia dipeso il dissesto economico ed il conseguente fallimento della società.

Anche qualora sia stata accertata l’impossibilità di ricostruire i dati con l’analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento degli organi sociali il suaccennato criterio differenziale può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa; ma, in tal caso, è compito del giudice del merito indicare le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta dei convenuti, nonchè la plausibilità logica del ricorso a detto criterio.

Non può ragionevolmente sostenersi che il deficit patrimoniale accertato nella procedura fallimentare – nella sua interezza – sia di regola la naturale conseguenza dell’essersi protratta la gestione dell’impresa in assenza delle condizioni che giustificano la continuità aziendale: non sarebbe logicamente corretto nè imputare all’amministratore le perdite patrimoniali che ben potrebbero già essersi verificate in un momento anteriore al manifestarsi della situazione di crisi, nè far gravare su di lui la responsabilità per le ulteriori passività che quasi sempre un’impresa in crisi comunque accumula nella fase di liquidazione. [fattispecie relativa a fatti verificatisi anteriormente all’introduzione del terzo comma dell’art. 2486 c.c., disposta dall’art. 378, comma 2, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14]

Nelle cause ex art. 146 l.fall., l’attore, pur non dovendo provare l’inadempimento del convenuto, lo deve quantomeno allegare; e l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento quale che sia, ma ad un inadempimento astrattamente efficiente alla produzione del danno. Grava poi sull’attore l’onere di provare danno e nesso di causalità.

Amministratori e sindaci, in sede fallimentare, non sono tenuti a risarcire il danno derivato alla società dall’omesso versamento degli oneri tributari, previdenziali ed assicurativi, ove non sia stata quantomeno allegata la presenza, nel patrimonio della società, dei fondi necessari ad adempiervi.

23 Gennaio 2018

Inadempimento del contratto di distribuzione cinematografica del film “Dracula” di Dario Argento e risarcimento del danno

In tema di risarcimento del danno derivante da inadempimento del contratto di distribuzione cinematografica, con riferimento al profilo del mancato guadagno, la liquidazione del danno va fatta in via necessariamente equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c.

Trattandosi di debito di valore, la cui funzione è quella di ricostruire integralmente il patrimonio del danneggiato sia pure attraverso un somma di denaro per equivalente, va anche riconosciuto il c.d. lucro cessante, per compensare il danneggiato del mancato tempestivo godimento dell’equivalente in denaro del bene perduto dalla data dell’evento all’attualità.

Tale somma può essere liquidata con la tecnica degli interessi legali, devalutando l’importo dovuto alla data dell’evento e poi calcolando gli interessi legali sulla somma originaria rivalutata anno per anno in base agli indici annuali di rivalutazione.