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Art. 2475 ter c.c.
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L’annullabilità del contratto per abuso di potere rappresentativo nelle S.r.l.

L’art. 2475-ter c.c. riproduce per le S.r.l. la regola generale sancita dall’art. 1394 c.c., prevedendo l’annullabilità, su domanda della società, dei contratti conclusi dagli amministratori che ne hanno la rappresentanza, quando questi hanno agito in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.

Affinché sussista un conflitto di interessi idoneo ad annullare il contratto, è necessario che il rappresentante persegua interessi incompatibili con quelli del rappresentato, di talché la salvaguardia dei primi impedisce al rappresentante di tutelare adeguatamente quelli facenti capo al dominus. Tale valutazione va condotta non in termini ipotetici o astratti, ma con riferimento alle caratteristiche concrete del negozio, al fine di verificare se la creazione dell’utile per una parte implichi il sacrificio dell’altra.

L’esistenza di un conflitto d’interessi tra la società e il proprio amministratore non può essere fatta discendere da un’aprioristica considerazione della soggettiva coincidenza dei ruoli di amministratore delle due società contraenti, ma dev’essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui sono portatori, rispettivamente, la società e il suo amministratore.

28 Giugno 2022

Responsabilità da direzione unitaria, conflitto di interessi di amministratori di s.r.l.

L’art. 2497 c.c. disciplina la responsabilità delle società o enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di altre società. È in quest’ambito, dunque, che si colloca la previsione di cui al secondo comma secondo il quale “risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio”. Ne discende, dunque, che la norma è da ascrivere al fenomeno dei gruppi societari, presupponendo l’esistenza di un’attività di direzione e coordinamento quale attività di fatto, giuridicamente rilevante, che si esplica come influenza dominante sulle scelte e determinazioni gestorie degli amministratori della società eterodiretta che ne sono i naturali referenti e destinatari. Il fatto lesivo cui fa riferimento il secondo comma, infatti, non è qualunque evento dannoso per la società, ma esclusivamente quello individuato dal primo comma e cioè il danno cagionato dalle “società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime”.

L’art. 2475-ter c.c. introduce, all’interno del diritto delle società, una norma rispondente al principio generale sancito dall’art. 1394 c.c. in materia contrattuale. In tema di conflitto di interessi degli amministratori di s.r.l. il legislatore non ha ritenuto opportuno introdurre una disciplina generale in ordine agli obblighi degli amministratori in conflitto di informazione preventiva o di astensione e ciò a differenza non solo del regime previgente alla riforma del diritto societario, ma anche della disciplina dettata per le società per azioni. Affinché possa discorrersi di conflitto di interessi del rappresentante rispetto a quello del rappresentato, deve essere provata l’esistenza di un rapporto di incompatibilità tra i due centri di interessi, da dimostrare in modo non astratto o ipotetico, ma tenendo conto dell’idoneità del singolo atto o negozio alla creazione dell’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro.

27 Maggio 2022

Mancato assolvimento dell’onere probatorio nell’azione sociale di responsabilità e disciplina del conflitto di interessi nella s.r.l.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei dover imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo. Pertanto, l’attore ha l’onere di fornire la prova dell’esistenza di un danno attuale e concreto (ossia il depauperamento del patrimonio sociale) e la riconducibilità del pregiudizio al fatto lesivo dell’amministratore. Spetta, invece, all’amministratore provare l’inesistenza del danno, o altrimenti la non imputabilità a sé dell’evento lesivo, fornendo elementi positivi a smentita degli addebiti contestati, dimostrando la propria osservanza dei doveri, nonché il corretto adempimento degli obblighi impostigli dalla legge o dallo statuto.

L’art. 2475 ter c.c. prevede una disciplina del conflitto di interessi degli amministratori di s.r.l. autonoma e diversificata rispetto a quella prevista per le s.p.a. Infatti, in primo luogo, nell’ambito delle s.r.l. rilevano i soli interessi dell’amministratore che siano in contrasto con l’interesse sociale, mentre per le s.p.a. l’art. 2391 c.c. prende in considerazione ogni interesse che l’amministratore possa avere in una determinata operazione; in secondo luogo, nella s.r.l. manca una disciplina concernente obblighi di comunicazione, motivazione ed astensione diretti a prevenire l’abuso da parte degli amministratori in conflitto; infine, i rimedi previsti nella s.r.l. per reagire all’assunzione di una decisione o al compimento di un atto viziato da conflitto di interessi hanno carattere successivo ed invalidatorio, diversamente dalla disciplina prevista per le s.p.a. caratterizzata dall’impostazione, in via preventiva, di obblighi comportamentali gravanti sugli amministratori. In particolare, nelle s.r.l. sussiste un conflitto di interessi tra amministratore e società quando, in relazione a una determinata decisione, a un vantaggio anche potenziale dell’amministratore fa fronte uno svantaggio della società, o viceversa (potendo anche accadere che l’amministratore, per evitare un danno, pregiudichi le ragioni della società). Premesso, quindi, che non vi è una specifica disciplina concernente gli obblighi di informazione dell’amministratore potenzialmente in conflitto di interessi, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’amministratore per conflitto di interessi è richiesto il positivo accertamento, in concreto, di un effettivo pregiudizio per la società. Ciò emerge tanto dall’art. 2476 c.c., a norma del quale la responsabilità dell’amministratore insorge solo a fronte di un danno per la società, quanto dal disposto dello stesso art. 2475 ter c.c., laddove indica che le decisioni assunte dall’organo amministrativo in conflitto di interessi possono essere impugnate qualora cagionino un danno patrimoniale alla società.

La mancata percezione di utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio (necessario ai fini dell’affermazione della responsabilità nei confronti del singolo socio ai sensi dell’art. 2476, co. 6 [ora 7], c.c.), poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

9 Maggio 2022

Azione sociale di responsabilità e atti compiuti dall’amministratore di S.r.l. in conflitto di interessi

La violazione del divieto per l’amministratore di S.r.l. di compiere, in conflitto di interessi, atti dannosi per la società, anche se non espressamente prevista dall’art. 2475-ter c.c. come fonte di responsabilità, è riconducibile alla violazione dell’obbligo generale di tutela dell’integrità del patrimonio sociale gravante sull’amministratore ai sensi dell’art. 2476 c.c.

Legittimazione del socio ad impugnare le delibere consiliari di s.r.l.

La mancanza, nella disciplina dettata per le s.r.l., di una previsione analoga a quella di cui all’art. 2388 co. 2 c.c. – che legittima all’azione anche i soci e a prescindere dalla configurabilità di un conflitto di interessi in capo agli amministratori – rappresenta una evidente lacuna legislativa, colmabile con il richiamo alle norme dettate per le s.p.a. in tema di impugnabilità di tali decisioni. La ratio sottesa a tale disposizione è infatti espressione di un principio generale di sindacabilità – ad iniziativa degli amministratori assenti o dissenzienti ovvero dei soci i cui interessi siano stati direttamente incisi – delle decisioni dell’organo amministrativo di società di capitali contrarie alla legge o allo statuto. Dunque, sebbene la norma di cui all’art. 2475 ter c.c. preveda solo l’impugnazione, ad opera degli amministratori, delle decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante dell’amministratore in conflitto di interesse con la società, ciò non implica alcuna limitazione in ordine alla facoltà di impugnazione del socio che, con la stessa, abbia subito la violazione di un proprio diritto, trovando, pertanto, estensione analogica la previsione di cui all’art. 2388 co. 2 c.c.

La responsabilità civile degli amministratori è circoscritta ai soli danni che siano ricollegabili con un nesso di causalità immediata alla attività dell’amministratore ed è onere di chi agisce fornire la prova rigorosa del danno patito e del nesso di causalità tra comportamento e danno. L’adozione di una delibera consiliare illegittima non comporta l’automatica produzione di un danno alla società.

Sequestro giudiziario del compendio aziendale in pendenza del processo vertente sull’annullamento di contratti di affitto d’azienda asseritamente stipulati in conflitto di interessi

Il sequestro giudiziario può essere concesso sulla valutazione di due presupposti: da un lato, l’esistenza di una controversia suscettibile di incidere sulla situazione “possessoria”, inteso il termine in senso lato ed esteso alla situazione di detenzione dipendente da un titolo che si vuole, nel giudizio di merito, invalidare; dall’altro, l’opportunità di custodia e gestione temporanea, sottratta al possessore/detentore. Tale opportunità è certamente qualcosa di meno del periculum in mora che è richiesto per la maggioranza delle misure cautelari. L’apprezzamento del fondamento della pretesa fatta valere dal soggetto che agisce cautelarmente non va fatto secondo le regole che presiedono al ravvisamento del fumus boni iuris, ma nell’ottica della verifica della non pretestuosità o abnormità della pretesa.

In tema di conflitto di interessi degli amministratori, nelle s.p.a. sono previsti meccanismi di obbligo di preventiva esplicitazione del conflitto, di obbligo motivazionale delle delibere di CdA, nonché la possibilità di impugnativa della delibera; ma non esplicitamente la annullabilità del contratto eventualmente risultante, possibile ex art. 1394 c.c. secondo le regole generali, come si evince dal richiamo normativo ai “terzi di buona fede”. L’art. 2475 ter c.c., relativo alle s.r.l., invece, non prevede i meccanismi di previa denuncia del conflitto, né di obbligo di motivazione da parte dell’organo amministrativo, stabiliti dalla disciplina delle società per azioni. Esso, nei suoi due commi, dapprima stabilisce l’annullabilità del contratto concluso in conflitto di interessi, in conformità alla regola generale dell’art. 1394 c.c. (l’azione è ritenuta esercitabile nel quinquennio come per regola generale) e successivamente stabilisce la regola della impugnabilità delle delibere di CdA approvate con il voto determinante del componente in conflitto di interessi, entro i 90 giorni. Si tratta di due rimedi ben distinti, con legittimazione attiva diversa. Nessuna espressione autorizza a ritenere che quando il contratto stipulato in conflitto sia conforme ad un deliberato del CdA, la mancata impugnazione della delibera nel termine breve impedisca alla società di impugnare il contratto nel quinquennio.

Azione di responsabilità e conflitto di interessi dell’amministratore nelle s.r.l.

L’azione di responsabilità verso l’amministratore esercitata dal socio di s.r.l. in sostituzione della società ha natura contrattuale, ed è fondata sul rapporto assimilabile al mandato che lega l’amministratore alla società. A fronte dell’allegazione di specifici addebiti relativi all’inadempimento degli obblighi di sana e prudente gestione della società assunti dall’amministratore in forza dell’incarico ricevuto, è onere del convenuto dar prova dell’adempimento ai propri obblighi e della non imputabilità a sé dei fatti dannosi.

L’art. 2475-ter c.c. con riguardo alle s.r.l. prevede il vaglio delle delibere e dei contratti stipulati da un amministratore quando l’altra parte contraente o il soggetto beneficiario della delibera sia lo stesso amministratore, per sé stesso o per conto di terzi. Tale vaglio va attivato mediante l’impugnazione dell’atto che si ritiene adottato in conflitto di interessi, qualora ne sia derivato un danno alla società. Non è prevista, dunque, una generale incompatibilità a rivestire incarichi in più società, per un conflitto solo potenziale, ma l’impugnazione di singoli atti per risolvere un conflitto di interessi, venuto in concreta evidenza.

8 Novembre 2021

Impugnazione di delibere assembleari e consiliari di s.r.l.

E’ legittimato ad impugnare la delibera assembleare in relazione all’attribuzione delle deleghe agli amministratori di s.r.l. il socio amministratore che, avendo votato in assemblea a favore della proposta alternativa a quella in seguito approvata, non ha espresso voto favorevole alla deliberazione impugnata ed è quindi socio dissenziente giusto il disposto dell’art. 2479-ter, co. 1 c.c.

Stante l’incompatibilità ex art. 18 lett. c), l. n. 247/2012, se un avvocato viene nominato amministratore unico o amministratore delegato di società di capitali e accetta l’incarico si potrebbe porre, qualora dovessero ricorrere tutti i presupposti stabiliti dalla Corte di legittimità, in contrasto con la legge professionale. Tuttavia, la delibera della società di conferimento dell’incarico sociale non viola la legge e non è illegittima, salvo diversa disposizione della statuto della società. Si tratta, pertanto, di incompatibilità all’esercizio della professione forense da parte di chi sia stato nominato amministratore con deleghe in una società commerciale e non di incompatibilità endosocietaria a svolgere la carica di amministratore a chi sia anche avvocato. Infatti, ciò che comporta la violazione di quella legge non è la delibera assembleare di nomina quale amministratore con deleghe di chi sia avvocato, ma eventualmente la condotta dell’avvocato che, accettando l’incarico a determinate condizioni, cumula l’esercizio della professione legale con il mandato di amministratore in violazione della legge sull’ordinamento professionale forense.

L’art. 2389, ultimo comma c.c. va interpretato nel senso che, se lo statuto della società prevede che l’incarico di amministratore sia a titolo oneroso, è l’assemblea dei soci che determina l’importo complessivo della remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

Ai fini della dichiarazione di invalidità per conflitto di interessi e abuso della maggioranza in danno del socio minoritario, nel loro effetto combinato, delle delibere assembleari su attribuzione delle deleghe e determinazione complessiva dei compensi degli amministratori e consiliari sulla ripartizione di quei compensi, il socio amministratore deve dimostrare la sussistenza di elementi concludenti circa la natura abusiva delle delibere nei loro effetti combinati, provando: (i) l’irragionevolezza della distribuzione delle deleghe all’interno del CdA, (ii) la abnormità del compenso attribuito dalla assemblea all’organo amministrativo, e (iii) l’incongruità della ripartizione del compenso tra gli amministratori.

20 Settembre 2021

Criteri di quantificazione del danno e poteri del CTU

Sussiste una situazione di conflitto di interessi giuridicamente rilevante allorquando l’amministratore di una società disponga la vendita nummo uno della domanda di brevetto ad un’altra società a lui riconducibile, in danno della società amministrata.

Il danno derivante dalla condotta in questione si identifica nella perdita patrimoniale e reddituale subita dalla società venditrice per effetto della dismissione del brevetto a prezzo simbolico e, dunque, nel valore e nella reddittività di tale brevetto.

In tema di consulenza tecnica d’ufficio, rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere “aliunde” notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice purché ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio. L’acquisizione di dati e documenti da parte del consulente tecnico ha funzione di riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti; mentre non è consentito al consulente sostituirsi alla parte stessa, andando a ricercare aliunde i dati stessi che devono essere oggetto di riscontro da parte sua, che costituiscono materia di onere di allegazione e di prova che non gli siano stati forniti, in quanto in questo modo verrebbe impropriamente a supplire al carente espletamento dell’onere proba-torio, in violazione sia dell’articolo 2697 c.c. che del principio del contraddittorio. Il consulente d’ufficio può pertanto acquisire documenti pubblicamente consultabili o provenienti da terzi o dalle parti nei limiti in cui siano necessari sul piano tecnico ad avere riscontro della correttezza delle affermazioni e produzioni documentali delle parti stesse o, ancora, quando emerga l’indispensabilità dell’accertamento di una situazione di comune interesse, indicandone la fonte di acquisizione e sottoponendoli al vaglio del contraddittorio, esigenza, quest’ultima, che viene soddisfatta sia mediante la possibilità della partecipazione al contraddittorio tecnico attraverso il consulente di parte, sia, a posteriori, con la possibilità di dimostrazione di elementi rilevanti in senso difforme.