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Art. 2469 c.c.
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7 Febbraio 2022

Comproprietà della partecipazione sociale e clausola di gradimento

L’eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato, configurandosi come una rinuncia all’esperimento dell’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, costituisce un’eccezione propria e in senso stretto (avente ad oggetto la prospettazione di un fatto impeditivo dell’esercizio della giurisdizione statale) con la conseguenza che deve essere proposta dalle parti nei tempi e nei modi propri delle eccezioni di merito.

Alla comproprietà della partecipazione sociale – traducendosi in una sorta di comunione avente ad oggetto la quota sociale – è applicabile in via diretta la disciplina della comunione ordinaria, la legittimazione ad agire rimanendo in capo ai comproprietari della partecipazione societaria ogni qual volta l’azione è esercitata unitariamente da tutti i comproprietari della partecipazione stessa. La nomina del rappresentante comune infatti è determinata dalla necessità di assicurare sul piano organizzativo un corretto e trasparente svolgimento dei rapporti fra società e comunisti ma non sottrae il potere ai singoli laddove l’iniziativa concordata prevenga i rischi che conflittualità interne abbiano a riflettersi sulla portata delle deliberazioni assembleari.

Qualora lo statuto sociale di una s.r.l. preveda una clausola di mero gradimento e tale gradimento sia concesso, non spetta ai soci il diritto di recesso. Ai sensi infatti dell’art. 2469 c.c. il diritto di recesso non deve ritenersi accordato ai soci per il mero fatto della presenza di tale clausola, ma dalla circostanza che non sia consentito ai potenziali soci l’ingresso in società. Il diritto di recesso infatti non è la contropartita della pattuizione, compiuta dai soci nell’esercizio dell’autonomia privata, di una clausola di gradimento, bensì dalla limitazione alla libera trasferibilità delle quote che consegue al diniego del gradimento.

Codice RG 848 2017
28 Dicembre 2021

Risoluzione del contratto di cessione di quote sociali e rimedi restitutori

La risoluzione di un contratto di cessione di partecipazioni sociali ha quali conseguenze l’emersione di rimedi risarcitori (ove ve ne siano i presupposti) e restitutori (nello specifico la retrocessione della quota sociale acquisita al cedente).

L’inadempimento alle obbligazioni contratte da parte del cessionario della quota sociale può essere riconnesso sia al mancato pagamento del prezzo pattuito, sia – nell’ambito di un contratto quadro più complesso ed i cui singoli atti siano tra loro connessi e correlati su di un piano causale e funzionale – alla omessa esecuzione di ulteriori obbligazioni previste e/o alla mancata definizione di uno o più atti esecutivi dell’accordo quadro (tra i quali l’acquisto progressivo di altre porzioni della quota o di altre partecipazioni).

La sostituzione dell’originario contratto di cessione di quote sociali con uno nuovo e con un diverso assetto di interessi determina il mutamento del titolo e della causa pretendi sottostante, con la conseguenza che il negozio (ed il relativo regolamento) non è più quello rappresentato dal primo contratto ma, bensì, quello del secondo; in ragione di ciò il cedente e/o la parte che abbia subito l’inadempimento non potrà agire sulla base delle obbligazioni del titolo originario, ove queste siano state sostituite da un nuovo assetto, in quanto l’inadempimento delle obbligazioni originarie sostituite non può comportare la caducazione degli effetti né degli atti compiuti in esecuzione del primo accordo (cessione di parte della quota), né del secondo contratto.

19 Ottobre 2021

Sentenza ex art. 2932 c.c. e retrocessione della quota acquistata

Al diritto del cedente di riacquistare dal cessionario la quota ceduta della S.r.l., pattuito dalle parti nella scrittura privata di cessione di quota, corrisponde l’obbligazione del cessionario di ritrasferire la quota societaria ove richiesto nel termine. Se il cedente comunica entro il termine la volontà di esercitare il diritto di riacquisto, invita il cessionario a comparire in giorno e ora fissati avanti a notaio per l’atto di trasferimento e provvede altresì a corrispondere l’importo pattuito nel contratto originario, il cessionario che non accetta di porre in essere l’atto di retrocessione della quota acquistata è inadempiente e sussiste perciò il diritto del cedente di chiedere ed ottenere dal Tribunale la pronuncia di una sentenza ex art. 2932 c.c. che tenga luogo dell’atto di retrocessione.

20 Maggio 2021

Cessione di quote societarie: è ammissibile la prova indiziaria del pactum fiduciae

In tema di intestazione fiduciaria di quote va considerata ammissibile la prova indiziaria in ossequio all’orientamento di legittimità secondo cui “il pactum fiduciae che abbia ad oggetto il trasferimento di quote societarie non richiede la forma scritta ad substantiam o ad probationem” (in tal senso Cass. n. 9139/2020 e, analogamente, in tema di pactum fiduciae con oggetto immobiliare, Cass. Sez. Un. n. 6459/2020). Il carattere fiduciario del negozio di cessione delle quote sociali deve risultare da elementi indiziari aventi carattere di univocità e non contraddetti da elementi di segno contrario.

 

17 Febbraio 2021

Patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali

Il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali ed avente ad oggetto l’acquisto delle azioni sociali ha efficacia reale e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente. A differenza della clausola di prelazione di acquisto di quote sociali contenuta in un patto parasociale che ha effetti obbligatori tra le parti – con conseguente rilievo della sua violazione solo sul piano risarcitorio – quella contenuta nello statuto ha efficacia reale e, in caso di violazione è opponibile anche al terzo acquirente.

Il socio di una società di capitali che lamenti la violazione del suo diritto di prelazione nel caso di vendita di azioni sociali, statutariamente previsto, non può limitarsi a dimostrare in giudizio l’esistenza del suddetto patto, ma deve anche allegare e provare che dalla violazione è derivata una lesione del suo interesse a rendersi acquirente delle azioni trasferite a terzi, perché l’interesse del socio pretermesso non consiste nel mero rispetto del procedimento di cessione. L’interesse ad agire, in termini generali, costituisce, infatti, una condizione per far valere il diritto sotteso mediante l’azione, e s’identifica nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice. In particolare, nell’azione di mero accertamento, esso presuppone uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico, tale da arrecare all’interessato un pregiudizio concreto ed attuale, che si sostanzia in un’illegittima situazione di fatto continuativa e che, perciò, si caratterizza per la sua stessa permanenza.

17 Dicembre 2020

La violazione della clausola statutaria di prelazione comporta l’inopponibilità alla società e agli altri soci della cessione delle partecipazioni

Nel trasferimento di quote sociali di S.r.l., la violazione della clausola statutaria di prelazione comporta l’inopponibilità alla società e agli altri soci della cessione di partecipazioni effettuata in sua violazione. In tale evenienza, nessun diritto sociale collegato alle partecipazioni acquistate in spregio alla prelazione è esercitabile dal socio acquirente e, operando detta inefficacia di diritto, quale mera conseguenza della violazione della clausola di prelazione, non soffre eccezioni, prevalendo sul dato pubblicitario dell’intervenuto deposito dell’atto di cessione viziato nel registro delle imprese.

L’omissione della previa denuntiatio al socio titolare del diritto di prelazione, non fa sorgere in capo quest’ultimo l’onere (per impedire il trasferimento a terzi e rendersi intestatario della quota prelazionata) di accettare in vece del terzo la proposta, e tale effetto tipico non può ritenersi prodotto – in difetto di previsione statutaria o legale in tal senso – dalla proposta di ritrasferimento della quota formulata dal terzo acquirente a cessione ormai perfezionata.

La richiesta di nomina di un liquidatore sociale, ricorrendone i presupposti, è domanda da presentare ex art. 2487 co 2 c.c. in ambito di Volontaria Giurisdizione e non in sede contenziosa e d’urgenza, presupponente a sua volta il previo accertamento da parte dell’organo amministrativo dell’intervenuto scioglimento della società ai sensi degli artt. 2484 co. 1 c.c. e 2485 c.c.

Preliminare di cessione di quote sociali: le clausole non riproposte nel contratto definitivo si intendono rinunciate

In tema di rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza prevede che le pattuizioni presenti nel preliminare debbano intendersi rinunciate qualora non riproposte nel definitivo.

In forza di tale principio, la clausola contenuta in un contratto preliminare di cessione di quote sociali, non riproposta nel contratto definitivo, deve considerarsi superata dalla diversa volontà espressa dalle stesse parti nell’accordo definitivo e, pertanto, del tutto priva di efficacia, ad eccezione del caso in cui venga fornita la prova di un accordo intervenuto tra le parti, volto a preservare gli obblighi contenuti nel preliminare e a garantirne la sopravvivenza dopo la conclusione del definitivo, in mancanza della quale l’assetto dei reciproci rapporti non può che essere quello risultante dal negozio concluso.

24 Febbraio 2020

La lettera d’intenti avente ad oggetto la cessione di partecipazioni societarie, che non definisca tutti gli elementi del futuro accordo, non è un contratto preliminare e non è suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica

La lettera di intenti che si risolva in mere dichiarazioni con funzione di scandire le varie fasi di una trattativa e di predisporre le clausole da recepire in un futuro contratto nell’eventualità della positiva conclusione della trattativa stessa, non può essere considerata quale contratto preliminare, ma, tutt’al più, come mera “puntuazione” o “minuta”.

Per “contratto preliminare” deve intendersi quel contratto con il quale le parti si obbligano a concludere, in futuro, un ulteriore contratto, già delineato nei suoi elementi essenziali. L’effetto principale del contratto preliminare è quello di obbligare le parti alla stipulazione del contratto definitivo.

Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento (cosiddetta ‘minuta’ o ‘puntuazione’), risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori; peraltro, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 ss. c.c., è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Laddove le parti, in un accordo, manifestino l’intenzione di differire la conclusione del contratto ad una manifestazione successiva di volontà, deve ritenersi che esse non intendano porre in essere il rapporto contrattuale sin dal momento dell’accordo.

La responsabilità precontrattuale, configurabile per violazione del precetto posto dall’art. 1337 cod. civ. -a norma del quale le parti, nello svolgimento delle trattative contrattuali, debbono comportarsi secondo buona fede-, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’iter di formazione del contratto, sicché la sua sussistenza, la risarcibilità del danno e la valutazione di quest’ultimo devono essere vagliati alla stregua degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., tenendo peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell’illecito in questione.

 

Effetti della sopravvenuta variazione del patrimonio sociale sul contratto di cessione di partecipazioni societarie

Le obbligazioni delle parti, discendenti da contratto di cessione delle quote o delle azioni di una società di capitali, non vengono meno in conseguenza di un fatto del tutto esterno e non direttamente collegato al concetto di valorizzazione delle partecipazioni societarie oggetto di trasferimento. (Nel caso di specie, la Corte d’appello, chiamata ad accertare l’intervenuta risoluzione di un contratto di cessione intercorso tra le parti per sopravvenuta variazione del patrimonio sociale della cedente, ha rigettato l’appello proposto, confermando la sentenza di primo grado. Nella sua motivazione, la Corte ha richiamato il principio espresso da Cass. civ. n. 22790/2019 secondo cui la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella del contratto di cessione di quote o azioni può determinare la risoluzione del contratto per mancanza delle qualità essenziali, se in tale contratto: – le parti abbiano fatto espresso riferimento ai beni compresi nel patrimonio della società con la previsione di specifiche garanzie contrattuali; ovvero, – l’affidamento della parte cessionaria sul patrimonio sociale debba ritenersi giustificato sulla base del principio di buona fede. Poiché, nel caso de quo nessuno dei predetti requisiti risultava sussistente, ogni variazione sopravvenuta del patrimonio sociale è risultata indifferente rispetto alle obbligazioni assunte dalle parti con il contratto).

27 Settembre 2019

Mancato perfezionamento di un’operazione di cessione di quote di s.r.l. e ammissibilità della domanda di sequestro giudiziario dell’assegno bancario consegnato alla cedente al momento della conclusione del contratto di cessione

Il sequestro giudiziario ex art. 670, n. 1, c.p.c. non è utilizzabile al fine di evitare il pagamento della somma di denaro portata da un assegno bancario, in quanto costituisce uno strumento di cautela “tipico” finalizzato a garantire, in pendenza di un giudizio di merito in ordine alla sussistenza di un diritto in re o ad rem, l’effettivo conseguimento del bene vantato dal richiedente in caso di accertamento del relativo diritto (nel caso di specie, la ricorrente chiedeva il sequestro giudiziario di un assegno bancario consegnato, a titolo controverso, alla controparte in sede di stipula del contratto di cessione di quote di s.r.l. – poi non perfezionatasi a causa dell’esercizio di un diritto di prelazione da parte di uno degli altri soci della società, con dichiarazione contestata – fintantoché non fosse stata accertata l’effettiva sussistenza del diritto in capo alla stessa ricorrente di acquistare le quote).