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Art. 2393 c.c.
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Irregolare tenuta delle scritture contabili e azione di responsabilità

Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4 c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del “falso”, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi di sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Tali condotte, dunque, devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

In caso di azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, il danno non deve essere automaticamente identificato nella differenza tra attivo e passivo fallimentare. Può essere individuato in via presuntiva (art. 1226 c.c.) nella differenza fra attivo e passivo solo in caso di radicale impossibilità di ricostruire le vicende societarie per mancanza o assoluta inattendibilità delle scritture contabili e a condizione che sia allegato e dimostrato uno specifico inadempimento, imputabile all’amministratore, tale da determinare specifici effetti pregiudizievoli – c.d. “inadempimento qualificato” – ma che non può consistere nell’omessa tenuta delle scritture contabili, in quanto la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina.

27 Maggio 2020

Responsabilità del liquidatore di s.r.l.

In tema di liquidazione delle società di capitali, ove l’assemblea che ha deliberato lo scioglimento della società e la nomina del liquidatore non abbia determinato i poteri attribuiti a quest’ultimo alla stregua delle indicazioni contenute nell’art. 2487, co. 2, c.c., il liquidatore è investito, in forza dell’art. 2489, co. 1, c.c., del potere di compiere ogni atto utile per la liquidazione della società (ivi inclusa dunque la proposizione di un’azione di responsabilità nei confronti del precedente liquidatore). Alla stregua del principio appena richiamato e della rinunciabilità dell’azione prevista dall’art. 2476, co. 5, c.c., l’eccezione di improcedibilità dell’azione fondata sulla mancanza della delibera assembleare di autorizzazione alla proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore e sull’invocata applicazione analogica della norma dettata dall’art. 2393 c.c. in materia di s.p.a. non merita accoglimento, non essendo lo stesso art. 2393 c.c. applicabile analogicamente alle s.r.l.

L’amministratore di fatto e quello di diritto rispondono in solido del danno cagionato alla società con le proprie condotte concorrenti, commissiva e omissiva e analogo principio vale per i liquidatori ai quali si applicano le norme sulla responsabilità dell’amministratore in forza del rinvio operato dall’art. 2489 c.c.

21 Maggio 2020

Prescrizione ed esercizio unitario da parte della curatela fallimentare delle azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c.

È consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 23452/2019) il principio secondo il quale l’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.f. cumuli in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali. L’esercizio unitario di tali azioni non esclude tuttavia l’autonomia delle stesse, che rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti e nella loro natura giudica, seppure entrambe finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo fallimentare tutto quanto “sottratto” o “perduto” per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori o ai sindaci.

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21 Maggio 2020

Opponibilità al fallimento della clausola statutaria compromissoria per arbitrato irrituale

L’esercizio unitario ex art 146 l.f. da parte del curatore, a ciò espressamente legittimato dall’art 2394 bis c.c., delle azioni di responsabilità ex artt 2393 e 2394 c.c. non esclude l’autonomia delle azioni che rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti, nei loro elementi costitutivi, nella loro qualificazione, nella loro disciplina probatoria, seppure entrambe finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo fallimentare tutto quanto “sottratto” o “perduto” per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori o ai sindaci. L’autonomia e indipendenza delle due azioni esercitate dal curatore ex art 146 l.f. trova una esplicita conferma nel codice della crisi di impresa che all’art 255, prevede, con una significativa modifica rispetto al testo dell’art 146 comma 2 l.f., che il curatore possa promuovere o proseguire, anche separatamente l’azione di responsabilità sociale, l’azione dei creditori sociali prevista dall’art 2394 c.c. e dall’art 2476 comma 6 c.c., l’azione prevista dall’art 2476 comma 7 c.c., l’azione prevista dall’art. 2497 quarto comma c.c. e tutte le azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge.

Ove lo statuto sociale devolva ad un arbitro la risoluzione, inter alia, delle controversie promosse nei confronti di amministratori aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, tale clausola opera con riferimento all’azione di responsabilità sociale degli amministratori ex art. 2393 c.c. ma non all’azione ex art. 2394 c.c. proposta dai creditori sociali, i quali sono soggetti terzi rispetto alla società e al suo statuto. In conseguenza di ciò, la clausola arbitrale contenuta nello statuto sociale è opponibile al curatore che agisca ex art. 146 l.f. con riferimento all’azione ex art. 2393 c.c., dal momento che quest’ultima colloca il curatore nella medesima posizione della società verso gli amministratori.

14 Maggio 2020

Gli interessi degli amministratori ex art. 2391 c.c. e la responsabilità degli stessi verso la società ex art. 2392 c.c.

Costituisce violazione dell’art. 2391 c.c. l’atto gestorio dell’amministratore che, concludendo operazioni negoziali in spregio alla riserva di collegialità prevista da precedente delibera consiliare, autorizzi operazioni patrimonialmente rilevanti ed onerose con parti correlate, omettendo di rendere gli altri amministratori compiutamente partecipi dei propri interessi personali.

Non sussiste responsabilità dell’amministratore, laddove – anche accertato l’inadempimento dello stesso ai propri obblighi gestori – il danno risulti mancante per la caducazione del provvedimento giudiziale posto a base della contestazione attorea (nel caso di specie, decreto ingiuntivo per prestazioni professionali rese dallo studio professionale nel quale l’amministratore convenuto aveva un interesse personale).

La decorrenza del termine di prescrizione dell’azione dei creditori sociali e la determinazione del compenso degli amministratori

L’azione di responsabilità, esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146, comma 2 l.fall., cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392-2393 c.c. e dall’art. 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale. Tali azioni, peraltro, non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione. La prescrizione dell’azione dei creditori sociali promossa dal curatore fallimentare inizia a decorrere dall’insufficienza patrimoniale oggettivamente conoscibile dai creditori ravvisata nella pubblicazione del bilancio dell’esercizio, approvato dall’assemblea dei soci, dal quale emerga per la prima volta un’ingente perdita. In assenza di oggettiva conoscibilità dello stato di decozione la prescrizione inizia a decorrere dal fallimento, al pari dell’azione sociale.

Nel caso in cui la quantificazione del compenso degli amministratori di società di capitali non sia prevista dall’atto costitutivo, come previsto dall’art. 2389, comma 1, c.c., è necessaria un’apposita delibera assembleare che provveda in tal senso, non potendo la stessa essere considerata implicita nella delibera di approvazione del bilancio.

24 Aprile 2020

Azione dei creditori sociali esercitata dal curatore: decorrenza del termine di prescrizione

L’azione ex art. 146 l. fall. del curatore fallimentare unisce in sé le azioni di responsabilità degli amministratori verso la società (art. 2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2934 c.c.).

Quando il curatore agisce nei confronti del liquidatore (o amministratore) in carica prima della dell’organo fallimentare :

– il termine quinquennale di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.)  decorre dalla cessazione del liquidatore (o amministratore) dalla carica, avvenuta al momento della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento.

– il termine quinquennale di prescrizione dell’azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. In questa fattispecie, l’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sul liquidatore (o amministratore) che eccepisce la prescrizione dell’azione. Tuttavia la mera constatazione che da un bilancio precedente la dichiarazione di fallimento fosse rilevabile l’elevata esposizione debitoria della società non implica, di per sé, né che la stessa fosse insolvente, né che il patrimonio fosse insufficiente a soddisfare i creditori sociali.

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24 Aprile 2020

Profili di responsabilità per i danni arrecati alla società fallita e al ceto creditorio e inoperabilità dell’eccezione di transazione ex art. 1304 c.c. tra condebitori solidali nella liquidazione del danno

La circostanza che una data operazione posta in essere dagli amministratori della società fallita abbia dato un esito economico negativo non è di per sé sufficiente a dimostrare la responsabilità degli amministratori, atteso che all’amministratore non può essere imputato di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, rientrando tale valutazione nella sfera della discrezionalità imprenditoriale e come tale irrilevante come fonte di responsabilità nei confronti della società. Tale caveat trova però il limite della “ragionevolezza” delle operazioni economiche poste in essere, da interpretarsi tanto in chiave ex ante, quanto con valenza prognostica relativamente alla valutazione preventiva dei margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Così, è da ritenersi assolutamente irragionevole e non giustificabile l’operazione di finanziamento realizzata con apporti in conto capitale posta in essere da società che versi in situazione di crisi a favore di altra società già in stato di liquidazione.

Nessuna responsabilità si ravvisa, invece, in capo ai sindaci per non aver esercitato nessuna delle prerogative loro rimesse dall’art. 2403-bis c.c., laddove: (i) l’operazione di finanziamento – pur essendo correttamente registrata a bilancio – non risulti dai verbali del Consiglio di Amministrazione; (ii) l’importo del finanziamento abbia uno scarso impatto sui bilanci della società; (iii) non sia provato il nesso causale tra la presunta inerzia dei sindaci rispetto all’operazione di finanziamento e il danno subito.

Quanto alla liquidazione del danno, qualora fossero stati riconosciuti responsabili, i sindaci convenuti in carica all’epoca dei fatti non avrebbero potuto profittare della transazione conclusa tra i membri dell’ultimo collegio sindacale in carica e la società fallita, nel caso in cui la transazione non avesse avuto ad oggetto l’intera obbligazione solidale ma solo la quota dei sindaci transanti, dovendosi comunque ritenere sciolto il vincolo di solidarietà tra i sindaci che hanno transatto e gli altri sindaci e amministratori in astratto chiamati a rispondere solidalmente dei danni. Dell’importo transatto, poi, dovrà tenersi conto in detrazione con imputazione alla quota di responsabilità attribuibile ai sindaci parte della transazione nella liquidazione del danno di cui eventualmente saranno tenuti a rispondere gli amministratori (e gli altri sindaci convenuti). In ogni caso, se il danno accertato oltrepassa il limite della domanda proposta dal fallimento e l’eccedenza è superiore alle somme già percepite dal fallimento stesso in esito alle transazioni pro quota concluse con i sindaci, il debito residuo a carico degli altri obbligati dovrà essere ridotto non già per un ammontare pari a quanto pagato con le transazioni, bensì in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto.

24 Aprile 2020

Unitarietà dell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare: onere della prova e prescrizione

L’art. 146 L.F., secondo cui sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, le azioni di responsabilità contro amministratori, componenti dell’organo di controllo, direttori generali e liquidatori, compendia in sé le azioni di responsabilità degli amministratori verso la società (artt. 2392-2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2394 c.c.). Per quanto riguarda i liquidatori dall’art. 2489, co. 2 c.c. discende l’applicabilità agli stessi delle norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori verso la società (artt. 2932-2393 c.c.) e verso i creditori sociali (art. 2934 c.c.).

In particolare, è stato rilevato che è nelle facoltà del curatore scegliere quale delle due azioni esercitare o scegliere di esercitarle entrambe. Alla luce del principio dell’unitarietà dell’azione ex art. 146 L.F. (e della natura contrattuale della responsabilità), infatti,  questo poco incide sul principio in base al quale grava sul curatore che promuove dette azioni l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, incombendo, per converso, su amministratori e sindaci (e nel caso di specie, sul liquidatore) l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, in riferimento agli addebiti contestati, del rispetto dei doveri e del corretto adempimento degli obblighi loro imposti.

Limitatamente alla prescrizione, ove l’azione esercitata dal curatore fallimentare dovesse essere ricondotta all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c., il termine quinquennale è da considerarsi sospeso, a norma dell’art. 2941 n. 7 c.c., fino alla cessazione del liquidatore dall’incarico. Anche qualora, poi, l’azione esercitata dalla curatela fallimentare dovesse essere riconducibile all’azione dei creditori sociali ex 2394 c.c., essa si prescriverebbe nel termine di cinque anni decorrenti dal momento dell’oggettiva percepibilità da parte dei creditori dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. L’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si sia manifestata e sia divenuta conoscibile già prima della data di dichiarazione del fallimento – alla luce della predetta natura contrattuale della responsabilità – grava su colui che eccepisce la prescrizione e la mera contestazione dell’esposizione debitoria della società non assolve a ciò, non implicando, di per sé, né che la società sia insolvente, né che il patrimonio sia insufficiente a soddisfare i creditori sociali.

16 Aprile 2020

Responsabilità degli amministratori verso la società ex artt. 2392 e 2393 c.c. e verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c.: differenti presupposti e finalità

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., anche quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l.fall. (Cass. 24715 del 2015), non riguarda il mancato pagamento di singoli crediti e presuppone, invece, la dimostrazione che, in conseguenza dell’inadempimento delle obbligazioni ex artt. 2476, c. 1 e 2486 c.c., e della violazione del dovere di amministrare con competenza e diligenza, sia andata persa la garanzia patrimoniale generica e, cioè, che, per l’eccedenza delle passività sulle attività, il patrimonio sociale sia divenuto insufficiente a soddisfare le ragioni del ceto creditorio, situazione non necessariamente coincidente con lo stato di insolvenza o con la perdita integrale del capitale sociale (che possono verificarsi pur in presenza di attivi da liquidare idonei a soddisfare il ceto creditorio Cass. n. 28613 del 2019).

L’azione sociale è diretta semplicemente alla reintegrazione del patrimonio della fallita, l’azione dei creditori invece non si interessa del patrimonio sociale di per sé, ma quale garanzia per i terzi, e può essere accolta nel momento in cui sia dimostrata la insufficienza del patrimonio residuo a soddisfare i creditori della società fallita, e il nesso causale tra la situazione descritta e la condotta colposa dell’amministratore. Va altresì rilevato che secondo l’orientamento tradizionale l’azione dei creditori è volta a far valere una responsabilità extracontrattuale, non contrattuale, con la conseguente diversa ripartizione dell’onere della prova: spetta quindi all’attore la dimostrazione sia della condotta colposa, e illecita, posta in essere dall’amministratore che del danno causato, in nesso di causa effetto rispetto alla condotta.