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Art. 2901 c.c.
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14 Gennaio 2020

Ammissibilità dell’azione revocatoria dell’atto di scissione

L’azione revocatoria ordinaria è preordinata unicamente a preservare e garantire il diritto del creditore di agire in via esecutiva sul patrimonio del proprio debitore, cosicché resti salva la garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. e si ricostituisca quel patrimonio nella sua consistenza qualitativa e quantitativa anteriore all’atto dispositivo, attualmente o potenzialmente pregiudizievole. Attraverso tale tipo di tutela, di accertamento, il creditore realizza e rende concreta la garanzia generica di cui all’art. 2740 c.c., in due momenti consecutivi: egli può dapprima rendere inefficaci, nei soli propri confronti, quegli atti dispositivi che il debitore ha compiuto, pur consapevole dell’esistenza del vincolo obbligatorio, e che rappresentino, per il verificarsi di una conseguenziale diminuzione del patrimonio di quest’ultimo, un concreto pregiudizio dell’interesse creditorio; poi, a seguito dell’eventuale dichiarazione di inefficacia dell’atto, diviene legittimato a promuovere nei confronti dei terzi acquirenti o beneficiari le azioni conservative ed esecutive sui beni oggetto di disposizione (art. 2902 c.c.).

Ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. non è necessario che il creditore sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bensì è sufficiente una semplice aspettativa che non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata: dunque anche il credito litigioso è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore. Nell’ambito dell’azione revocatoria la cognizione del giudice sul credito è meramente incidentale.

È ammissibile l’azione revocatoria ordinaria di un atto di scissione societaria attuata mediante costituzione di una nuova società beneficiaria di parte del patrimonio della società scissa. Questo poiché l’atto di scissione integra a tutti gli effetti un atto di disposizione patrimoniale che risponde ai requisiti di cui all’art. 2901 c.c.: la scissione, infatti, comporta un mutamento della titolarità soggettiva (dalla scissa alla beneficiaria) di una parte del patrimonio della società scissa.

All’esperibilità dell’azione revocatoria non è di ostacolo il disposto normativo dell’art. 2504 quater c.p.c. il quale prevede che, dopo l’iscrizione della fusione nel Registro delle Imprese, l’invalidità dell’atto di fusione non possa essere pronunciata: tale norma, infatti, esclude solo una dichiarazione di invalidità (per nullità o annullamento) dell’atto di fusione o scissione, mentre l’azione revocatoria non determina alcuna invalidità dell’atto di scissione, bensì la sua semplice inefficacia relativa, rendendolo inopponibile al creditore pregiudicato.

All’applicazione della norma di cui all’art. 2901 c.c. all’atto di scissione non è di ostacolo neppure la disciplina della solidarietà dal lato passivo, conseguente alla scissione ex art. 2506 quater, co. 3, c.c. in quanto il rimedio previsto dal menzionato art. 2506 quater c.c. è del tutto diverso dall’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c.: infatti, il compimento di un atto di disposizione del proprio patrimonio (comportante una diminuzione della garanzia di cui all’art. 2740 c.c.) da parte di un coobbligato solidale consente al creditore di esercitare nei suoi confronti l’azione revocatoria (ricorrendone i presupposti), essendo irrilevante se i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento, dal momento che la solidarietà dal lato passivo per l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria determina una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito, tra loro distinti ed autonomi.

Laddove il bene oggetto dell’azione revocatoria sia rimasto nel patrimonio della società beneficiaria della scissione, l’effetto della revocatoria è quello di consentire le azioni esecutive e conservative direttamente sul bene oggetto dell’azione con preferenza rispetto agli altri creditori del debitore; tale preferenza non sussiste, invece, nel caso di azione diretta a far valere la responsabilità solidale delle due società coinvolte nella scissione che consente al creditore di agire entro il limite del valore effettivo del patrimonio netto assegnato o rimasto ma solo in posizione di parità rispetto a tutti gli altri creditori.

L’esperibilità del rimedio generale di cui all’art. 2901 c.c. non può escludersi in ragione dell’esistenza, in favore dei creditori della società scissa, di uno specifico strumento di tutela anticipata, quale quello previsto dall’art. 2503 c.c. (applicabile alla scissione in forza del richiamo contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2506 ter c.c.), in virtù del quale i creditori possono fare opposizione alla scissione entro sessanta giorni dall’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese: infatti l’opposizione ex art. 2503 c.c. e l’azione revocatoria costituiscono strumenti di tutela profondamente diversi sul piano funzionale, avendo una diversa legittimazione attiva, un diverso momento di operatività, nonché diversi termini di attivazione e diverse conseguenze in caso di accoglimento.

Nel caso di scissione societaria, la valutazione circa l’onerosità o la gratuità dell’atto (funzionale all’individuazione dei presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria) deve essere effettuata non con riferimento agli effetti patrimoniali che l’operazione produce per i soci delle società coinvolte, che restano del tutto irrilevanti nella prospettiva dei creditori della società scissa, ma con riferimento alle conseguenze che la scissione produce sul patrimonio della società debitrice interessata dalla scissione.

 

26 Novembre 2019

Azione di responsabilità e azione revocatoria esercitate dal curatore fallimentare: presupposti, prescrizione e onere della prova

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. – cumulativa dei presupposti e degli scopi dell’azione sociale di responsabilità ex artt. 2392 e 2393 c.c. e dell’azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. – è soggetta alla prescrizione quinquennale con decorso, secondo quanto previsto dall’art. 2395 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Il dies a quo di tale azione, dunque, deve essere individuato: quanto all’azione sociale di responsabilità, dal giorno in cui sono percepibili i fatti dannosi posti in essere dagli amministratori ed il danno conseguente; quanto all’azione dei creditori sociali, dal giorno in cui si è manifestata, divenendo concretamente conoscibile, l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti.

In particolare, per quanto concerne l’azione dei creditori sociali esercitata dal curatore fallimentare, il dies a quo deve essere individuato nel momento della oggettiva conoscibilità del dato di fatto costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali, momento che può essere anteriore o posteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento. L’insufficienza patrimoniale che qui assume rilievo è data dalla eccedenza delle passività sulle attività, momento distinto rispetto all’insolvenza e che può dunque manifestarsi prima di questa. L’onere della prova che l’insufficienza patrimoniale rilevabile dai creditori si sia manifestata prima della dichiarazione di fallimento incombe su colui il quale intenda eccepire l’intervenuta prescrizione dell’azione. Il dies a quo per l’esercizio dell’azione dei creditori sociali non può essere individuato nel momento in cui sono state presentate istanze di fallimento né sono stati ottenuti decreti ingiuntivi, trattandosi di iniziative non destinate ad essere rese pubbliche.

L’amministratore di società, che abbia continuato nella gestione ordinaria della società dopo il verificarsi della causa di scioglimento consistente nella perdita integrale del capitale sociale, è responsabile ai sensi dell’art. 2392 c.c., in quanto la sua condotta si risolve nella violazione di doveri imposti dalla legge agli amministratori e, in particolare, degli artt. 2447, 2485 e 2486 c.c.; in questo caso, il danno deve individuarsi nelle perdite registrate dopo il verificarsi della causa di scioglimento e, ai fini del suo computo, deve essere adottato il metodo della differenza tra i netti patrimoniali (o della perdita incrementale).

Quando l’azione ex art. 2392 c.c. è esercitata dalla curatela fallimentare, la curatela sarà tenuta a provare soltanto l’inadempimento dell’amministratore agli obblighi su di lui gravanti ed il danno derivato dall’inadempimento, restando invece a carico del convenuto l’onere di provare la mancanza di colpa secondo il modello generale previsto, per la responsabilità contrattuale, dall’art. 1218 c.c.

L’azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c. esercitata dal curatore fallimentare richiede la dimostrazione, da parte della curatela attrice, oltre che del “consilium fraudis”, anche dell’esistenza dell’”eventus damni”, cioè di un pregiudizio legato all’atto dispositivo che si vuole rendere inefficace, non operando, in tal caso, la presunzione di dannosità alle ragioni della massa dei creditori che colora l’azione revocatoria fallimentare ex art 67 l.fall. Tale pregiudizio deve essere dunque accertato e valutato in concreto: l’atto ritenuto pregiudizievole, cioè, deve aver effettivamente compromesso le ragioni di garanzia patrimoniale rappresentate dal patrimonio del debitore, vanificando o anche semplicemente ostacolando le possibili iniziative dei creditori volte al recupero, seppur coattivo, del credito vantato.

Al fine di verificare la sussistenza di tale pregiudizio, è necessario il confronto tra il patrimonio del debitore subito dopo la modificazione subita a seguito del compimento dell’atto di disposizione che si intende revocare e l’entità dei debiti preesistenti al compimento dell’atto. Quando l’azione revocatoria sia esercitata dal curatore a seguito del fallimento del disponente, nell’interesse di tutti i creditori ammessi al passivo, grava comunque sul curatore l’onere di provare che il credito dei creditori ammessi era già sorto al momento dell’atto asseritamente pregiudizievole, ad esempio evidenziando la presenza, al momento dell’atto di disposizione, di istanze di fallimento già presentate e di decreti ingiuntivi ottenuti a danno del disponente.

Per quanto concerne, invece, la dimostrazione del “consilium fraudis”, si ritiene non sia necessaria l’intenzione di nuocere ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore stesso, del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni; non è, infine, neppure necessario che il compimento dell’atto abbia definitivamente pregiudicato le ragioni del credito, ma è sufficiente una mera variazione (in peius) del patrimonio del debitore che possa rendere  maggiormente difficoltosa ed incerta l’esazione coattiva del credito. In tal caso il creditore ha solo l’onere di dimostrare la variazione del patrimonio del debitore ma non anche l’entità del residuo.

30 Maggio 2019

Presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria e sequestro conservativo

Nella valutazione del fumus dell’inefficacia di un atto oggetto di azione revocatoria, nessun rilievo può assumere la pendenza del giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo che il creditore ha tentato di mettere in esecuzione. [ LEGGI TUTTO ]

30 Gennaio 2019

La ripartizione degli oneri probatori in caso di risoluzione del contratto di cessione di azienda e di azione revocatoria

In forza della disciplina della ripartizione degli oneri probatori spetta al debitore convenuto per la risoluzione o l’adempimento del contratto provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto una volta che il creditore agente abbia fornito la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, costituita, nella fattispecie dal contratto di cessione di azienda. [ LEGGI TUTTO ]

7 Dicembre 2018

Sequestro conservativo di beni nei confronti del terzo acquirente dei beni del debitore e interposizione fittizia di persona. Rilevanza nel processo civile delle risultanze emerse nel procedimento penale

Secondo una interpretazione estensiva dell’art. 2905 c.c., che valorizza la finalità di tutela sostanziale sottesa alla norma, diretta ad assicurare la fruttuosità di una successiva esecuzione forzata e ad impedire la fraudolenta dispersione dei beni oggetto degli atti in contestazione, anche l’azione di simulazione, come azione di inefficacia, rientra al pari della revocatoria nel campo di applicazione dell’art. 2905 comma 2 c.c. e consente al creditore di proporre istanza di sequestro conservativo sui beni oggetto dell’atto che si assume essere simulato. [ LEGGI TUTTO ]

20 Novembre 2018

La mala gestio nell’azione di responsabilità promossa dalla curatela fallimentare: ancora sulla quantificazione del danno

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 cod. civ., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 legge fall., la quale, [ LEGGI TUTTO ]

8 Novembre 2018

Validità ed efficacia del provvedimento di sequestro giudiziario emesso in corso di causa nonostante la declaratoria di incompeteza per territorio del giudice che lo ha emesso nel giudizio di merito

L’art. 669 quater, primo comma, c.p.c., individua come giudice funzionalmente ed inderogabilmente competente a decidere nel procedimento cautelare, quello avanti al quale pende il giudizio di merito, indipendentemente dal corretto radicamento della competenza. La soluzione prescelta dal legislatore presenta certo degli inconvenienti, e in particolare quello di prestarsi alla scelta del giudice, ove il ricorrente introduca la causa di merito davanti ad un giudice incompetente, senza che l’eccezione di incompetenza possa paralizzare la pronuncia cautelare, che potrà essere emanata anche ove il giudice adito ritenga l’eccezione fondata. L’inconveniente [ LEGGI TUTTO ]

25 Ottobre 2018

Esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria in caso di maggiore difficoltà di esazione coattiva delle proprie ragioni

Ai sensi dell’art. 2901 c.c., per integrare il requisito del pregiudizio alle ragioni dei creditori, richiesto dalla norma, è sufficiente anche la mera maggior difficoltà di esazione coattiva delle proprie ragioni a fronte di una trasformazione in valori più difficilmente liquidabili dei beni integranti la garanzia ex art. 2740 co. 1° c.c.

 

29 Dicembre 2017

Sull’azione revocatoria ordinaria di conferimento di ramo d’azienda

Possono essere dichiarati inefficaci e quindi revocati, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2901 c.c., gli atti con cui, in esecuzione di un aumento di capitale sociale deliberato e sottoscritto, veniva conferito alla S.r.l. un ramo d’azienda della S.p.a. unica socia [ LEGGI TUTTO ]

28 Dicembre 2017

Credito sub iudice e esercizio dell’azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto il conferimento di immobili in una società di capitali

La circostanza che l’azione revocatoria non abbia scopi restauratori, né nei confronti del debitore né in favore del creditore istante, ma tenda unicamente a restituire la garanzia generica assicurata dal patrimonio del debitore a qualunque creditore, e quindi anche a quello meramente eventuale, comporta che il rimedio di cui all’art. 2901 c.c. possa essere utilmente esperito anche per la tutela di crediti litigiosi o contestati, ed, addirittura, di mere aspettative di credito prive dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità.

Il rimedio dell’art. 2901 c.c. è esperibile anche al fine di rendere inopponibile, al creditore del socio conferente, il trasferimento effettuato mediante il negozio di conferimento. Invero il negozio di conferimento di beni in natura – tanto se posto in essere in esecuzione dell’obbligo assunto in sede di costituzione della società, quanto se realizzato a liberazione della quota sottoscritta in occasione di una successiva operazione di aumento del capitale sociale – deve indubbiamente riguardarsi come atto di disposizione e, segnatamente, quale atto traslativo a titolo oneroso, dacché comporta il trasferimento dei beni che ne formano oggetto dal patrimonio del conferente a quello della società conferitaria, che è soggetto terzo ben distinto dalle persone dei soci.

In tema di azione revocatoria, per la sussistenza del cd. eventus damni, non è richiesta la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, anche in forza della mera modificazione qualitativa del patrimonio del debitore.

Il conferimento di un bene (nella specie immobile) in una società di capitali è idoneo a pregiudicare le ragioni del creditore del conferente, dato che sostituisce nel suo patrimonio al bene ceduto un titolo di partecipazione a “capitale di rischio”.