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Art. 146 l.fall.
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3 Marzo 2023

Azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare

Per effetto del fallimento di una società di capitali, le diverse fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. confluiscono in un’unica azione, all’esercizio della quale è legittimato in via esclusiva il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l.fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità di questi verso la società (artt. 2392, 2407 c.c.), quanto a quelli della responsabilità verso i creditori sociali (art. 2394, 2407 c.c.). Quanto all’azione sociale di responsabilità, anche se esercitata dal curatore fallimentare, essa ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La norma di cui all’art. 2392 c.c. struttura, quindi, una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell’azione de qua consegue che, mentre sull’attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l’onere di dedurre le violazioni agli obblighi e dimostrare il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi; incombe, per converso, sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. In sintesi, l’inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà al curatore fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre spetterà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c., ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo. Di contro, l’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.

Azione di responsabilità esperita dalla Curatela e assenza del parere del comitato dei creditori

Ai fini della proposizione dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., il parere del comitato dei creditori non costituisce un elemento indispensabile per l’integrazione dei poteri del curatore e assume valenza solo endofallimentare; da ciò consegue che la sua assenza non configura un vizio dell’azione ma implica una mera irregolarità tutta interna alla procedura concorsuale, reclamabile solo ex art. 26 l. fall.

Data l’unitarietà dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall., la prescrizione quinquennale decorre dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori è percepibile all’esterno e per presunzione iuris tantum la manifestazione di tale insufficienza coincide con la dichiarazione di fallimento, sicché incombe sull’amministratore convenuto che eccepisce la prescrizione provare che l’insufficienza preesisteva ed era conoscibile prima del fallimento.

28 Febbraio 2023

Azione di responsabilità del curatore verso gli amministratori: diligenza dovuta e onere della prova

La mala gestio degli amministratori deve essere valutata sulla scorta del criterio della diligenza dovuta dal mandatario, anche indipendentemente dalla violazione di specifiche disposizioni di legge o di singole clausole statutarie. Ne consegue che il profilo della violazione deve essere valutato alla stregua del parametro della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi alla operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite altrimenti prevedibili.

Grava sul curatore l’onere di fornire la prova della ricorrenza di quelle condotte che denotano l’inosservanza del dovere di diligenza, oltre che l’onere della prova dell’esistenza del danno, del suo ammontare e della riconducibilità dello stesso al comportamento illegittimo dell’amministratore; grava, per contro, sul convenuto l’onere di riscontrare la non ascrivibilità dell’evento dannoso alla propria condotta, mediante la prova dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti dalla legge.

Il mancato rinvenimento delle scritture contabili o comunque la non regolare tenuta della contabilità potrebbe giustificare, ma non con modalità automatiche, la conseguenza che gli amministratori possano rispondere della differenza tra l’attivo e il passivo accertato in sede fallimentare, dovendosi verificare se non sia possibile individuare lo specifico danno causalmente riconducibile alle violazioni dai medesimi posti in essere nella gestione dell’ente. Una volta precisato se la mancanza o la irregolare tenuta delle scritture contabili renda difficile per il curatore la quantificazione e una prova precisa del danno riconducibile agli inadempimenti accertati in capo all’amministratore, è consentito allo stesso invocare a proprio vantaggio la disposizione dell’art. 1226 c.c. richiedendo al giudice di provvedere alla quantificazione del danno operando riferimento, in via equitativa, allo sbilancio patrimoniale della società quale registrato nell’ambito della procedura concorsuale, purché siano indicate in tali ipotesi le ragioni che rendono plausibile il ricorso a detto criterio avuto riguardo alle specifiche circostanze del cose concreto.

24 Febbraio 2023

Responsabilità di amministratori e sindaci, la nozione di insolvenza

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall., è soggetta a prescrizione quinquennale, che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., derivante, innanzitutto, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito; in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore (o sugli altri organi societari), la prova contraria della diversa data anteriore d’insorgenza dello stato d’incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.

Ai fini dell’accertamento della responsabilità degli amministratori e dei sindaci, è necessario sia provare il danno, consistente nel deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, sia la riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori e dei sindaci. In particolare, la concessione di prestiti fruttiferi, che, dunque, prevedono un ritorno per la società, a parti correlate, implica l’insorgenza di un danno e, dunque, la responsabilità di amministratori e sindaci, allorché si verifica l’inadempimento dell’obbligo di restituire le somme corrisposte; il danno, comunque, è necessariamente correlato alla mancata restituzione, per la somma non recuperata, e, se del caso, per i conseguenti danni per interessi corrisposti su indotto fabbisogno finanziario, e per eventuali sanzioni amministrative. A fronte di atti distrattivi, in quanto destinati a finalità estranee all’oggetto sociale, il danno va commisurato alla diminuzione patrimoniale subita dalla società per effetto dei prelevamenti.

Per essere esonerati da responsabilità i sindaci non devono limitarsi a vigilare e a denunciare nella relazione al bilancio le censure alla condotta dell’organo gestorio, ma è altresì necessario che si attivino al fine di porre in essere gli atti necessari, e a dare attuazione ad ogni loro potere di sollecitazione e denuncia. Deve, infatti, ritenersi che ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi, secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione degli stessi avrebbe ragionevolmente evitato l’illecito, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica.

L’art. 2, co. 1, lett. b), c.c.i.i. definisce lo stato d’insolvenza come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. È da escludersi, pertanto, che sussista lo stato d’insolvenza in presenza di un passivo di bilancio, od allorché la difficoltà di adempimento delle obbligazioni sia momentanea, e non cronica, e riguardi non tutte le obbligazioni, ma solo poche obbligazioni in un lasso di tempo limitato. L’insolvenza, invero, dev’essere valutata dinamicamente, in relazione cioè al complesso delle operazioni economiche ascrivibili all’impresa: dunque a un elemento legato non all’incapienza in sé del patrimonio dell’imprenditore, ma a una vera impotenza patrimoniale definitiva e irreversibile, e non è, invece, ravvisabile in una mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte.

Allorché sia sottoposta all’assemblea di una s.r.l. la richiesta, rivolta ai soci, di versare somme a titolo di finanziamento, la sua approvazione non fa sorgere di per sé, neppure in capo a chi abbia espresso voto favorevole, l’obbligo di eseguire il versamento, essendo all’uopo necessaria un’ulteriore, distinta manifestazione di volontà negoziale da parte di ciascun socio uti singulus, la cui prova non richiede forme particolari.

23 Febbraio 2023

Azione di responsabilità esercitata dal curatore: natura, presupposti, onere probatorio e danno risarcibile

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale, in quanto trova la propria fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori ed i sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Più nello specifico, spetta all’attore l’onere dell’allegazione e della prova, sia pure mediante presunzioni, dell’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale e della riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico. In ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente; in difetto di tale allegazione e prova, la domanda risarcitoria mancherebbe, infatti, di oggetto.

In caso di erosione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, gli amministratori, ex art. 2486 c.c., conservano il potere di gestire la società ai fini del perseguimento delle sole finalità di conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. Il divieto di intraprendere nuove operazioni sorge per il solo verificarsi della causa di scioglimento, anche prima ed indipendentemente dal fatto che l’assemblea ne prenda o ne abbia preso atto. A tale riguardo, vanno qualificate come nuove operazioni tutti quei rapporti giuridici che, svincolati dalle necessità inerenti alle liquidazioni delle attività sociali – in quanto il patrimonio sociale diviene finalizzato alla garanzia dei creditori – siano costituiti dagli amministratori per il conseguimento di un utile sociale e per finalità diverse da quelle di liquidazione della società.

Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge; ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite.

La distrazione consiste in una condotta di tipo commissivo volta ad utilizzare beni del patrimonio sociale per finalità diverse da quelle inerenti alla realizzazione dell’oggetto sociale o comunque al fine di avvantaggiare soggetti diversi dalla società. Quanto all’onere della prova, a fronte dello specifico addebito di distrazione da parte dell’attore, l’onere di dimostrare che le somme siano state destinate per fini sociali non può che ricadere sul convenuto, quale eccezione specifica ovvero prova dell’adempimento della propria obbligazione.

In caso di mancato assolvimento degli obblighi fiscali e previdenziali da parte dell’amministratore, il danno da questi risarcibile deve essere commisurato alle sanzioni e interessi connessi all’omesso o tardivo pagamento delle imposte e dei contributi e non anche all’ammontare di imposte e contributi stessi, in quanto il relativo obbligo di pagamento sorge non già in conseguenza del comportamento dell’amministratore, ma come diretta conseguenza dello svolgimento dell’attività sociale.

15 Febbraio 2023

Azione sociale di responsabilità e azione dei creditori sociali promosse dal curatore fallimentare

L’art. 146 l.f. prevede che le azioni di responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo siano esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori. Nel quadro normativo di riferimento, anche per le S.r.l. fallite al curatore spetta l’esercizio tanto dell’azione sociale di responsabilità, quanto dell’azione dei creditori sociali, come espressamente previsto per le spa dall’art. 2394 bis c.c.

Nel caso in cui siano proposte indistintamente e contemporaneamente l’azione sociale di responsabilità e l’azione dei creditori sociali, la responsabilità degli amministratori e dei sindaci nel periodo cui si riferiscono i presunti fatti di mala gestio può essere accertata tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale (danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo ovvero relativi all’adempimento delle loro funzioni con la diligenza richiesta) quanto con riferimento ai presupposti dell’azione spettante ai creditori della società (insufficienza del patrimonio causata dall’inosservanza di obblighi relativi alla conservazione del patrimonio stesso).

Secondo i principi fissati dall’art. 2697 c.c., è onere della procedura fallimentare, presunta danneggiata, dimostrare sia le condotte assunte illecite e ascritte agli amministratori, sia il danno riferibile a tali condotte, nonché il nesso di causalità tra tali condotte illecite e il danno conseguente, che a sua volta deve essere determinato nel suo ammontare e provato. E questo va fatto attraverso la verifica del risultato economico delle singole operazioni pregiudizievoli per la società, di volta in volta poste in essere dagli amministratori, escludendo qualsivoglia automatismo, non potendo altrimenti procedersi, in mancanza di specifici accertamenti, alla liquidazione del danno in misura pari alla differenza tra attivo e passivo fallimentare.

14 Febbraio 2023

Azione unitaria ex art. 146 l.fall. proposta dal curatore e onere della prova

Dopo il fallimento della società le azioni di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono nell’unica azione prevista dall’art. 146 l.fall., al cui esercizio è esclusivamente legittimato il curatore fallimentare. Tuttavia, la legittimazione del curatore non fa mutare la natura e i regimi probatori delle due azioni: l’azione sociale conserva natura contrattuale e, quindi, grava sull’attore (società o curatela fallimentare) il solo onere di dimostrare le violazione di legge, dell’atto costitutivo o del generale obbligo di diligenza (presumendosi l’inadempimento colposo) e da parte degli amministratori, il nesso causale tra violazione e danno lamentato, mentre incombe sull’amministratore convenuto l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso; l’azione dei creditori sociali, mantiene natura extracontrattuale e presuppone un comportamento dell’amministratore causativo di una diminuzione del patrimonio sociale , con conseguente diritto dell’attore (creditore sociale o curatore) di ottenere l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di adempiere.

Qualora il curatore agisca in giudizio per far valere la responsabilità dell’organo amministrativo per violazione degli obblighi derivanti dalla perdita del capitale sociale, deve allegare l’inadempimento dell’amministratore astrattamente idonee a cagionare il danno lamentato, indicando le ragioni che hanno impedito lo specifico accertamento degli effetti dannosi e non potendo applicarsi il criterio  della differenza tra passivo accertato e attivo fallimentare sempre e in via automatica, utilizzabile come parametro per una valutazione equitativa. Ove sia allegata la prosecuzione dell’attività nonostante l’erosione del capitale sociale, il curatore deve poi provare, anche mediante il ricorso a presunzioni, che le scelte di assunzione di nuovo rischio sono state adottate al di fuori di una logica meramente conservativa. Anche in questo caso è ammissibile la liquidazione del danno in via equitativa secondo il criterio dei netti patrimoniali, fermo tuttavia che non tutta la perdita riscontrata dopo la causa di scioglimento illegittimamente non rilevata può non essere integralmente riferita alla prosecuzione dell’attività, potendo prodursi anche in pendenza di liquidazione o fallimento.

10 Febbraio 2023

La ripartizione dell’onere probatorio e la rilevanza del nesso causale nell’azione di responsabilità

Chi agisce per il risarcimento del danno deve allegare e provare l’esistenza di un danno attuale e concreto, cioè – nel contesto di un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore – il depauperamento del patrimonio sociale, di cui si chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente. Incombe viceversa sull’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi a lui imposti. È pacificamente accolto in giurisprudenza il principio del superamento della ricostruzione della fattispecie risarcitoria in termini di danno-evento, essendo infatti privilegiata l’opzione ermeneutica fondata sul concetto di danno-conseguenza.

Il riferimento al nesso causale, oltre a servire come parametro per l’accertamento della responsabilità risarcitoria degli amministratori, è quindi rilevante anche da un punto di vista oggettivo, in quanto consente, come regola generale, di limitare l’entità del risarcimento all’effettiva e diretta efficienza causale dell’inadempimento e quindi a porre a carico degli amministratori inadempienti solo il danno direttamente riconnesso alla loro condotta omissiva o commissiva.

10 Febbraio 2023

Sulla legittimazione attiva di socio e creditore in caso di Fallimento della società

A seguito del fallimento della società il socio che abbia promosso l’azione di responsabilità sociale nella qualità di sostituto processuale della società ai sensi dell’art. 2476, comma 3, c.c.. perde la legittimazione e così pure il singolo creditore che abbia proposto l’azione del creditore sociale nel mentre il fallimento è legittimato ad agire con l’azione ex art 146 l. fall., azione che “assorbe” sia l’ azione sociale sia azione dei creditori sociali quest’ultima configurandosi in costanza di procedura fallimentare, come azione “di massa”. Finché dura il fallimento non può “sopravvivere” la legittimazione del singolo creditore sociale all’azione dei creditori sociali restando salva solo la diversa azione, individuale e per danno “diretto” del terzo ex art 2476, comma 6 (ora 7), c.c. (azione non predicata nel caso di specie). Ne consegue che nel caso di giudizio di responsabilità già pendente verso l’organo amministrativo della società qualora intervenga il fallimento della società spetta solo al fallimento la decisione di proseguire con le azioni originariamente promosse accettando la causa nello stato in cui si trova con le eventuali preclusioni assertive ed istruttorie già maturate; in difetto di ciò la domanda va dichiarata improcedibile per il sopravvenuto difetto di legittimazione attiva degli originari attori.