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Art. 146 l.fall.
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30 Giugno 2022

Sull’amministratore di fatto di s.r.l.

L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: a) mancanza di un’efficace investitura assembleare; b) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; c) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza. La prova della posizione di amministratore di fatto implica, per ciò, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori della attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del conferimento o per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico od occasionale.

28 Giugno 2022

L’amministratore di fatto e il danno derivante dall’irregolare tenuta delle scritture contabili

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. – con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (artt. 2393, co. 4; 2941, n. 7; 2949; 2394, co. 2, c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

L’amministratore di fatto di una società di capitali, pur privo di un’investitura formale, esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un’influenza che trascende la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto, sicché può concorrere con questi ultimi a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l’omissione di atti di gestione.

Il danno risarcibile a causa di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione del bilancio – che sia stata idonea a occultare pregresse operazioni illecite o a celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484 n. 4 c.c. per la perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge – è rappresentato, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi di sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Tali condotte, dunque, devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

Quanto alle giacenze di magazzino, la natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore sociale consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima, di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto, restando a carico del convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle merci nell’esercizio dell’attività di impresa.

24 Giugno 2022

Responsabilità per mala gestio dell’amministratore e del liquidatore di s.r.l.

Nonostante i doveri di amministratori e liquidatori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

Nel novero delle operazioni dannose meritano senz’altro di essere comprese le distrazioni del patrimonio sociale, intendendosi per tali tutte quelle azioni, in qualsiasi modo realizzate, che non perseguono altro fine se non quello di sottrarre beni e risorse finanziarie alla società, destinandoli al soddisfacimento di interessi ad essa estranei e, anzi, contrari al suo scopo.

Dalla differente natura dell’attività gestionale dell’amministratore e del liquidatore e dai diversi obblighi specifici che la legge impone loro, deriva, al fine di far valere la responsabilità del liquidatore, l’onere della curatela di allegare inadempimenti nei confronti del liquidatore specifici e diversi rispetto a quelli svolti nei confronti dell’amministratore di una società in bonis, quali, ad esempio, la contestazione circa l’omessa attività liquidatoria, ovvero circa le modalità non corrette di liquidazione per l’eventuale eccessivo protrarsi della stessa o per il compimento di atti non finalizzati ad una rapida dismissione dell’attivo.

13 Giugno 2022

Responsabilità dell’amministratore per mancato accertamento di una causa di scioglimento

In forza del principio della insindacabilità nel merito delle scelte di gestione, il giudice, investito di un’azione di responsabilità per condotta negligente degli amministratori, non può apprezzare il merito dei singoli atti di gestione, valutandone, così, l’opportunità e la convenienza. La gestione della società, infatti, in quanto attività d’impresa, comporta fisiologicamente un alto margine di rischio e richiede il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’organo amministrativo in relazione alla scelta delle operazioni da intraprendere. Ne consegue che, se fosse possibile compiere una valutazione sull’opportunità e convenienza delle scelte di gestione, si legittimerebbe un’indebita ingerenza dell’autorità negli affari sociali, in pregiudizio all’autonomia ed indipendenza dell’organo amministrativo e con probabile paralisi del normale svolgimento dell’attività d’impresa. Ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non può essere l’atto in sé considerato e il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori.

Non tutti i comportamenti illeciti degli amministratori danno luogo a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti. In particolare, l’irregolare e disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore solo potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. Invero, eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge; ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite. Tali condotte, dunque, devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

Al fine di imputare all’amministratore, resosi inadempiente all’obbligo di rilevare la perdita del capitale sociale, il danno effettivamente derivato dall’illecita prosecuzione dell’attività, occorre confrontare i bilanci – quello relativo al momento in cui si è realmente verificata la causa di scioglimento e quello della messa in liquidazione (ovvero del fallimento) – dopo avere effettuato non solo le rettifiche volte a elidere le conseguenze della violazione dei criteri di redazione degli stessi, ma pure quelle derivanti dalla necessità di porsi nella prospettiva della liquidazione, visto che proprio alla liquidazione, se si fosse agito nel rispetto delle regole, si sarebbe dovuti giungere.

La responsabilità dell’amministratore di società di capitali per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie a contenere le perdite e per la mancata richiesta di fallimento nonostante la vistosità ed irreversibilità del dissesto non viene meno per effetto della responsabilità del precedente amministratore nell’aver occultato detto stato, una volta che di questo egli abbia avuto contezza.

8 Giugno 2022

Prescrizione dell’azione di responsabilità promossa dai creditori sociali

Il termine quinquennale di prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali previsto all’art. 2949 c.c. inizia a decorrere, ai sensi dell’art. 2935 c.c., da quando la situazione di insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti si sia obiettivamente manifestata all’esterno così da consentire ai creditori sociali l’esercizio del diritto al ristoro del danno. Il momento di obiettiva emersione dell’insufficienza patrimoniale coincide con la declaratoria di fallimento ove gli amministratori o sindaci convenuti non dimostrino che fosse invece già percepibile in epoca anteriore per effetto di fatti e circostanze sintomatiche pubblicamente note.

1 Giugno 2022

Azione di responsabilità verso gli amministratori esercitata dal fallimento e riparto dell’onere della prova

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e, dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. In applicazione di tale principio nelle azioni di responsabilità ex art. 146 l.fall. spetta al fallimento allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori e dei sindaci posti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dei convenuti contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

In caso di azione di responsabilità fondata sul mancato versamento di oneri fiscali e contributivi obbligatori da parte dell’amministratore, il danno coincide con il maggior debito maturato a causa del ritardato o omesso pagamento di contributi, in termini di sanzioni, oneri di riscossione e interessi; non anche con l’ammontare dei contributi evasi. Sanzioni, oneri e interessi che non avrebbero gravato sulla società se l’amministratore avesse provveduto al tempestivo pagamento, ovvero, in caso di impossibilità per carenza di liquidità, avesse attivato i rimedi previsti dalla legge in caso di crisi o di insolvenza dell’impresa.

Il pagamento del credito postergato ex art. 2467 c.c. costituisce una violazione dei doveri inerenti alla carica di amministratore. Nondimeno, tale pagamento, risolvendosi in un pagamento di un credito inesigibile, da un lato, non perde il suo effetto estintivo del debito sociale e, dall’altro, finisce per porsi sullo stesso piano di un pagamento preferenziale, al quale del resto è accomunato: dall’essergli annesso un effetto estintivo del debito; dall’essere compiuto con lesione della garanzia di cui i creditori godono sul patrimonio della società debitrice e dunque, infine, della par condicio creditorum.

In applicazione dei principi del riparto dell’onere della prova nelle azioni di responsabilità, a fronte dell’allegazione da parte del fallimento dell’inadempimento dell’amministratore consistente negli atti distrattivi del patrimonio sociale, è preciso onere dell’amministratore convenuto fornire la prova del fatto estintivo dell’obbligazione, ovvero del proprio esatto adempimento, consistente nella allegazione delle ragioni, coerenti con gli scopi sociali, a supporto dei pagamenti specificatamente contestati.

23 Maggio 2022

Responsabilità dell’amministratore per il compimento di operazioni irragionevoli

L’amministratore della società ha il compito di gestire l’impresa compiendo tutte le operazioni necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale secondo i doveri imposti dalla legge, dall’atto costitutivo e dello statuto. L’obbligo di diligenza professionale posto dall’art. 2392 c.c. e dall’art 2476 c.c. impone all’amministratore di gestire il patrimonio sociale ed indirizzare l’attività economica nel modo più idoneo agli interessi della società.

In tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (c.d. business judgment rule) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia ex ante, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.

La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni, l’illiceità delle condotte ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.

18 Maggio 2022

Responsabilità dell’amministratore di fatto per i danni cagionati alla società fallita

L’azione di responsabilità dei creditori si propone di tutelare l’integrità del patrimonio sociale, in relazione all’obbligo della sua conservazione; essa riveste natura di azione aquiliana ex art. 2043 c.c. in cui il danno ingiusto è integrato dalla lesione dell’aspettativa di prestazione dei creditori sociali, a garanzia della quale è posto il patrimonio della società, trovando così fondamento nel principio generale della tutela extracontrattuale del credito di cui agli artt. 2740 e 2043 c.c.

A rivestire la qualità di amministratore di fatto può essere anche un terzo totalmente estraneo alla società e alla sua compagine, poiché a rilevare è la prova che vi sia, per facta concludentia, l’intromissione nella direzione dell’impresa sociale, con istruzioni agli amministratori ufficiali e condizionamento delle scelte operative e gestionali, nonostante l’assenza di un’investitura formale quale amministratore da parte dell’assemblea dei soci. L’estensione della qualifica soggettiva di amministratore presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e la “significatività e continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, ma richiedono in ogni caso l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. L’accertamento deve tenere conto di una serie di indici sintomatici tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.

9 Maggio 2022

Responsabilità dell’amministratore e compensatio lucri cum damno

Il rimedio della compensatio lucri cum damno consente di tener conto delle conseguenze positive e immediate della condotta illecita, qualora producano un vantaggio economico al danneggiato. Tale strumento trova applicazione soprattutto nei casi in cui, in virtù di un fatto illecito al danneggiato spetti, oltre al risarcimento del danno, anche un altro indennizzo o beneficio patrimoniale, individuabile sulla base dell’entità del danno da risarcire. Si tratta, più in generale, di una figura che trova riferimento normativo nell’art. 1223 c.c., che riconduce al risarcimento del danno solo la perdita subita, come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Poiché il risarcimento, attesa la sua natura compensativa e non punitiva, non deve essere fonte di arricchimento per la vittima e la sua misura non deve quindi superare quella dell’interesse leso, è necessario tener conto dei benefici entrati nella sfera del danneggiato: la natura differenziale del danno – attesa la sua funzione compensativa – impone insomma di includere nel giudizio risarcitorio non solo le componenti negative elencate dall’art. 1223 c.c. (la perdita e il mancato guadagno), ma anche le componenti positive (il guadagno e la mancata perdita).

Responsabilità del liquidatore per ritardata presentazione della domanda di fallimento

Al liquidatore compete un’attività di controllo e di analisi della contabilità, finalizzata a verificare la situazione finanziaria della società e a riscontrare in fatto l’effettiva esistenza dei beni sociali riportati nei documenti ufficiali, e ciò a prescindere dalle caratteristiche di analiticità e attendibilità della situazione contabile e del rendiconto consegnati dagli amministratori, idonee al più a favorire l’attività del liquidatore di riscontro degli elementi patrimoniali attivi e passivi del patrimonio sociale, così come prescritto dai principi contabili (in particolare: OIC n. 5).
Il liquidatore deve altresì  compiere una valutazione sulla possibilità di soddisfare i creditori sociali con ciò che presume di ricavare dal realizzo dei beni e dall’incasso dei crediti aziendali. Quindi verificherà se dal bilancio iniziale di liquidazione risulti un decifit per il prevalere delle passività sulle attività o comunque una situazione di illiquidità insanabile, tale da essere qualificata come insolvenza, per poi determinarsi a presentare la domanda di dichiarazione di fallimento. Si tratta di accertamenti e valutazioni che necessitano di tempi non aprioristicamente determinabili, cosicché deve farsi riferimento ogni volta al caso concreto.