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Art. 2486 c.c.
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17 Novembre 2022

Responsabilità di amministratori e sindaci ed effetti degli accordi transattivi nei confronti degli altri debitori in solido

Nel caso di esercizio dell’azione di responsabilità nell’esclusivo interesse dei creditori sociali, a norma degli artt. 146 l. fall. e 2476 c.c., in difetto di elementi di valutazione in base ai quali poter fondatamente anticipare il momento di conoscenza da parte dei terzi creditori dell’insolvenza della società, l’exordium prescriptionis o il dies a quo del termine quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c. può essere identificato nella data del deposito della domanda prenotativa di concordato.

L’art. 1304, co. 1, c.c. costituisce una deroga la principio in virtù del quale il contratto produce effetti solo fra le parti e permette che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione tra il creditore e uno dei debitori solidali, possa avvalersi di quanto concordato all’interno dell’atto di transizione stipulato da altri. Detto atto deve avere ad oggetto l’intero debito. Infatti, il disposto di cui alla norma sopracitata non include la transazione parziale che, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne. Di conseguenza, il condebitore solidale estraneo alla transazione risulta titolare di un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo.

In ipotesi in cui vi sia la sopravvenuta transizione della lite, il giudice di merito è chiamato a valutare se la situazione sopravvenuta sia idonea ad eliminare ogni contrasto sull’intero oggetto della lite, anche in riferimento al condebitore solidale rimasto estraneo alla transazione e valutare se quest’ultimo voglia o meno profittare di tale transizione ai sensi dell’art. 1304 c.c.

Nel caso di transazione novativa, che comporti la rideterminazione del quantum e l’estinzione del rapporto debitorio originario, si estendono ai condebitori solidali solo gli effetti vantaggiosi e non anche quelli pregiudizievoli e ciò in quanto transazione e novazione sono fattispecie non assimilabili; di conseguenza, resta applicabile, in tema di transazione novativa, solo l’art. 1304 c.c. e non anche gli artt. 1300 e 1372 c.c., nel senso che detta transazione è inefficace nei confronti del condebitore che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare sia in ordine ai rapporti esterni, sia a quelli interni.

Se, invece, la transazione tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto esclusivamente la quota del condebitore che l’ha conclusa, occorre distinguere fra l’ipotesi in cui il condebitore che ha transatto abbia versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito e quella in cui il pagamento sia stato inferiore. Nel primo caso il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato; nel secondo il debito residuo degli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.

Le circostanze che attestano che gli accordi transattivi abbiano avuto ad oggetto l’intera lite ovvero che l’importo transattivamente conseguito dalla creditrice abbia, comunque, soddisfatto integralmente la sua pretesa risarcitoria, con conseguente cessazione della residua materia del contendere e declaratoria di improcedibilità delle domande ancora coltivate nei riguardi dei convenuti rimasti, devono essere provate dalla parte creditrice. Diversamente, si graverebbe il debitore convenuto in giudizio di una prova impossibile da fornire in quanto terzo estraneo agli accordi in questione.

Legittimazione del terzo a impugnare il bilancio e responsabilità degli amministratori di s.r.l.

L’interesse del terzo creditore sociale all’impugnazione del bilancio per nullità non sussiste soltanto nel caso di stipulazione di un contratto per errore di fatto sulla situazione economica e finanziaria determinato da oscura o non veritiera rappresentazione della stessa nel bilancio. L’interesse ad agire in tal senso deve ravvisarsi ogniqualvolta dalla rettificazione del bilancio, conseguente all’accertamento della sua nullità, possano derivare conseguenze di rilievo sul piano giuridico. In particolare, ciò accade quando una corretta redazione del bilancio avrebbe generato la verificazione di una situazione di scioglimento della società, con conseguente applicazione della regola di cui al primo comma dell’art. 2486 c.c., in forza del quale gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

Non trova applicazione il disposto di cui all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., a norma del quale le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, ove sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice la nullità della deliberazione per illiceità dell’oggetto, tale dovendo ritenersi quella di approvazione di un bilancio non chiaro o non veritiero. Infatti, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita la delibera di approvazione e, quindi, nulla. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dall’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente.

La norma di cui all’art. 2467 c.c. non si applica ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori all’entrata in vigore di tale disposizione (1 gennaio 2004).

In tema di società di capitali, le dazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale), sicché l’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio tali dazioni, né di mutare la voce relativa, successivamente all’iscrizione originaria, dovendo quest’ultima rispecchiare l’effettiva natura e la causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nell’interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito.

Gli amministratori della società sono liberi di decidere per la resistenza in giudizio pur a fronte di contestazioni della controparte, ma devono nel contempo prefigurarsi come possibile l’esito negativo della vertenza e mettere in conto i relativi maggiori costi, di ciò dando la dovuta evidenza in bilancio, e richiedere alla proprietà la ricapitalizzazione della società che ne garantisca la solvibilità anche a fronte dei rischi correlati al contenzioso in atto. Ciò vale anche nei confronti degli amministratori che non siano stati parte in giudizio.

In tema di azione di responsabilità per violazione del divieto di concorrenza ex art. 2390, co. 1, c.c. l’attività concorrenziale potrebbe risultare di rilievo per il terzo creditore della società soltanto nel caso in cui ne sia derivato un depauperamento della consistenza patrimoniale di quest’ultima.

9 Novembre 2022

La mancata redazione del bilancio non integra automaticamente una responsabilità dell’amministratore

Le irregolarità che attengono alla tenuta della contabilità, compresa la mancata redazione dei bilanci, pur integrando inosservanza dei doveri del mandato gestorio dell’amministratore di società di capitali, non sono sufficienti per la conseguente affermazione di responsabilità risarcitoria ex artt. 2392-2394 e 2476 c.c., ove non si fornisca la prova del danno cagionato al patrimonio sociale e del nesso causale rispetto alla condotta addebitata. La regola non trova eccezione nel caso in cui l’azione sia promossa dal fallimento ex art. 146 l.fall., essendo il curatore vincolato alla prova del pregiudizio della garanzia patrimoniale dei creditori e, anche qualora le irregolarità contabili siano idonee ad occultare la reale situazione economico-patrimoniale della società e l’intervenuto scioglimento per riduzione del capitale sociale, è pur sempre necessario che la violazione del dovere di gestione conservativa si sia concretizzata in atti da cui sia effettivamente derivato un pregiudizio alla società.

7 Novembre 2022

Responsabilità di amministratori e liquidatori per mancato rilevamento della perdita di capitale e prosecuzione dell’attività

La violazione degli obblighi gravanti sugli amministratori – e quindi l’accertamento dell’inadempimento da parte di costoro agli obblighi imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo – costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente per affermarne la responsabilità risarcitoria; infatti, anche in questo caso sono necessarie tanto la prova del danno (nei termini del c.d. danno conseguenza), ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, quanto la diretta riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori stessi. Il riferimento al nesso causale, oltre a servire come parametro per l’accertamento della responsabilità risarcitoria degli amministratori, è quindi rilevante anche da un punto di vista oggettivo, in quanto consente – come regola generale – di limitare l’entità del risarcimento all’effettiva e diretta efficienza causale dell’inadempimento e quindi a porre a carico degli amministratori inadempienti solo il danno direttamente riconnesso alla loro condotta omissiva o commissiva.

Il liquidatore di società di capitali svolge una funzione di salvaguardia finale degli interessi della società, dei soci e dei terzi caratterizzata da un aspetto particolare: la concentrazione degli interessi di tutti i soggetti coinvolti in una fase societaria, i cui elementi patrimoniali sono sostanzialmente noti all’inizio e non sono destinati ad essere condizionati dal sopravvenire di nuovi eventi successivi. Tale circostanza fa sì che il liquidatore deve concentrare la propria attività nella più efficiente, tempestiva e trasparente liquidazione del patrimonio sociale, rimanendo neutro rispetto a pressioni che possono eventualmente derivare dai soci, che cerchino, per scopi estranei alla società, di imporre la continuità dell’attività di impresa.

L’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall. è soggetta al termine di prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza; in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore l’onere di dare prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.

Al fine di pervenire ad un’esatta determinazione del danno secondo il criterio fondato sulla differenza dei netti patrimoniali, occorre individuare innanzitutto il momento a partire dal quale l’attività d’impresa è proseguita indebitamente, ossia quello in cui gli amministratori hanno acquisito consapevolezza dello stato di dissesto o di insolvenza. Successivamente, individuato tale momento, si procederà a calcolare la differenza tra il valore del patrimonio netto alla data iniziale (opportunamente rettificato in considerazione dello svilimento che il patrimonio avrebbe comunque subito) ed il valore del patrimonio netto al momento finale.

7 Novembre 2022

Responsabilità dell’amministratore per omesso pagamento delle imposte

La responsabilità dell’amministratore per omesso pagamento delle imposte costituisce una tipica ipotesi di responsabilità per fatto proprio, che trova la sua fonte immediata nella violazione dei doveri comportamentali fissati dalle disposizioni di legge, che pongono a carico diretto degli amministratori o liquidatori di un soggetto tassabile uno specifico obbligo nei confronti del fisco, avente quale contenuto il provvedere, nella loro qualità, al pagamento delle imposte con l’attivo sociale. Al riguardo, occorre distinguere tre ipotesi: (i) quella in cui la società – quando l’amministratore ha omesso il pagamento del dovuto all’erario – fosse in bonis, avendo liquidità ed essendo in grado di pagare i debiti erariali. In tal caso l’amministratore inadempiente risponde dei danni procurati alla società in misura pari alle sanzioni, interessi ed aggi addebitati dall’erario alla società stessa, come liquidati nel relativo accertamento tributario ovvero nella cartella esattoriale; (ii) quella in cui l’amministratore eccepisca e provi ex art. 1218 c.c. di non aver potuto pagare le imposte in ragione dell’incapacità finanziaria/incapienza patrimoniale della società; (iii) quella in cui, pur non essendo la società in grado di pagare i debiti erariali ed in stato di scioglimento per perdita del capitale sociale, tuttavia l’amministratore abbia illegittimamente proseguito nello svolgimento di attività economica con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale. In tal caso, lo stesso risponde dei danni in misura pari al debito per sanzioni, interessi ed aggi addebitati alla società con riferimento a quei debiti erariali non pagati che la società non avrebbe contratto se fosse stata tempestivamente posta in liquidazione ed avesse conseguentemente cessato l’attività. Trattandosi di fattispecie di responsabilità contrattuale, il fallimento attore è tenuto ad allegare il mancato rispetto da parte dell’amministratore sociale all’obbligazione di pagamento del fisco e ad adempiere all’onere della prova producendo le cartelle esattoriali notificate alla società e le relative domande di insinuazione al passivo, onere di allegazione e dimostrazione soddisfatto nel caso di specie. Il convenuto è tenuto a dimostrare l’adempimento o la non imputabilità ex art 1218 c.c. per essersi trovata la società nell’impossibilità di versare i tributi dovuti per incapienza patrimoniale o incapacità finanziaria, con ciò escludendo una sua responsabilità per omissione.

28 Ottobre 2022

Quantificazione del danno risarcibile dagli amministratori ex art. 2486 c.c.

Ai fini del calcolo del danno risarcibile ex art. 2486 c.c., non è sufficiente rettificare le voci del bilancio inattendibili e scorrette, ma è necessario altresì procedere, all’esito delle rettifiche, con la riclassificazione del bilancio in ottica liquidatoria, ovvero espungere per ogni esercizio successivo al verificarsi della causa di scioglimento della società tutti i costi che in ogni caso avrebbe dovuto sostenere ove fosse stata posta tempestivamente in liquidazione – quali, ad esempio, i costi relativi al personale indispensabile in fase di liquidazione, i costi relativi ai compensi per i liquidatori, i costi relativi ai professionisti consulenti, i costi necessari per utenze, i costi inerenti alla conduzione di immobili non produttivi ma destinati alle attività meramente gestorie, eccetera –, nonché espungere dalla differenza dei netti tutte le disutilità economiche derivanti dalla liquidazione, ivi compresa le svalutazioni delle poste attive di bilancio valutate in continuità e che invece si sarebbero dovute rideterminare ai fini liquidatori, perdendo, ad esempio, i cespiti ed il magazzino la loro destinazione produttiva. Detta operazione risponde alla necessaria esigenza imposta dal principio di causalità, dovendo rispondere gli amministratori unicamente dei danni imputabili e non dei costi e delle disutilità che si sarebbero verificate comunque, anche ove la società fosse stata posta in liquidazione tempestivamente.

25 Ottobre 2022

Criterio di liquidazione del danno da indebita prosecuzione dell’attività di impresa

Nel caso di indebita prosecuzione dell’attività di impresa, il criterio di liquidazione del danno dell’intero deficit patrimoniale, che conduce a quantificare il danno nella differenza tra attivo e passivo fallimentare, rimane utilizzabile, solo quale estremo rimedio, qualora manchi del tutto la contabilità dell’impresa fallita e tale mancanza, ascrivibile all’organo gestorio, abbia precluso ogni accertamento da parte del curatore fallimentare.

20 Ottobre 2022

La responsabilità del socio gestore di s.r.l.: l’intenzionalità dell’art. 2476, co. 8, c.c.

L’art. 2476, co. 8, c.c. estende la responsabilità degli amministratori ai soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. La norma, letta congiuntamente alle disposizioni sulla responsabilità da abuso di direzione e coordinamento (artt. 2497 ss.), disciplina il fenomeno della eterogestione nelle società, costituendo il fondamento giuridico dell’ammissibilità della responsabilità dei cosiddetti gestori di fatto delle società di capitali. La responsabilità in commento è, tuttavia, limitata alla sola ipotesi del dolo, come emerge dalla necessità che il compimento dell’atto dannoso sia stato deciso o autorizzato “intenzionalmente”, dovendo, dunque, provarsi la sussistenza della consapevolezza dell’illiceità e della dannosità dell’atto. L’intenzionalità ai fini della responsabilità del socio gestore di s.r.l. è costituita dalla riferibilità psicologica dell’atto al socio: è sufficiente al proposito che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio, dell’antigiuridicità dell’atto; a tal riguardo quest’ultima viene a configurarsi non solo quando l’atto deciso è contrario alla legge o all’atto costitutivo della società, ma anche quando l’atto, pur se di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, cioè con una finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale.

La responsabilità del socio come disciplinata ex art. 2476 c.c. ha un carattere tipico che non prevede equipollenti nell’ambito delle società azionarie. Invero, la circostanza che in materia di s.p.a. non è prevista una responsabilità dei soci è diretta conseguenza della mancanza di una norma simile a quella dell’art. 2479 c.c., che prevede la possibilità che gli statuti delle s.r.l. riservino poteri gestionali ai soci. Comunque, tale responsabilità sussisterebbe anche nell’ipotesi in cui, in assenza di un conferimento formale al socio di potere gestorio, questi abbia di fatto concorso nell’operazione intrapresa dall’amministratore, ovvero il socio abbia espresso la propria approvazione in termini autorizzativi, quindi ex ante.

Ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2476, co. 8, c.c. è richiesta una specifica connotazione soggettiva dell’agire del socio, il quale potrà essere coinvolto nella responsabilità degli amministratori solo con riferimento ad atti gestori dannosi decisi o autorizzati nella piena consapevolezza delle caratteristiche dell’atto e delle possibili conseguenze, non essendo invece sufficiente la mera volontà di intervenire nella gestione della società.

Nonostante il legislatore abbia omesso di disciplinare alcuni aspetti fondamentali relativi ai presupposti della responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, quali il grado di diligenza richiesta e l’obbligo di agire in modo informato, è la stessa natura dell’incarico a richiedere che per l’amministratore di società a responsabilità limitata (secondo lo schema delle obbligazioni di mezzi) venga adottato l’approccio valutativo di cui agli artt. 1176, co. 2, e 2236 c.c.

Il liquidatore è tenuto ad attivarsi per impedire l’aggravamento del dissesto a tutela dei creditori

In tema di fallimento, l’organo di gestione dell’ente collettivo, sia esso amministratore o liquidatore, è obbligato ad agire in maniera tale da non ritardare la dichiarazione di insolvenza della società e a non aggravarne il dissesto, pena la violazione del precetto penale di cui al combinato degli artt. 217, co. 1, n. 4, e 224 l. fall. Il ricorso fallimentare del debitore in proprio nel caso in cui questi sia una società deve essere presentato dall’amministratore dotato del potere di rappresentanza legale. Esso non necessita di alcuna autorizzazione assembleare.

I liquidatori hanno il potere-dovere di compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione e l’assemblea può intervenire per delimitare o indirizzarne l’attività. Il liquidatore, quale rappresentante legale dell’ente, può agire tempestivamente nella richiesta di fallimento in proprio, in ciò consistendo, in assenza di valide alternative negoziali, la migliore forma di liquidazione possibile.

Deve inferirsi dal sistema l’esistenza di una regola generale che prescrive al liquidatore della società di attivarsi diligentemente per impedire un aggravamento del dissesto, in funzione di tutela dei creditori che vantano sul patrimonio sociale la garanzia generica dei loro crediti. Regola generale che trova conferma attuale nel sistema di emersione tempestiva della crisi congegnato dal codice della crisi e dell’insolvenza.

L’insolvenza di una società in liquidazione si misura sotto il profilo patrimoniale e non sotto quello finanziario. È, cioè, insolvente quella società che, posta in liquidazione, non è in grado con il suo patrimonio di soddisfare tutti i creditori. Infatti, quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l. fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività e alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte.

Il curatore, quando agisce ai sensi dell’art. 146 l. fall., cumula tanto l’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c., quanto l’azione dei creditori ex art. 2394 c.c. Il curatore è, dunque, legittimato a pretendere il risarcimento del danno che il patrimonio della società ha subito per effetto della condotta inadempiente del liquidatore

Anche la condotta gestoria del liquidatore beneficia del metro di giudizio della business judgement rule, in forza della quale ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice non è la convenienza e/o l’utilità dell’atto in sé, né il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì le modalità di esercizio del potere discrezionale spettante agli amministratori, che per essere immuni da critiche non devono travalicare i limiti della ragionevolezza.

Principi di corretta redazione del bilancio per la rilevazione tempestiva della perdita del capitale sociale

L’art. 2424 c.c. e i principi contabili non consentono di patrimonializzare i costi amministrativi. I costi che concorrono alle immobilizzazioni immateriali, iscrivibili nell’attivo patrimoniale, non devono esaurire la propria utilità nell’esercizio di sostenimento, ma manifestare una capacità di produrre benefici economici futuri. Il presupposto fondamentale della loro iscrizione all’attivo patrimoniale sta nella possibilità di dimostrare la congruenza ed il rapporto causa-effetto tra tali costi e la futura utilità che dagli stessi l’impresa si attende di ottenere. Dunque, la capitalizzazione non è un’automatica conseguenza del fatto che i costi siano stati sostenuti.

Il compenso dell’amministratore e del consulente del lavoro non sono ricompresi tra i costi patrimonializzabili. Tali esborsi non rientrano, infatti, né nei costi di impianto o ampliamento (che invece possono comprendere i costi del personale operativo che avvia le nuove attività, i costi di pubblicità sostenuti in tale ambito, i costi di assunzione e di addestramento del nuovo personale, i costi di allacciamento di servizi generali, quelli sostenuti per riadattare uno stabilimento esistente), né nei costi di sviluppo (costi di ricerca o costi per la progettazione, la costruzione e la prova di materiali, progetti, prodotti, processi, sistemi, ecc.) e neppure nei costi di avviamento (costi iniziali di acquisto dell’azienda).

Ai sensi dell’art. 2426, co. 1, c.c., possono essere patrimonializzati solo gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi. Gli oneri finanziari costituiscono spese dell’esercizio da imputare a conto economico nell’esercizio in cui maturano e con riferimento al principio di competenza: solo nel caso in cui siano sostenuti per l’acquisto o la costruzione di immobilizzazioni materiali, tali oneri possono essere capitalizzati aumentando il valore delle immobilizzazioni cui si riferiscono. Il principio OIC 16 prevede che la capitalizzazione degli oneri finanziari possa essere effettuata quando riguarda oneri effettivamente sostenuti, oggettivamente determinabili, entro il limite del valore recuperabile del bene. Inoltre, sono capitalizzabili solo gli interessi maturati su beni che richiedono un periodo di costruzione significativo. In mancanza dei requisiti suddetti, gli oneri finanziari non possono accrescere l’attivo patrimoniale e dunque l’amministratore non può fare affidamento su tali oneri (o meglio sulla loro capitalizzazione) per escludere che vi sia stata perdita del capitale sociale.

L’art. 2485 c.c. impone all’amministratore di accertare senza indugio il verificarsi delle cause di scioglimento della società, il che significa – per l’accertamento del verificarsi della causa di cui all’art. 2484, co. 1, n. 4, c.c. – che non deve attendersi la chiusura dell’esercizio e la redazione del bilancio. Qualora si verifichino perdite che comportino la riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale, deve essere subito convocata l’assemblea per deliberare l’azzeramento e la ricostituzione del capitale o la trasformazione della società, al fine di impedirne lo scioglimento, sicché la mancanza di sollecitudine nella convocazione dell’assemblea costituisce causa di responsabilità degli amministratori.