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Art. 3 legge 287 1990
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5 Febbraio 2021

L’interruzione dei rapporti commerciali a seguito di inadempimento contrattuale non costituisce atto di concorrenza sleale

In materia Antitrust, qualora nel contratto di fornitura di merci sia espressamente stabilito il divieto di trasferire il bene ad un Paese diverso da quello di destinazione, il solo fatto dell’avvenuto sdoganamento e trasferimento del medesimo presso i magazzini di altro Paese, seppur in via transitoria, implica violazione delle obbligazioni contrattuali e consente alla società fornitrice l’interruzione dei rapporti commerciali, non rilevando tale condotta come rifiuto a contrarre sanzionabile quale atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c.

25 Maggio 2020

Nullità parziale del negozio fideiussorio perché viziato da clausole negoziate in contesto restrittivo della concorrenza

La produzione in giudizio della documentazione proveniente dalle Autorità Amministrative Indipendenti che hanno svolto approfondita istruttoria antitrust costituisce prova documentale idonea a dimostrare, secondo il paradigma generale di cui all’art. 2697 c.c., l’esistenza del cartello tra imprese. Poiché tale documentazione raccoglie gli esiti di un’esaustiva istruttoria amministrativa, avente carattere definitivo, essa assume valore intrinseco di fonte probatoria privilegiata dell’illecito antitrust (Nel caso di specie, si trattava del provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005 e del provvedimento AGCM n. 14251 del 20 aprile 2005 che hanno accertato la presenza di clausole idonee a restringere la concorrenza, ai sensi dell’art. 2, co. 2, della legge n. 287/90 in seno allo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) con la circolare serie tecnica O, n. 20 del 17 giugno 1987).

Accertato che lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) con la circolare serie tecnica O, n. 20 del 17 giugno 1987 è stato adottato da tutti gli istituti di credito aderenti con effetti tali da pregiudicare la libera concorrenza degli operatori del settore, l’orientamento secondo il quale la trasposizione delle clausole in esso contenute nei contratti sottoscritti dai consumatori rende nullo l’intero negozio non appare del tutto convincente atteso che esso presume, in assenza peraltro di prova specifica sul punto, che i contraenti – e nello specifico l’istituto di credito – non avrebbero stipulato la fideiussione in assenza delle clausole ritenute oggetto di intesa anticoncorrenziale. Ma tale affermazione, a ben vedere, si traduce in una petizione di principio, senza che sia offerta sul punto una precisa dimostrazione ‘controfattuale’ della situazione di mercato, tale da dimostrare che la banca non avrebbe accettato la garanzia in assenza delle clausole concordate con ABI.

Accertato che lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) con la circolare serie tecnica O, n. 20 del 17 giugno 1987 è stato adottato da tutti gli istituti di credito aderenti con effetti tali da pregiudicare la libera concorrenza degli operatori del settore, tra gli opposti orientamenti giurisprudenziali emersi in riferimento alla questione se la trasposizione nei contratti sottoscritti dai consumatori delle clausole in esso contenute, le renda affette da nullità o, addirittura, renda nullo l’intero negozio, appare maggiormente convincente quello che, soffermandosi sulla natura abusiva dell’intesa e delle relative clausole che da essa sono derivate, trasla l’invalidità del patto anticoncorrenziale alle singole clausole che ne sono il prodotto e non già all’intero negozio, con conseguente accertamento della nullità delle sole clausole oggetto dell’intesa anticoncorrenziale e rigetto della domanda di nullità dell’intero rapporto fideiussorio.

Non può essere accolta la domanda di risoluzione del contratto di fideiussione fondata sul presupposto che la banca non avrebbe proposto le proprie istanze nel termine semestrale previsto dall’art. 1957 c.c.. Ed invero, il termine previsto dall’art. 1957 c.c. costituisce ipotesi di decadenza e non già fattispecie risolutoria. Peraltro, la declaratoria di decadenza ha natura di accertamento, mentre la domanda di risoluzione ha natura costitutiva, sicché la riqualificazione della domanda risolutoria in domanda di accertamento dell’intervenuta decadenza, si risolverebbe in violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione, stante l’impossibilità per il giudice di rilevare d’ufficio la decadenza ex art. 2969 c.c.. Il rigetto della domanda di risoluzione lascia impregiudicata la possibilità per la parte chiamata all’adempimento di sollevare tutte le eccezioni che derivano dall’applicazione dell’art. 1957 c.c. e che conseguono alla declaratoria di nullità parziale della clausola contrattuale specificatamente invocata da parte .

14 Gennaio 2020

Questioni di diritto antitrust con riferimento ai servizi portuali

Nell’accertamento dell’abuso di posizione dominante, il giudice deve ricercare la concorrenza “virtuale”, ossia quella che sarebbe rimasta se la posizione dominante non fosse stata esercitata nel modo che si pretende abusivo.

Sebbene gli articoli 2 e 3 della legge n. 287/90 non richiedano esplicitamente che venga individuato un mercato rilevante nella valutazione concorrenziale di un’intesa o di un presunto abuso di posizione dominante, l’esigenza di individuare un mercato rilevante si pone con riferimento alla richiesta capacità di un’intesa di alterare “in maniera consistente il gioco della concorrenza” e, nel caso di presunta violazione dell’articolo 3, al fine di accertare l’esistenza di una posizione dominante e le eventuali caratteristiche abusive di un dato comportamento.

L’individuazione del mercato rilevante va intesa non come fine a sé stante, ma come una delle fasi funzionali alla valutazione concorrenziale di un atto o di un comportamento. Ad essa pertanto va attribuito non un valore “assoluto”, bensì un valore relativo; ad esempio, utilizzare definizioni molto restrittive dei mercati non distorce necessariamente i risultati dell’analisi se negli stadi successivi del processo di valutazione si tiene adeguatamente conto delle possibilità di spostamento della clientela su altri prodotti o su una più ampia area geografica.

Il mercato rilevante può essere definito come il più piccolo contesto (insieme di prodotti, area geografica) nel cui ambito è possibile, tenendo conto delle esistenti opportunità di sostituzione, la creazione di un significativo grado di potere di mercato. In termini economici il potere di mercato è la capacità di un’impresa di alzare profittevolmente il proprio prezzo al di sopra del prezzo concorrenziale.

Il bene tutelato dagli artt. 102 TFUE e 3 l. 287/90 è la tutela dell’efficace processo concorrenziale e non la semplice tutela dei concorrenti, il che può significare che usciranno dal mercato i concorrenti che presentano ai consumatori un’offerta meno interessante in termini di prezzo, varietà, qualità e innovazione, ma l’obiettivo è impedire che le imprese dominanti ostacolino lo svolgimento della concorrenza effettiva precludendo il mercato ai loro concorrenti in modo anticoncorrenziale, con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori, sia in forma di prezzi più elevati di quelli altrimenti vigenti, sia in altra forma, ad esempio limitando la qualità o riducendo la scelta dei consumatori.

Un abuso escludente ha due componenti: una è la condotta che ostacola o impedisce l’effettivo ingresso dei concorrenti attuali o potenziali alle forniture o ai mercati e l’altro è l’impatto anticoncorrenziale, attuale o probabile (aumento dei prezzi o peggioramento di qualità, varietà, innovazione) a danno dei clienti.

Abuso di posizione dominante nel mercato della gestione delle NNG (numerazioni non geografiche)

Gli effetti dell’abuso di una posizione dominante in un determinato mercato in danno dei concorrenti possono verificarsi non solamente nel medesimo mercato, in cui il soggetto detiene la posizione dominante, ma anche in un mercato c.d. “a valle”, in cui il soggetto non detiene posizione dominante, quando però tale mercato dipende per la sua esistenza da quello “a monte”, in cui il soggetto detiene invece una posizione dominante.

[Nel caso in esame, il mercato di gestione delle NNG (numerazioni non geografiche), avente cioè ad oggetto la fornitura, a mezzo del servizio telefonico, al cliente finale dei c.d. servizi a valore aggiunto (VAS), per il modo in cui era strutturato, dipendeva strettamente dal mercato “a monte” della raccolta delle chiamate dirette alle NNG da parte dei gestori della rete telefonica, atteso che il corrispettivo destinato a remunerare i Centri Servizi, fornitori di VAS, era fatturato e riscosso presso gli utenti non già dai gestori delle NNG (cioè gli operatori chiamati), bensì dai gestori della rete telefonica (cioè gli operatori chiamanti); pertanto è evidente che un comportamento abusivo di un soggetto dominante nel mercato “a monte” ben poteva determinare effetti dannosi per i soggetti che operavano nel mercato “a valle”, tenuto conto, tra l’altro, che, nel caso in esame, il soggetto che si sostiene essere stato in posizione dominante nel mercato “a monte” era altresì presente nel mercato “a valle”, dove operava in concorrenza con le appellanti.]

5 Luglio 2017

Abuso di dipendenza economica ed abuso di posizione dominante: non basta la posizione dominante perchè ci sia abuso

Se in astratto la condotta qualificabile quale “abuso discriminatorio”, “abuso di dipendenza economica” e “atto di concorrenza sleale”, ai sensi dell’art. 3 L.287/1990, dell’art. 102 TFUE e dell’art. 2598 c.c., puo’ essere individuata nel rifiuto di accordare ulteriori dilazioni di pagamento ad un soggetto debitore e concedere, invece, ad altro soggetto debitore in medesima posizione debitoria con l’unico creditore, concessioni di favore non concesse al primo, in concreto le relative circostanze vanno soggette al [ LEGGI TUTTO ]