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Art. 2409 c.c.
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20 Luglio 2021

I doveri di controllo e la responsabilità dei sindaci

Il sistema dei controlli nelle società di capitali è un sistema composito che coinvolge una pluralità di soggetti e organi, quali gli amministratori non esecutivi e gli amministratori indipendenti, i sindaci, i revisori, il comitato per il controllo interno, l’organismo di vigilanza di cui al d.lgs. 231/01 e il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle società quotate di cui all’art. 154 bis t.u.f., allo specifico fine di ottenere, grazie all’eterogeneità dei controlli, una garanzia rafforzata dell’osservanza delle regole di corretta amministrazione. La particolare conformazione della struttura societaria induce a doveri più intensi, come quando la società sia parte di un gruppo o si tratti di società a ristretta base familiare, soggetta perciò a influenze esterne anche pregiudizievoli.

La responsabilità omissiva del soggetto tenuto, per funzione, ad esercitare un controllo sull’agire di altri è per fatto proprio colpevole, purché si riscontrino la condotta almeno colposa e il nesso di causa con il danno, dovendosi ritenere ormai espunta anche dal diritto civile la responsabilità oggettiva, la responsabilità per fatto altrui o quella da mera posizione.

I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.

Ai fini dell’affermazione della responsabilità dei membri degli organi di controllo, è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità. Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori, ai fini della responsabilità dei primi, secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione dei poteri sindacali avrebbe ragionevolmente evitato l’illecito, tenuto conto di tutte le possibili iniziative che il sindaco può assumere esercitando i poteri-doveri propri della carica, quali: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403 bis c.c., la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ai sensi dell’art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. ed ogni altra attività possibile ed utile.

Non è sufficiente ad esonerare i sindaci della società da responsabilità, in presenza di una illecita condotta gestoria posta in essere dagli amministratori, la dedotta circostanza di esserne stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, qualora i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori.

L’obbligo di vigilanza impone – prima ancora che la verifica sulla regolarità formale degli atti e delle relazioni degli amministratori – la ricerca di adeguate informazioni, in particolare da parte dei componenti dell’organo sindacale, la cui stessa ragion d’essere è il provvedere al controllo sulla gestione. Onde sussiste la colpa in capo al sindaco già per non avere rilevato i c.d. segnali d’allarme, individuati dalla giurisprudenza anche nella stessa soggezione della società all’altrui gestione personalistica.

Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco di società di capitali da responsabilità, in quanto non integrano un’adeguata vigilanza sull’operato altrui e sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo; le dimissioni diventano anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità.

Neppure l’essere stato designato alla carica solo dopo la commissione dell’illecito è di per sé circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità, in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie viene meno per il fatto imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio.

Ai fini dell’esonero dalla responsabilità è necessario invece che i componenti dell’organo di controllo – gravati dal relativo onere probatorio a fronte dell’allegazione dell’inerzia e della prova del fatto illecito gestorio da parte dell’attore – abbiano esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge, fino alla denuncia all’autorità giudiziaria civile e penale, in mancanza delle quali concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge. Anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati; la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale, dato che, all’opposto, una condotta attiva giova a rompere il silenzio sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione un analogo atteggiamento degli altri.

La responsabilità dell’amministratore di società di capitali per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie a contenere le perdite e per la mancata richiesta di fallimento nonostante la vistosità ed irreversibilità del dissesto non viene meno per effetto della responsabilità del precedente amministratore nell’aver occultato detto stato, una volta che di questo egli abbia avuto contezza.

16 Giugno 2021

Denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c.

La nuova formulazione dell’art. 2409 c.c. consente di affermare come non assuma rilievo qualsiasi violazione di doveri gravanti sull’organo amministrativo, ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Le gravi irregolarità, come da giurisprudenza prevalente, devono – oltre che riguardare la sfera societaria e non quella personale degli amministratori – essere attuali, per cui nessun provvedimento potrà essere adottato qualora le stesse abbiano esaurito ogni effetto. Infine, esse devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale.

Con riferimento alle condotte, alla luce dell’opzione legislativa per l’atipicità delle irregolarità, il requisito della gravità postula fatti e deficienze non altrimenti eliminabili, concretanti violazioni di legge e, segnatamente, delle norme civili, penali, amministrative e tributarie e dello statuto e – in virtù del richiamo di cui all’art. 2392, comma 1, c.c. – delle regole generali di gestione diligente nell’interesse sociale e in assenza di conflitti di interesse, che si sostanzino in fatti specificamente determinati e ascrivibili agli amministratori.

Inoltre non rilevano né il tipo di norma violata né lo stato soggettivo (dolo o colpa) di amministratori e sindaci, non essendo il procedimento instaurato in seguito a un ricorso presentato ai sensi dell’art. 2409 c.c. direttamente collegato all’esercizio dell’azione di responsabilità, in quanto trattasi di procedimento volto a ripristinare la regolarità dell’attività gestoria e privo di ogni finalità sanzionatoria.

Quanto al requisito dell’attualità, non rilevano vicende societarie esaurite e non ulteriormente produttive di possibili effetti nocivi, non potendosi dar luogo all’intervento dell’autorità giudiziaria quando sia già stato ripristinato l’ordine amministrativo e gli effetti della condotta siano ormai intangibili, come si evince anche dalla previsione di cui all’art. 2409, comma 3, c.c.

Inoltre, le irregolarità devono essere idonee alla causazione di un danno alla società. Deve reputarsi sufficiente anche il mero pericolo di danno futuro, purché patrimonialmente rilevante, alla società; non rivestono, invece, alcuna rilevanza ai fini dell’art. 2409 c.c. eventuali profili di danno ai singoli soci, ai creditori sociali e ai terzi.

Sono, invece, irrilevanti le censure attinenti al merito delle scelte gestorie, con due sole eccezioni: in primo luogo, le scelte palesemente irragionevoli o negligenti, atteso che il controllo dell’autorità giudiziaria è di legalità e di regolarità della gestione, intesa quale attività materiale e giuridica diretta alla realizzazione dell’oggetto sociale in modo conveniente, cioè tale che la quantità delle risorse complessivamente consumate nella produzione dei beni e dei servizi sia inferiore o corrispondente ai ricavi; in secondo luogo, il tribunale può sindacare anche il merito delle scelte economiche compiute dagli amministratori in conflitto di interessi, e segnatamente quelle in pregiudizio della società da loro amministrata, ma conformi all’interesse del socio di maggioranza, a condizione che ricorra l’ulteriore presupposto della potenzialità del danno per la società stessa. In altre parole, il limite derivante dalla cd. business judgment rule non opera laddove si tratti di sindacare non tanto l’osservanza del dovere di diligenza, quanto dell’obbligo di fedeltà, comunque compreso tra quelli richiamati dall’art. 2409, comma 1, c.c. e sotteso ai precetti normativi in tema di conflitto di interessi.

4 Giugno 2021

Sulla revoca (anche cautelare e d’urgenza) dell’amministratore di società di persone

In una società di persone ciascun socio è legittimato a chiedere giudizialmente ai sensi dell’art. 2259, co. 3 c.c. la revoca dell’amministratore per giusta causa.

Tale provvedimento può essere richiesto e disposto, oltre che con la instaurazione di un giudizio di merito e con relativa sentenza, anche in via anticipata mediante la tutela cautelare in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (non sussistendo un rimedio cautelare tipico come, invece, per le società a responsabilità limitata), attesi, da un lato, la compatibilità della tutela con la futura decisione di merito e, dall’altro, la residualità della misura.

La “giusta causa” di cui all’art. 2259 co. 3 c.c. ai fini della revoca dell’amministratore di società di persone viene integrata da qualsiasi evento che determini la violazione degli obblighi propri dell’amministratore e incida negativamente sul carattere fiduciario del rapporto o, comunque, renda impossibile il naturale svolgimento del rapporto di gestione. In particolare, nella casistica di condotte elaborate dalla giurisprudenza ed integranti giusta causa di revoca del socio amministratore vi rientrano: (i) l’avvenuta rinegoziazione a condizioni meno vantaggiose di contratti di utilizzo e godimento dei cespiti produttivi; (ii) l’avere consentito a terzi di ingerirsi nella gestione, divenendo socio di fatto della società; (iii) la mancata comunicazione ai soci non amministratori dei rendiconti e dei bilanci annuali; (iv) la creazione di situazioni tali da nuocere alla prosecuzione della attività di impresa; (v) il tentativo del socio amministratore di provocare lo scioglimento della società prima della scadenza con mezzi artificiosi, ovvero di distrarre risorse reimpiegandole in attività estranee e diverse; (vi) ripetuti comportamenti gravemente inadempienti ai propri obblighi, tra i quali la mancata comunicazione dei bilanci e dei rendiconti della società al socio non amministratore, e l’impedimento frapposto a quest’ultimo ad accedere ai documenti essenziali per l’esercizio dei diritti di controllo sulla gestione sociale; (vii) ogni fatto costituente violazione di obblighi di lealtà, correttezza, e di diligenza da parte dell’amministratore, tale da incidere negativamente sul carattere fiduciario del rapporto ovvero da rendere impossibile l’assolvimento del mandato, anche se in considerazione di circostanze obiettive ed estranee alla persona del revocato. Tuttavia, perché la revoca cautelare del socio amministratore dalle funzioni gestorie possa essere pronunziata è necessario che sussista anche il requisito del periculum in mora (cioè il rischio che nelle more del giudizio di merito siano poste in essere nuove condotte pregiudizievoli o che si aggravino il pregiudizio e/o gli effetti di quelle pregresse): in assenza di ciò la revoca non potrà essere disposta, non essendo sufficiente la sussistenza di condotte illegittime e/o irregolari pregresse e non attuali.

La revoca per giusta causa dell’amministratore di società di persone determina unicamente la cessazione delle funzioni gestorie ma non comporta in capo al soggetto revocato anche la perdita della qualità di socio (cfr, ex multis, Cass. n. 15197/2001 e Trib. Milano, 9.11.15).

Le disposizioni di cui all’art. 2409 c.c. si applicano solo alle società di capitali (ancorché ora, ex art. 379 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, anche prive di organo di controllo) e non alle società di persone.

15 Settembre 2020

Denuncia al Tribunale ex art. 2409 cod. civ. da parte dei componenti del collegio sindacale

Ai sensi dell’art. 2409 cod. civ. non assume rilievo qualsiasi violazione dei doveri gravanti sull’organo amministrativo ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza, invece, dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Le gravi irregolarità, inoltre, devono essere attuali e devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale. Come nel caso di specie, deve pertanto essere accolta la domanda dei componenti del collegio sindacale di una S.p.A. di ordinarsi l’ispezione della società ex art. 2409 cod. civ., denunciando (i) l’omesso accertamento, da parte degli amministratori, della perdita della continuità aziendale, non avendo considerato, in particolare, i segnali derivanti dal fatto che le entrate generate dall’attività produttiva non erano nemmeno sufficienti a coprire i costi della produzione né tantomeno a far fronte all’ingente indebitamento della società, nonché (ii) il compimento, da parte degli amministratori, di atti pregiudizievoli per il patrimonio sociale e rischio di ulteriore depauperamento, tra cui, inter alia, la realizzazione di un’operazione di conferimento del ramo di azienda che rappresentava l’unico asset della società che generasse delle entrate.

6 Agosto 2020

Responsibilità per mala gestio e clausola compromissoria statutaria

È pacificamente ricompresa nell’ambito di applicazione della clausola compromissoria contenuta nello statuto societario, e pertanto deve essere devoluta in arbitrato, l’azione ex art. 2395 c.c. promossa nei confronti degli amministratori di accertamento della responsabilità per mala gestio.

29 Luglio 2020

Inammissibilità della nomina dell’amministratore giudiziario per società di persone e adozione di provvedimenti atipici

Pur in presenza di adeguato fumus quanto alla violazione da parte dell’amministratore unico di società semplice degli specifici doveri di trasparenza e rendicontazione connessi alla carica (nella fattispecie, mancata redazione o redazione non conforme dei rendiconti e della relativa nota integrativa ai sensi degli artt. 2261-2262 c.c. e omessa convocazione dei soci in assemblea per l’approvazione dei medesimi) è esclusa l’ammissibilità della nomina dell’amministratore giudiziario per le società di persone, essendo ritenuta incompatibile – dato il diverso e più stringente regime di responsabilità patrimoniale rispetto alle società di capitali – l’individuazione dell’organo amministrativo, agli esiti della cui attività i soci sono patrimonialmente soggetti, da parte del Tribunale con provvedimento atipico non corrispondente ad alcuna pronuncia di merito adottabile in via contenziosa e come tale privo di ogni nesso di strumentalità rispetto all’azione di merito, dovendo dunque assumere la revoca i connotati dell’extrema ratio rispetto a qualsiasi altro provvedimento provvisorio in grado di assicurare il ripristino di una gestione sociale corretta e che tenga conto pienamente dei diritti del socio di minoranza.

Danno da abusiva attività di direzione e coordinamento: legittimazione attiva e prescrizione dell’azione

L’azione svolta ai sensi dell’art. 2497 c.c. è posta a tutela di un diritto risarcitorio del socio della società eterodiretta, il quale fa valere un danno riflesso, ma proprio, per la perdita di valore e redditività della partecipazione, cagionato dall’abusiva attività di direzione e coordinamento della capogruppo. La qualità di socio della società eterodiretta nel momento in cui viene realizzata la condotta abusiva della capogruppo è sufficiente per legittimare la richiesta risarcitoria. Infatti, poiché tale richiesta riguarda un diritto entrato nel patrimonio del socio attore per effetto della condotta abusiva contestata, è irrilevante che la qualità di socio sia venuta a cessare nel corso del giudizio.

Indipendentemente dalla qualificazione dell’azione ex art. 2497 c.c. come contrattuale o extracontrattuale, il diritto con essa azionato rientra nel novero dei diritti derivanti da rapporti sociali. Pertanto, a tale diritto si applica il termine prescrizionale breve di cinque anni di cui all’art. 2949 c.c., con dies a quo individuato nel momento in cui è risultato conoscibile il pregiudizio agli interessi sociali.

La proposizione di ricorso ex art. 2409 c.c. non interrompe la prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato al socio da abusiva attività di direzione e coordinamento in quanto tale ricorso è inteso ad apprestare rimedi volti a rimuovere la situazione irregolare e non contiene alcuna richiesta di tipo risarcitorio come, invece, quella azionata ex art. 2497 c.c.

8 Novembre 2019

Conflitto di interessi e violazione dei doveri di corretta gestione societaria degli organi sociali di S.p.A.

La previsione statutaria derogatoria del divieto di concorrenza di cui all’art. 2390 c.c. non esaurisce l’obbligo imposto agli amministratori di S.p.A. di dichiarare il conflitto di interessi ai sensi dell’art. 2391 c.c., il quale può sussistere anche in assenza di violazione del divieto di concorrenza, costituendo una fattispecie dal perimetro più ampio rispetto a quella di cui all’art. 2390 c.c. [ LEGGI TUTTO ]

25 Ottobre 2019

Nomina dell’amministratore in caso di dissidio tra soci

L’insanabile dissidio tra i soci di una s.r.l. che conduce a un ricorso per far accertare una causa di scioglimento ex art. 2484 cod. civ., può risolversi nella nomina di un amministratore da parte del Tribunale.

18 Ottobre 2019

Obbligo degli amministratori di rilevare tempestivamente la crisi e di attivarsi senza indugio per l’adozione di rimedi adeguati

La condotta dell’amministratore che si limiti a verificare lo stato di crisi dell’impresa sociale, senza attivarsi prontamente per adottare i  rimedi necessari per il superamento dello stesso, non è di per sè in linea con i doveri gestori oggi predicati dall’art. 2086 c.c. come modificato dal d.lgs. n. 14/2019.

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