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Art. 2479 ter c.c.
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È legittima la clausola statutaria che preveda la gratuità della funzione di amministratore di società di capitali

Il compenso dell’amministratore costituisce materia del tutto disponibile e subordinata alle disposizioni statutarie, ai sensi degli artt. 2377, co. 1, 2479 ter, co. 4, c.c.. Pertanto, può affermarsi che nel rapporto interno con l’amministratore e sul piano contrattuale, le scelte negoziali per conto della società sono assunte ed espresse dai soci, ai quali spetta ex lege il potere di nominare e revocare gli amministratori e di determinarne, eventualmente, il compenso. Da tali previsioni non può quindi in alcun modo desumersi il carattere inderogabilmente oneroso della prestazione dell’amministratore, non costituendo l’onerosità un requisito indispensabile della stessa. Inoltre, il rapporto intercorrente tra la società di capitali e il suo amministratore è di immedesimazione organica e ad esso non si applicano né l’art. 36 Cost. né l’art. 409, co. 1, n. 3, c.p.c. Ne consegue che è legittima la previsione statutaria di gratuità delle relative funzioni.

Al fine di individuare le modalità di regolamentazione del rapporto con l’amministratore, occorre fare riferimento a quegli atti attraverso i quali, nell’ambito dell’organizzazione societaria, si manifesta la volontà dei soci con particolare riferimento al rapporto di amministrazione. In particolare, sono configurabili quattro alternative, in quanto lo statuto può prevedere: (i) di attribuire agli amministratori un diritto al compenso; (ii) di subordinare il diritto al compenso all’assunzione di apposita delibera dell’assemblea; (iii) di escludere il diritto al compenso e stabilire, dunque, la gratuità dell’incarico; (iv) non prevedere nulla al riguardo. Pertanto, se lo statuto subordina il compenso dell’amministratore alla presenza di una specifica delibera assembleare e tale delibera non viene adottata, nulla è dovuto a chi ricopra quella carica, in forza della vigenza di una regola statutaria di gratuità. Ovviamente, a fronte della gratuità dell’incarico, l’amministratore ben potrebbe non accettare la conclusione del contratto e, quindi, rifiutare la nomina oppure, ove l’abbia già accettata, estinguere anticipatamente il rapporto, rassegnando le proprie dimissioni.

Impugnativa di bilancio e non necessaria impugnazione dei bilanci approvati medio tempore. L’interesse della società e il conflitto di interessi del socio

Non è fondata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio, in ragione della mancata impugnazione dei bilanci di esercizio successivi, con conseguente intangibilità dei saldi di tali bilanci, per il principio di continuità dei valori di bilancio, posto che, ai sensi dell’art. 2434 bis, co. 1, c.c., l’impugnazione del bilancio può essere promossa se al momento dell’instaurazione del giudizio non sia stato ancora approvato il bilancio dell’esercizio successivo, a nulla rilevando che, nelle more del giudizio, siano stati approvati i bilanci degli anni successivi, e ciò in ragione del fatto che la durata del processo non può ripercuotersi negativamente a scapito di colui che ha proposto l’impugnazione tempestivamente.

Il conflitto di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione, sia essa una delibera dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione; in dette ipotesi, infatti, l’invalidità dell’atto è subordinata non solo al fatto che il voto determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria per l’approvazione della delibera sia espressione del soggetto in capo al quale si configura una situazione di conflitto d’interessi, ma anche alla condizione che tale delibera possa recare alla società un danno, seppur in via solo potenziale. Ai fini dell’annullamento della delibera per conflitto di interessi è essenziale che essa sia idonea a ledere l’interesse sociale, inteso come l’insieme di quegli interessi che sono comuni ai soci, in quanto parti del contratto di società, e che concernono la produzione del lucro, la massimizzazione del profitto sociale (ovverosia del valore globale delle azioni o delle quote), il controllo della gestione dell’attività sociale, la distribuzione dell’utile, l’alienabilità della propria partecipazione sociale e la determinazione della durata del proprio investimento. Si ha conflitto di interessi rilevante quale causa di annullabilità delle delibere assembleari quando vi è un conflitto tra un interesse non sociale e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili al contratto di società.

Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili. Identica ratio si rinviene nel caso di censura dell’approvazione del bilancio d’esercizio da parte del socio amministratore unico in conflitto di interessi ex art. 2479 ter, co. 2, c.c.

28 Luglio 2023

Cessazione della materia del contendere e nel giudizio d’impugnazione del bilancio di società cooperativa

La cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronuncia giudiziale, può configurarsi solo quando, nel corso del processo, sopravvenga una situazione che elimini completamente e in tutti i suoi aspetti la posizione di contrasto tra le parti, facendo in tal modo venir meno del tutto la necessità di una decisione sulla domanda quale originariamente proposta in giudizio ed escludendo così sotto ogni profilo l’interesse delle parti ad ottenere l’accertamento, positivo o negativo, del diritto, o di alcuno dei diritti inizialmente dedotti in causa. La cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, che deve avvenire facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale. 

20 Luglio 2023

Impugnazione della delibera di nomina per mancata accettazione da parte dell’amministratore designato

La delibera di nomina dell’amministratore è atto negoziale proprio dei soci, la cui natura giuridica è riconducibile ad una proposta contrattuale. La successiva manifestazione di volontà del soggetto designato, in senso positivo oppure negativo, è solo un posterius, non in grado di inficiare la validità della decisione dell’assemblea, ciò esclude che l’accettazione della nomina da parte del soggetto individuato o, addirittura, la sua presenza all’assemblea siano elementi necessari ai fini della validità della delibera, essendo a tal fine sufficiente che il voto favorevole dei soci superi il quorum previsto dalla legge o dallo statuto. L’accettazione non è un requisito di efficacia della delibera di nomina, in quanto dichiarazione unilaterale di volontà diretta alla conclusione del contratto di amministrazione produce, invero, i suoi effetti indipendentemente dall’accettazione della controparte contrattuale. L’amministratore nominato, non accettando la nomina assembleare, impedisce semplicemente la conclusione del contratto, ma non priva la manifestazione di volontà dell’assemblea sociale versata nel relativo verbale della sua efficacia.

20 Luglio 2023

I soci di s.r.l. titolari di un terzo del capitale sono legittimati a convocare l’assemblea

Con riferimento alla tempestività della convocazione dell’assemblea di s.r.l., salvo che l’atto costitutivo non contenga una disciplina diversa, deve presumersi che l’assemblea sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell’adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall’atto costitutivo), ma tale presunzione può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non abbia affatto ricevuto l’avviso di convocazione o lo abbia ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all’adunanza, in base a circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione in concreto sono riservati alla cognizione del giudice di merito.

Nelle società a responsabilità limitata, il potere di convocare l’assemblea, in caso di inerzia dell’organo di gestione, deve riconoscersi, nel silenzio della legge e dell’atto costitutivo, ai soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, stante, da un lato, il mancato richiamo, nella disciplina di tali società, dell’art. 2367 c.c., dettato per le società per azioni e non applicabile in via analogica, attesa la forte differenza tra i due tipi societari, e, dall’altro, l’inutilizzabilità dell’art. 2487 c.c., in quanto relativo alla nomina e revoca non degli amministratori ma dei liquidatori. Tale legittimazione dei soci non può, tuttavia, dirsi esente da limiti: il potere del socio (o dei soci) è, infatti, condizionato, trovando il proprio presupposto legittimante nella inerzia degli amministratori.

L’inapplicabilità alle s.r.l. dell’art. 2367 c.c. si spiega non per il fatto che per tali società non sia necessario il requisito dell’inerzia dell’organo gestorio, ma per il fatto che non è prevista, in caso di inerzia dell’organo gestorio, la facoltà dei soci di ricorrere al presidente del tribunale. Resta, dunque, imprescindibile, anche per le s.r.l., l’inerzia dell’organo gestorio quale presupposto per la legittimazione alla convocazione assembleare da parte dei soci che rappresentano il terzo del capitale sociale, a nulla rilevando che, in tema di delibera di revoca dell’amministratore, tale inerzia sia presumibile.

Nel giudizio di impugnazione di una deliberazione assembleare si verifica la cessazione della materia del contendere e non si può procedere alla dichiarazione di nullità o all’annullamento della deliberazione impugnata, quando risulti che l’assemblea dei soci, regolarmente riconvocata, abbia validamente deliberato sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata. La nuova deliberazione, emessa dall’assemblea nuovamente convocata e regolarmente costituita, deve avere lo stesso oggetto della prima e dalla stessa deve risultare, quanto meno implicitamente, la volontà dell’assemblea di sostituire la deliberazione invalida, ponendo in tal modo in essere un atto sostitutivo ovvero ratificante di quello invalido ed una rinnovazione sanante con effetti retroattivi.

13 Luglio 2023

Sostituzione della delibera impugnata e legittimazione esclusiva del custode della quota pignorata all’impugnazione della delibera

La sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dello statuto determina, ai sensi degli art. 2377, co. 8, e 2479 ter, co. 4, c.c., la sopravvenuta cessazione della materia del contendere. Ai sensi dell’art. 2377, co. 8, c.c., in caso di cessazione della materia di contendere per sostituzione della delibera asseritamente invalida con altra delibera immune da vizi, il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell’eventuale danno. Resta, in ogni caso, aperta la possibilità di una liquidazione delle spese di lite in termini diversi facendo applicazione del principio della soccombenza virtuale.

Nel caso di pignoramento su una quota di s.r.l., la legittimazione a impugnare una delibera invalida ai sensi dell’art. 2479 ter, co. 1, c.c. spetta in via esclusiva al custode, attesa l’inscindibile connessione tra l’esercizio del diritto di voto e il conseguente diritto di impugnazione di delibere approvate senza l’assenso del titolare del diritto di voto stesso.

Eventuali profili di invalidità del provvedimento di nomina del custode della quota sottoposta a pignoramento non sono di per sé idonei a determinare la caducazione dei poteri riconosciuti dall’ordinamento al custode, se non all’esito di un provvedimento di revoca o di sostituzione del custode stesso, con salvezza in ogni caso degli atti medio tempore compiuti.

13 Luglio 2023

Fusione e rapporto di cambio; il conflitto di interessi del socio di s.r.l.

Sotto il profilo strutturale, la fusione si presenta come una modificazione degli statuti sociali delle società interessate, mediante le rispettive deliberazioni di approvazione del progetto di fusione (art. 2502 c.c.) che apportano all’originario regolamento di interessi fra i soci di ciascuna società fusa o incorporata, una innovazione decisamente radicale, posto che scompare quella forma di esercizio dell’impresa, a favore di altro involucro formale. Dal momento dell’iscrizione della cancellazione della società incorporata dal registro delle imprese, questa si estingue, quale evento uguale e contrario all’iscrizione della costituzione di cui all’art. 2330 c.c. Non si prospetta una mera vicenda modificativa, ricorrendo invece una vera e propria dissoluzione o estinzione giuridica, contestuale ad un fenomeno successorio. La fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati. La fusione non è, in sé, operazione che mira a concludere tutti i rapporti sociali (come la liquidazione), né unicamente a trasferirli ad altro soggetto con permanenza in vita del disponente (come, ad esempio, il conferimento in società, la cessione dei crediti o dei debiti, la cessione di azienda), quanto a darvi prosecuzione, mediante il diverso assetto organizzativo: ma ciò non può essere sminuito ed artificiosamente ridotto ad una vicenda modificativa senza successione in senso proprio in quei rapporti. In sostanza, si verificano entrambi gli effetti, l’estinzione e la successione, senza distinzione sul piano cronologico, derivando entrambe dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2504 c.c. (salva la possibilità di stabilire una data diversa ex art. 2504 bis, co. 2 e 3, c.c.).

L’art. 2479 ter, co. 2, c.c. prevede che, qualora risultino potenzialmente lesive per la società, possono essere impugnate le decisioni assunte con la partecipazione determinante dei soci che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della medesima società. Sicché si verifica una ipotesi di conflitto di interesse del socio in presenza di due condizioni: (i) che la decisione possa recare danno alla società; (ii) che la partecipazione del socio, che si trovi in una situazione, per conto proprio o di terzi, di conflitto di interessi con la società, sia stata determinante per la sua adozione. Dal tenore letterale della predetta disposizione si ricava che il conflitto di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione, posto che l’invalidità della delibera presuppone che il voto del soggetto in conflitto sia stato determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria e che la delibera assunta possa recare alla società un danno, anche in via meramente potenziale. Per quanto attiene alla nozione di conflitto di interessi, esso consiste in una contrapposizione tra l’interesse particolare di uno dei soci e l’interesse della società, di modo che l’uno non possa essere salvaguardato senza l’altro. Il conflitto ricorre quando l’interesse di cui il socio è in concreto portatore si pone in contrasto o appare incompatibile con l’interesse della società e non solo con l’interesse di altri soci o gruppi di soci. Non è, dunque, sufficiente che il socio miri a realizzare, in tutto o in parte, il proprio interesse personale, occorrendo anche che tale interesse si ponga obiettivamente in contrasto con quello della società e che la deliberazione sia idonea a ledere quest’ultimo interesse. Per contro, non rileva ai fini dell’impugnazione il caso in cui la decisione consenta al socio di conseguire un interesse personale ulteriore e diverso rispetto all’interesse della società, senza, tuttavia, implicare un pregiudizio neppure potenziale. Il secondo presupposto è costituito dal carattere determinante della partecipazione del socio in conflitto alla decisione. Infatti, a differenza di quanto previsto in materia di società per azioni (art. 2372, co. 1 c.c., dove si fa riferimento al voto determinante), nell’art. 2479 ter c.c. il legislatore richiede che determinante sia non già il solo voto, ma la partecipazione, intervenendo dunque non solo sul quorum costitutivo ma anche su quello deliberativo. Sicché il legislatore ha voluto prendere in considerazione anche il comportamento del socio che, partecipando all’assemblea, consente il conseguimento del quorum costitutivo e, dunque, l’adozione della deliberazione a prescindere dal comportamento assunto in sede di voto, purché, evidentemente, tale partecipazione abbia un effetto determinante per l’adozione della deliberazione. Atteso, poi, il tenore delle censure svolte dalle parti, appare opportuno rammentare che, per gli effetti di cui all’art. 2479 ter, co. 2, c.c., rileva solo il conflitto e contrasto tra l’interesse della società e quello perseguito dal socio il cui voto sia stato determinante ai fini dell’adozione della delibera, e non, invece, la situazione di conflitto di interessi tra i vari soci.

In tema di fusione societaria, la determinazione rapporto di cambio, rientrante tra i compiti esclusivi dell’organo amministrativo, assolve alla funzione di individuare la proporzione matematica fra la partecipazione del socio nella società incorporata e la partecipazione al medesimo assegnata nella società incorporante o risultante dalla fusione, operandosi il conseguente annullamento della prima, sostituita dalla seconda (la c.d. conversione). Il valore delle azioni della società coinvolta nell’operazione di fusione, quale base per il calcolo del rapporto di cambio, dipende direttamente dalla consistenza del patrimonio sociale: ivi comprese le partecipazioni detenute in altre società, ovvero il corrispettivo ricavato dalla loro vendita a terzi che sia entrato nel patrimonio sociale, in luogo delle partecipazioni, all’atto della cessione. In tema di rapporto di cambio, il legislatore domestico non pretende l’assoluta esattezza matematica; invero, ha omesso di indicare criteri inderogabili cui attenersi nella stima, ritenendo congruo il concambio che si ponga all’interno di una ragionevole banda di oscillazione. Ne deriva che la rilevanza dell’incongruità è in re ipsa solo nelle ipotesi in cui la scelta dell’organo amministrativo cada su un valore esterno alla predetta banda di oscillazione della valutazione, sì da danneggiare i soci. Tuttavia, nella prospettiva cautelativa dei soci delle società partecipanti alla fusione, l’art. 2501 sexies c.c. prevede la relazione degli esperti in ordine alla congruità del rapporto di cambio. Gli esperti sono tenuti a rendere un parere sull’adeguatezza e sul metodo seguito dall’organo amministrativo nel fissare il rapporto medesimo. Nondimeno, detto parere non è vincolante per l’assemblea, né impedisce la prosecuzione dell’operazione anche se contiene parere negativo.

23 Giugno 2023

Legittimazione del socio di s.r.l. all’impugnazione di una delibera e all’azione di responsabilità

Se di regola il difetto della qualità di socio in capo all’attore al momento della proposizione di una domanda di accertamento della nullità di una delibera assembleare, o a quello della decisione della controversia, esclude la sussistenza in lui dell’interesse ad agire per evitare la lesione attuale di un proprio diritto e per conseguire con il giudizio un risultato pratico giuridicamente apprezzabile, ciò tuttavia non può dirsi nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. In tal caso, anche la stessa legittimazione dell’attore ad ulteriormente interferire con l’attività sociale sta o cade a seconda che la deliberazione impugnata risulti o meno legittima: la declaratoria della nullità della deliberazione può dunque condurre al ripristino della qualità di socio dell’attore, e tale risultato costituisce una delle ragioni per le quali la deliberazione viene impugnata. Sarebbe allora logicamente incongruo, e si porrebbe insanabilmente in contrasto con i principi enunciati dall’art. 24 Cost., co. 1, l’addurre come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti. Analoghe considerazioni possono svolgersi quanto all’azione di annullamento.

Diversamente deve opinarsi in riferimento alla legittimazione dell’attore ad esercitare l’azione sociale di responsabilità a norma dell’art. 2476, co. 3, c.c. A differenza dell’azione di impugnazione delle delibere assembleari o delle decisioni dei soci, con l’azione di responsabilità sociale, il socio non esercitata diritti propri nel proprio interesse, ma diritti risarcitori che competono all’ente collettivo in ragione della violazione imputata all’organo gestorio degli obblighi di corretta amministrazione che detto organo ha, non direttamente nei confronti del socio, ma nei confronti della società. In effetti, la stessa disciplina dell’art. 2476 c.c., in tema di azione sociale di responsabilità esercitata dal socio, esplicita che il diritto fatto valere è appartenente alla società che, infatti, può transigere o rinunciare all’azione, competendo l’eventuale risarcimento unicamente alla stessa che è parte necessaria del giudizio in quanto beneficiaria del credito risarcitorio e titolare della relativa posizione giuridica pretensiva rispetto all’inadempimento degli obblighi amministrativi. Dal punto di vista processuale, se con l’azione di impugnazione il socio fa valere diritti ed interessi propri asseritamente lesi dalla delibera o decisione dei soci, con l’azione sociale di responsabilità si verifica una deroga al divieto di far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, fuori dai casi espressamente previsti dalla legge come è quello che occupa, parlandosi così di legittimazione straordinaria del socio in termini di sostituzione, a norma dell’art. 81 c.p.c.  che, essendo norma processuale, è di stretta applicazione.

Nel caso dell’impugnazione delle delibere dei soci che comportino come loro conseguenza la perdita dello status di socio, con conseguente perdita dei diritti partecipativi che allo stesso sono attribuiti, l’impugnante, pur non ricoprendo più al momento dell’impugnazione la qualità che lo legittimerebbe al rimedio, mantiene la legittimazione e l’interesse ad agire proprio perché, in forza dell’invalidazione della delibera egli tende a riacquisire i diritti partecipativi perduti in modo illegittimo, in altre parole permanendo al momento dell’impugnazione legittimazione ed interesse ad agire dell’impugnante quale socio. Diversa è la questione della legittimazione ad agire del socio in riferimento all’azione sociale di responsabilità. In effetti, è improcedibile l’azione di responsabilità promossa dal socio che non abbia sottoscritto l’aumento di capitale deliberato dall’assemblea dei soci ai sensi dell’art. 2482 ter, co. 1, c.c., in quanto tale evento determina la perdita della qualità di socio e, quindi, la perdita della legittimazione ad agire in giudizio contro gli amministratori in qualità di sostituto processuale della società onde esercitare diritti della società medesima e non propri.

Proprio per la natura derivata e straordinaria della legittimazione del socio, a nulla rileva il fatto che il medesimo abbia perduto la qualità in virtù della delibera che ha accertato la perdita del capitale e disposto la sua ricostituzione, anche là dove si obiettasse che la perdita sia stata illegittimamente determinata dagli amministratori con conseguente loro responsabilità risarcitoria, posto che il diritto che il socio fa valere riguarda il risarcimento alla lesione del patrimonio sociale di cui è titolare la società, e non un diritto proprio, essendo l’eventuale lesione del socio semplicemente indiretta e derivata dalla lesione sopportata dalla società.

22 Giugno 2023

Revoca della delibera impugnata e cessazione della materia del contendere

La revoca della delibera impugnata, intervenuta nel corso del giudizio, comporta la necessità di dichiarare la cessazione della materia del contendere, trattandosi di una situazione sopravvenuta che elimina completamente la posizione di contrasto tra le parti e fa venir meno la necessità di una pronuncia sulla domanda originariamente proposta.

La dichiarazione di cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, da assumere facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale, che comporta la necessità di ripercorrere l’iter decisionale, al fine di verificare quale sarebbe stato l’esito finale del giudizio.

22 Giugno 2023

Legittimazione e interesse ad impugnare una delibera invalida da parte di soci persone giuridiche

La legittimazione processuale attiva e passiva consiste nella titolarità in via astratta del potere di promuovere un giudizio in relazione a una posizione giuridica sostanziale dedotta in causa. La legitimatio ad causam deve essere distinta dalla titolarità della posizione giuridica sostanziale fatta valere in giudizio: la prima, infatti, qualificabile come un presupposto dell’azione, si basa su fatti, dedotti dalla parte attrice, in astratto idonei a fondare il diritto azionato, indipendentemente dall’accertamento della titolarità della posizione giuridica sostanziale sottostante. Pertanto, il difetto di legitimatio ad causam, riguardando la regolarità del contraddittorio, costituisce un error in procedendo ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

La legittimazione ad impugnare la delibera invalida di una s.r.l. ex art. 2479-ter c.c. compete esclusivamente ai soci che non vi hanno consentito, a ciascun amministratore e al collegio sindacale, non anche a terze persone estranee a tali tre categorie, quali il socio unico della società che, a sua volta, è socio unico della s.r.l. che ha adottato la delibera impugnata.

L’interesse ad agire comporta la verifica, da compiersi d’ufficio da parte del giudice, in ordine all’idoneità della pronuncia richiesta a spiegare un effetto utile alla parte che ha proposto la domanda e quindi la sussistenza di un interesse concreto ed attuale. Tale principio vale anche con riguardo all’azione di accertamento della nullità di delibere assembleari, la quale può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse, ma l’interesse in questione, oltre a dovere essere concreto ed attuale, deve riferirsi specificamente all’azione di nullità, e non può identificarsi con l’interesse ad una diversa azione, il cui esercizio soltanto potrebbe soddisfare la pretesa dell’attore.