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Art. 2378 c.c.
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Per l’esclusione del socio di s.r.l. non è sufficiente il venire meno dell’affectio societatis

L’atto costitutivo di s.r.l. può prevedere “specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio” (art. 2473-bis c.c.), con la conseguenza che l’esclusione del socio è dunque possibile solo ove ricorrano due circostanze e, cioè, che l’atto costitutivo predetermini, in modo specifico, le cause di esclusione e che tali ipotesi convenzionali siano tutte riconducibili al genere della “giusta causa”.

Nella società a responsabilità limitata non basta pertanto il venir meno dell’affectio societatis per risolvere il vincolo sociale limitatamente ad un socio con una delibera assembleare adottata dalla maggioranza, ma occorre una apposita previsione statutaria che lo consenta. E’ necessario, dunque, che la giusta la causa di esclusione sia espressamente indicata come tale dai soci nell’atto costitutivo o nello statuto e dunque investita di tale rilevanza dagli stessi. E la specifica predeterminazione di fattispecie tipizzate di giusta causa è tesa, proprio, ad evitare che la decisione di esclusione possa volta per volta esser riempita con una valutazione discrezionale della maggioranza in merito alla ricorrenza della giusta causa stessa.

Nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio, incombe sulla società l’onere di provare i fatti posti a fondamento della deliberazione impugnata in quanto la veste di convenuta che la società assume in sede processuale è meramente formale, ed equivale, dal punto di vista sostanziale, a quella di attrice, quale parte che insista per la risoluzione del rapporto sociale.

27 Luglio 2022

Inesistenza, nullità e annullabilità della delibera assembleare

La disciplina in materia di vizi determinanti l’annullamento e la nullità delle delibere assembleari è autonoma rispetto alle norme generali che sanciscono le ipotesi di nullità e annullabilità dei contratti. In particolare, mentre nella materia negoziale l’azione di nullità ha portata generale poiché fondata sulla contrarietà dell’atto a norme imperative ed è l’azione di annullamento ad essere speciale (cioè esperibile nei soli casi previsti dalla legge), nel diritto societario, al contrario, la regola generale è quella dell’annullabilità.

In materia societaria, la categoria della nullità ha carattere residuale ed è limitata alle ipotesi di contrasto del contenuto di una deliberazione con norme preposte a tutela di interessi generali. Viceversa, il contrasto con norme volte alla tutela di interessi dei singoli soci o gruppi di essi (ossia dirette a regolare la fase procedimentale e le modalità di formazione della volontà dell’ente societario) determina di per sé la semplice annullabilità della deliberazione.

In conformità alla ratio di tale regime, cioè garantire stabilità e certezza all’attività sociale a beneficio della società stessa nonché dei terzi, non sono configurabili ipotesi di invalidità atipiche, come l’inesistenza delle deliberazioni assembleari. Pertanto, si può parlare di inesistenza della deliberazione assembleare solo in relazione a pronunce aventi ad oggetto esclusivamente fattispecie nelle quali l’atto impugnato non sia definibile come deliberazione, non trattandosi di atto nemmeno astrattamente imputabile alla società o, pur sussistendo un atto qualificabile come tale, esso registri uno scostamento dal modello legale così marcato da non permetterne la riconduzione alla categoria stessa di deliberazione assembleare.

Non si versa in ipotesi di inesistenza in caso di delibera proveniente da assemblea partecipata anche da uno solo dei soci o di delibera adottata con voto determinante di soggetti non legittimati al voto e cioè quando la decisione sia esteriormente riconducibile all’organo decisionale societario ed ascrivibile al genus della delibera assembleare, per la presenza di almeno uno degli elementi essenziali alla identificazione della fattispecie.

Allo stesso modo, vizi quali il mancato raggiungimento del quorum costitutivo, la simulazione dell’incontro assembleare e l’inosservanza degli obblighi di preventiva informazione sono riconducibili alle ordinarie ipotesi di invalidità (i.e. nullità o annullabilità) e, pertanto, devono essere fatti valere entro i termini previsti dalla legge.

L’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di s.r.l., visto il richiamo espresso realizzato dall’art. 2479 ter, co. 4, c.c. all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., non può essere proposta dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, per esigenze di certezza dei rapporti giuridici.

27 Luglio 2022

Principi in tema di circolazione di partecipazioni sociali e acquisto di azioni proprie

Il termine di 90 giorni previsto dall’art. 2388, comma 4, c.c. per impugnare una delibera assembleare è interrotto dall’avvio del procedimento di mediazione di cui al d.lgs. 28/2010, non rilevando a tal fine che si tratti di mediazione obbligatoria o facoltativa: infatti, l’art. 5, comma 6, d.lgs. 28/2010, laddove regola l’effetto della domanda di mediazione rispetto a prescrizione e decadenza, non distingue in alcun modo tra mediazione obbligatoria e facoltativa e costituisce pertanto norma di chiusura circa gli effetti sostanziali del procedimento.

L’errore sul prezzo non ha natura essenziale e rilevante e la sua eventuale ricorrenza esclude il rimedio dell’annullabilità. In particolare, in tema di compravendita delle azioni di una società, il valore economico dell’azione non rientra tra le qualità di cui all’art. 1429, n. 2, c.c., relativo all’errore essenziale, essendo la determinazione del prezzo delle azioni rimessa alla libera volontà delle parti.

Il procedimento di cui all’art. 2357 c.c. per l’acquisto di azioni proprie è improntato sulla distinzione tra il potere autorizzativo dell’assemblea dei soci e quello invece decisionale che spetta agli amministratori e che potrebbe anche condurre, pur in presenza dell’autorizzazione dei soci, a non dare poi corso all’acquisto, perché non ritenuto più conveniente o opportuno. Infatti, la valutazione circa l’opportunità dell’acquisto costituisce un apprezzamento di natura gestoria che appare coerentemente rimesso alla valutazione dell’organo amministrativo, spettando all’organo assembleare autorizzarne poi l’acquisto.

È ammissibile la ratifica, da parte dell’assemblea, dell’acquisto di azioni proprie deciso dal consiglio di amministrazione senza previa autorizzazione dell’assemblea.

Sospensione della delibera assembleare di esclusione del socio di S.r.l.

Ai fini della valutazione da parte del giudice sulla sospensione cautelare della delibera assembleare impugnata ex art. 2378 c.c., i presupposti richiesti per la concessione di tale misura cautelare tipica sono la rilevazione, sia pure a livello di fumus (e cioè di probabilità), di un vizio invalidante e del periculum in mora, il cui accertamento richiede, in concreto, la comparazione tra il pregiudizio che l’opponente potrebbe subire per effetto dell’esecuzione di una delibera invalida e quello che potrebbe patire la società per effetto della sospensione di tale esecuzione. In sostanza, affinché la delibera possa essere cautelarmente sospesa, è necessario che il giudice accerti: a) che effettivamente, sia pure a livello di fumus, la delibera/decisione impugnata sia inficiata da vizi di legittimità che ne comporterebbero l’annullabilità ovvero la nullità; b) che l’opponente, per effetto della mancata sospensione, finirebbe per subire un danno illecito superiore a quello che legittimamente subirebbe la società ove la sospensione fosse viceversa, accordata (periculum in mora).

25 Luglio 2022

La legittimazione dell’amministratore decaduto per effetto della clausola simul stabunt simul cadent a impugnare la delibera assembleare di nomina del nuovo organo amministrativo

L’art. 2386, co. 4, c.c., che recepisce la clausola simul stabunt simul cadent, introduce la regola generale secondo cui gli amministratori superstiti restano in carica, in regime di prorogatio di poteri, tanto da essere tenuti alla convocazione d’urgenza dell’assemblea per la nomina del nuovo consiglio e l’eccezione che può essere prevista nello statuto, ossia il subentro del collegio sindacale, non soltanto nel potere di convocazione dell’assemblea, ma anche nel compimento di atti di ordinaria amministrazione. Pertanto, l’amministratore decaduto per effetto della simul stabunt simul cadent, se non è diversamente previsto nello statuto, deve ritenersi in carica fino all’avvenuta nomina del nuovo organo amministrativo e conserva – non nell’interesse proprio, ma nell’interesse alla legalità della società – la legittimazione ex art. 2377 c.c. a chiedere l’annullamento della deliberazione assembleare, se affetta da vizi che inficino l’evento della nomina del nuovo organo amministrativo.

L’applicazione della clausola simul stabunt simul cadent comporta un’anticipazione della scadenza naturale dell’intero consiglio, per effetto della cessazione di uno dei consiglieri. Tale clausola implica, dal lato dell’amministratore, l’accettazione del rischio di cessazione anticipata e involontaria dalla carica, che non equivale né in fatto, né sul piano delle conseguenze giuridiche, a una revoca dell’incarico.

La clausola statutaria simul stabunt simul cadent prevede e determina una causa naturale di cessazione dalla carica di amministratore in base alla quale, a seguito delle dimissioni anche di un solo membro dell’organo gestorio, si determina l’immediata decadenza dell’intero CdA, ma l’esercizio della clausola deve sempre essere valutato alla luce del principio generale di buona fede, al fine di armonizzarne il corretto ambito di operatività. Infatti, tale clausola – di per sé lecita e legittima – non deve finire per essere utilizzata in modo strumentale e improprio, al fine di ottenere una revoca anticipata di uno degli amministratori in carica, senza che ricorrano quelle congrue motivazioni e quelle conseguenze onerose previste dall’art. 2383 c.c.

L’uso indiretto delle dimissioni, al fine di innescare l’operatività della clausola simul stabunt simul cadent, non può avere maggiori effetti di una revoca senza giusta causa e non comporta, pertanto. l’invalidità della deliberazione di nomina del nuovo organo amministrativo, ma la semplice pretesa dell’amministratore, indirettamente revocato senza giusta causa, a pretendere l’indennizzo ex art. 2383 c.c.

L’onere di provare l’uso strumentale della clausola simul stabunt simul cadent ricade sull’amministratore decaduto e non può ritenersi soddisfatto per l’assenza di propri comportamenti negligenti o comunque l’assenza di situazioni integranti giusta causa di revoca. Incombe dunque sull’attore la prova della esclusiva finalizzazione della clausola alla sua estromissione dal collegio degli amministratori per il conseguimento di interessi extrasociali o di un gruppo della compagine sociale e quindi l’ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa.

18 Luglio 2022

Azione di impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione di s.r.l.

L’art. 2388 c.c., applicabile anche alle delibere assunte dal consiglio di amministrazione delle s.r.l., contiene un principio generale di sindacabilità – ad iniziativa degli amministratori assenti o dissenzienti ovvero dei soci i cui diritti siano stati direttamente incisi – che si realizza mediante applicazione delle regole contenute nell’art. 2377 c.c., a sua volta espressivo di un principio generale di sindacabilità delle deliberazioni di tutti gli organi sociali per contrarietà alla legge o all’atto costitutivo, in conformità ad un orientamento giurisprudenziale che, nonostante la letterale limitazione dell’impugnabilità delle delibere del consiglio di amministrazione, sia della s.p.a. sia della s.r.l., viziate dal voto determinante di amministratori versanti in conflitto di interesse, ne ha fatto applicazione superando la predetta limitazione.

Tale impugnabilità va circoscritta negli stessi limiti previsti dalla disposizione in materia di s.p.a., limiti che sono preordinati ad accentuare il regime di stabilità delle deliberazioni dell’organo gestorio rispetto a quello proprio delle deliberazioni dell’organo assembleare, in particolare la disciplina ex art. 2388 c.c. sotto il titolo di “validità delle deliberazioni del consiglio”, non operando per le prime (a differenza di quanto previsto per le seconde dagli artt. 2377 e 2378 c.c.) alcuna distinzione tra ipotesi di c.d. “annullabilità” e “nullità”, consente l’impugnabilità delle delibere del consiglio di amministrazione in ogni caso solo ai soggetti specificatamente indicati ed entro il termine di decadenza previsto, e ciò a prescindere dalla “gravità” del vizio denunciato, salva l’ipotesi estrema di delibera inesistente, vale a dire di delibera non riconducibile in alcun modo a una manifestazione di volontà – sia pure irrituale – di organo gestorio.

L’art. 2388 c.c. attribuisce la legittimazione ad agire all’azione di impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione all’amministratore assente o dissenziente, ponendo la qualifica di amministratore quale condizione dell’azione. La legittimazione ad agire e l’interesse ad agire costituiscono condizioni dell’azione che devono sussistere fino al momento della decisione e la cui carenza è rilevabile anche d’ufficio. L’amministratore cessato difetta di interesse ad agire, che è collegato alla funzione di amministratore.

14 Giugno 2022

Delibera assembleare di revoca dell’amministratore: presupposti e requisiti per l’accoglimento della sospensione in via cautelare

Le doglianze relative ad asserite lacune informative circa il contenuto dell’ordine del giorno, quale forma di insufficienza dell’avviso di convocazione, non soddisfano il requisito del fumus boni iuris necessario per la richiesta cautelare di sospensione di una delibera assembleare (nel caso di specie adunanza con la quale viene revocato l’amministratore). E invero, non sussiste alcuna previsione che imponga nell’avviso di convocazione un contenuto di dettaglio, o addirittura una proposta di delibera assembleare atteso che il legislatore con la disposizione normativa di cui all’art. 2479 bis cod.civ. tutela “la tempestiva informazione sugli argomenti”.

Per le medesime finalità di impugnazione, altresì, non può ritenersi soddisfatto il requisito del humus boni iuris in presenza di un asserito abuso di maggioranza laddove la revoca avvenga in presenza di una lacuna degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili coerenti con la natura e le dimensioni dell’impresa ex art. 2086, cod.civ.

 

 

27 Maggio 2022

Annullabilità della delibera di nomina di lavoratori subordinati della società quali membri del c.d.a.

La qualità di dipendenti a tempo indeterminato della società, rivestita dal presidente e dal vicepresidente del c.d.a., non vale ad integrare i presupposti del conflitto d’interessi in relazione alla delibera di attribuzione delle predette qualifiche, in quanto la coesistenza delle due qualifiche certamente imporrà agli stessi di assolvere agli obblighi imposti dall’art. 2391 c.c. ogni volta che nell’attività di amministrazione verranno in rilievo questioni relative ai rapporti con il personale e, a maggior ragione, ogni volta che si tratterà di decidere su questioni che attengono al loro rapporto di lavoro con la società, con conseguente annullabilità delle delibere eventualmente adottate in ordine a tali argomenti in violazione della suddetta disciplina, ma ciò non inficia la validità delle delibere di attribuzione delle cariche essendo il requisito della potenziale dannosità per la società del tutto ipotetico.

23 Maggio 2022

Sospensione cautelare dell’esecuzione della deliberazione assembleare

La sospensione dell’esecuzione di una delibera assembleare di una società di capitali costituisce una misura cautelare tipica, in quanto espressamente prevista dal terzo comma dell’art. 2378 c.c. e richiede la contemporanea sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris, inteso quale verosimiglianza di fondatezza della domanda, e del periculum in mora, da accertarsi attraverso la comparazione tra il pregiudizio che illegittimamente l’opponente potrebbe subire per effetto dell’esecuzione di una delibera invalida e quello che, legittimamente, potrebbe patire la società per effetto della sospensione di tale esecuzione.

Al fine di valutare la sussistenza del presupposto del periculum in mora, occorre effettuare un bilanciamento tra l’interesse ad agire in via cautelare del socio e quello a resistere della società, al fine di salvaguardare la stabilità degli atti della società adottante il provvedimento, che deve ritenersi essenziale per il buon funzionamento dell’impresa collettiva sul mercato. In particolare, l’interesse della società alla continuità e alla stabilizzazione dell’organizzazione dell’impresa costituisce parte integrante e determinante della suddetta valutazione comparativa.

21 Maggio 2022

E’ presumibile che il socio detenuto presso una casa circondariale non abbia conoscenza dell’avvenuta notifica dell’avviso di convocazione dell’assemblea dei soci effettuata presso il suo domicilio

La deliberazione dell’assemblea dei soci assunta senza la convocazione di uno dei soci è da ritenersi nulla, poiché il disposto dell’art. 2479 ter, c. 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese “in assenza assoluta di informazioni” non si riferisce soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare ma anche alla mancanza di informazioni sull’avvio del procedimento deliberativo. Alla situazione di omessa convocazione dell’assemblea è equiparabile la mancata ricezione da parte del socio del relativo avviso in tempo utile per poter partecipare all’assemblea e, pertanto, ancorché sia stato correttamente avviato l’iter del procedimento deliberativo previsto dalla legge mediante la spedizione dell’avviso, la comprovata ignoranza da parte del socio della convocazione, determina la nullità della deliberazione.

E’ presumibile che il socio detenuto presso una casa circondariale non abbia avuto conoscenza della spedizione, ritualmente effettuata, dell’avviso di convocazione dell’assemblea al suo domicilio, in quanto la detenzione in carcere rappresenta indubbiamente un impedimento ostativo alla ricezione dell’avviso di convocazione all’assemblea a lui non imputabile tale da giustificare la declaratoria di nullità delle deliberazioni impugnate.