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Art. 2501 c.c.
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13 Luglio 2023

Fusione e rapporto di cambio; il conflitto di interessi del socio di s.r.l.

Sotto il profilo strutturale, la fusione si presenta come una modificazione degli statuti sociali delle società interessate, mediante le rispettive deliberazioni di approvazione del progetto di fusione (art. 2502 c.c.) che apportano all’originario regolamento di interessi fra i soci di ciascuna società fusa o incorporata, una innovazione decisamente radicale, posto che scompare quella forma di esercizio dell’impresa, a favore di altro involucro formale. Dal momento dell’iscrizione della cancellazione della società incorporata dal registro delle imprese, questa si estingue, quale evento uguale e contrario all’iscrizione della costituzione di cui all’art. 2330 c.c. Non si prospetta una mera vicenda modificativa, ricorrendo invece una vera e propria dissoluzione o estinzione giuridica, contestuale ad un fenomeno successorio. La fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati. La fusione non è, in sé, operazione che mira a concludere tutti i rapporti sociali (come la liquidazione), né unicamente a trasferirli ad altro soggetto con permanenza in vita del disponente (come, ad esempio, il conferimento in società, la cessione dei crediti o dei debiti, la cessione di azienda), quanto a darvi prosecuzione, mediante il diverso assetto organizzativo: ma ciò non può essere sminuito ed artificiosamente ridotto ad una vicenda modificativa senza successione in senso proprio in quei rapporti. In sostanza, si verificano entrambi gli effetti, l’estinzione e la successione, senza distinzione sul piano cronologico, derivando entrambe dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2504 c.c. (salva la possibilità di stabilire una data diversa ex art. 2504 bis, co. 2 e 3, c.c.).

L’art. 2479 ter, co. 2, c.c. prevede che, qualora risultino potenzialmente lesive per la società, possono essere impugnate le decisioni assunte con la partecipazione determinante dei soci che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della medesima società. Sicché si verifica una ipotesi di conflitto di interesse del socio in presenza di due condizioni: (i) che la decisione possa recare danno alla società; (ii) che la partecipazione del socio, che si trovi in una situazione, per conto proprio o di terzi, di conflitto di interessi con la società, sia stata determinante per la sua adozione. Dal tenore letterale della predetta disposizione si ricava che il conflitto di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione, posto che l’invalidità della delibera presuppone che il voto del soggetto in conflitto sia stato determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria e che la delibera assunta possa recare alla società un danno, anche in via meramente potenziale. Per quanto attiene alla nozione di conflitto di interessi, esso consiste in una contrapposizione tra l’interesse particolare di uno dei soci e l’interesse della società, di modo che l’uno non possa essere salvaguardato senza l’altro. Il conflitto ricorre quando l’interesse di cui il socio è in concreto portatore si pone in contrasto o appare incompatibile con l’interesse della società e non solo con l’interesse di altri soci o gruppi di soci. Non è, dunque, sufficiente che il socio miri a realizzare, in tutto o in parte, il proprio interesse personale, occorrendo anche che tale interesse si ponga obiettivamente in contrasto con quello della società e che la deliberazione sia idonea a ledere quest’ultimo interesse. Per contro, non rileva ai fini dell’impugnazione il caso in cui la decisione consenta al socio di conseguire un interesse personale ulteriore e diverso rispetto all’interesse della società, senza, tuttavia, implicare un pregiudizio neppure potenziale. Il secondo presupposto è costituito dal carattere determinante della partecipazione del socio in conflitto alla decisione. Infatti, a differenza di quanto previsto in materia di società per azioni (art. 2372, co. 1 c.c., dove si fa riferimento al voto determinante), nell’art. 2479 ter c.c. il legislatore richiede che determinante sia non già il solo voto, ma la partecipazione, intervenendo dunque non solo sul quorum costitutivo ma anche su quello deliberativo. Sicché il legislatore ha voluto prendere in considerazione anche il comportamento del socio che, partecipando all’assemblea, consente il conseguimento del quorum costitutivo e, dunque, l’adozione della deliberazione a prescindere dal comportamento assunto in sede di voto, purché, evidentemente, tale partecipazione abbia un effetto determinante per l’adozione della deliberazione. Atteso, poi, il tenore delle censure svolte dalle parti, appare opportuno rammentare che, per gli effetti di cui all’art. 2479 ter, co. 2, c.c., rileva solo il conflitto e contrasto tra l’interesse della società e quello perseguito dal socio il cui voto sia stato determinante ai fini dell’adozione della delibera, e non, invece, la situazione di conflitto di interessi tra i vari soci.

In tema di fusione societaria, la determinazione rapporto di cambio, rientrante tra i compiti esclusivi dell’organo amministrativo, assolve alla funzione di individuare la proporzione matematica fra la partecipazione del socio nella società incorporata e la partecipazione al medesimo assegnata nella società incorporante o risultante dalla fusione, operandosi il conseguente annullamento della prima, sostituita dalla seconda (la c.d. conversione). Il valore delle azioni della società coinvolta nell’operazione di fusione, quale base per il calcolo del rapporto di cambio, dipende direttamente dalla consistenza del patrimonio sociale: ivi comprese le partecipazioni detenute in altre società, ovvero il corrispettivo ricavato dalla loro vendita a terzi che sia entrato nel patrimonio sociale, in luogo delle partecipazioni, all’atto della cessione. In tema di rapporto di cambio, il legislatore domestico non pretende l’assoluta esattezza matematica; invero, ha omesso di indicare criteri inderogabili cui attenersi nella stima, ritenendo congruo il concambio che si ponga all’interno di una ragionevole banda di oscillazione. Ne deriva che la rilevanza dell’incongruità è in re ipsa solo nelle ipotesi in cui la scelta dell’organo amministrativo cada su un valore esterno alla predetta banda di oscillazione della valutazione, sì da danneggiare i soci. Tuttavia, nella prospettiva cautelativa dei soci delle società partecipanti alla fusione, l’art. 2501 sexies c.c. prevede la relazione degli esperti in ordine alla congruità del rapporto di cambio. Gli esperti sono tenuti a rendere un parere sull’adeguatezza e sul metodo seguito dall’organo amministrativo nel fissare il rapporto medesimo. Nondimeno, detto parere non è vincolante per l’assemblea, né impedisce la prosecuzione dell’operazione anche se contiene parere negativo.

29 Maggio 2023

Sui limiti alla libera circolazione delle azioni in caso di fusione per incorporazione del socio

In forza del principio di libera trasmissibilità delle partecipazioni, l’eventuale deroga alla libera circolazione dettata dallo statuto per le cessioni inter vivos non è estendibile analogicamente anche all’ipotesi in cui il trasferimento derivi dalla trasmissione delle partecipazioni per fusione, a seguito del passaggio delle medesime dal socio incorporato al terzo incorporante.

15 Giugno 2020

Fusione per incorporazione in danno ai creditori

Qualora, in seguito ad avvenuta fusione per incorporazione tra due società, il creditore particolare della società incorporata voglia dimostrare che tale fusione è stata compiuta in suo danno (sì da confondere il patrimonio della società posto a garanzia del suo credito con quello incapiente della incorporante), data la natura aquiliana della domanda, è onere del creditore attore dimostrare – sia pur in via presuntiva – tutti gli elementi anche soggettivi dell’illecito, ivi compreso il nesso eziologico della condotta commissiva ed omissiva rimproverata ai diversi convenuti col danno lamentato (perdita dell’intero credito).
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11 Luglio 2017

Non ha natura cautelare l’autorizzazione alla fusione nonostante l’opposizione dei creditori

Tenuto conto degli effetti connessi alla proposizione dell’opposizione alla delibera di fusione ed alla natura della operazione di fusione, deve ritenersi che l’autorizzazione alla fusione nonostante l’opposizione dei creditori prevista dall’ultimo comma dell’art. 2445 c.c. sia un provvedimento destinato semplicemente a rimuovere un ostacolo al compimento di un atto di autonomia privata, estraneo [ LEGGI TUTTO ]

26 Ottobre 2016

Opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c. e domanda di risarcimento danni

L’art. 2503 c.c. individua un’azione tipica, propriamente ed esclusivamente rivolta ad invalidare lo specifico processo di fusione oggetto di approvazione ex art. 2502 c.c. all’esito del complesso procedimento di cui agli art. 2501-ter ss. c.c., sia pure per i motivi più diversi e in alcun modo tipizzati, purché [ LEGGI TUTTO ]

16 Giugno 2014

Invalidità della clausola negoziale di rinuncia della società all’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori

Gli amministratori sono responsabili del pregiudizio economico subito dalla società per le operazioni concluse in conflitto d’interessi.

Il principio di insindacabilità ex post delle scelte gestorie trova il proprio limite nel rispetto da parte degli amministratori dei vincoli statutari e di legge e della diligenza richiesta nel perseguimento dell’interesse sociale.

E’ nulla la clausola negoziale con cui la società si impegna preventivamente a non esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, [ LEGGI TUTTO ]