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Francesca Bianconi

Francesca Bianconi

Assegnista di ricerca in diritto commerciale presso la Libera Università di Bolzano; Dottoranda di ricerca in Scienze Giuridiche Europee ed Internazionali presso l'Università degli Studi di Verona, Curriculum di Diritto Commerciale; Abilitata all'esercizio della professione forense.

18 Settembre 2024

Denuncia di gravi irregolarità e gestione di operazioni in conflitto di interessi

L’art 2391 c.c. definisce una serie di fasi che devono essere seguite nel caso sussista un interesse proprio o di terzi: in primo luogo, l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori di questa situazione di interesse per una determinata operazione; in secondo luogo, la notizia deve contenere la natura, i termini, l’origine e la portata del potenziale conflitto; in terzo luogo, la deliberazione del CdA deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione. I presupposti per l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c. sono: il compimento da parte degli amministratori, in violazione dei loro doveri, di gravi irregolarità nella gestione; il danno potenziale; l’attualità delle irregolarità. [Nel caso di specie il Tribunale ritiene sussistenti e attuali le gravi irregolarità richieste dalla norma, in ragione: a) dell’inosservanza della procedura prevista dall’art. 2391 c.c. in tema di conflitto di interessi con riferimento alla stipulazione di contratti di locazione; b) dell’assenza di valutazione in merito alla convenienza per la società di stipulare nuovamente i contratti con parti in conflitto di interessi, nonché dei forti dubbi sulla congruità dei nuovi canoni di locazione; c) dell'assenza di qualsivoglia concreta iniziativa da parte degli amministratori indipendenti per tutelare il patrimonio della società per gli ingenti danni subiti a causa di decenni di canoni notevolmente al di sotto dei valori di mercato.] [ Continua ]
18 Settembre 2024

Sulla sospensione della deliberazione di esclusione del socio di s.r.l.

L’art. 2378, co. 3, c.c., applicabile anche alle società a responsabilità limitata in forza del richiamo contenuto nell’art. 2479 ter, co. 4, c.c., configura una misura cautelare tipica, diretta a ottenere la sospensione dell’esecuzione della delibera assembleare impugnata, per la concessione della quale il giudice è tenuto a verificare la sussistenza del fumus boni juris e del periculum in mora, quest’ultimo da ravvisarsi, come precisato dall’art. 2378, co. 4, c.c., all’esito di una comparazione tra il pregiudizio che deriverebbe al ricorrente dall’esecuzione della delibera impugnata e quello che deriverebbe alla società dalla sospensione della delibera medesima. La valutazione comparativa del pregiudizio che subirebbe il socio escluso dall’esecuzione della delibera e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione ai sensi dell’art. 2378, co. 3, c.c. implica una comparazione di interessi di per sé autonoma rispetto all’apprezzamento del fumus, nel senso che, anche in presenza di fumus di fondatezza dell’impugnazione, laddove il pregiudizio della società convenuta risulti più grave di quello dell’impugnante, non dovrà essere accolta la richiesta cautelare di sospensione, la tutela della posizione dell’impugnante restando comunque affidata, in caso di irreversibilità dell’esecuzione della delibera, ai meccanismi risarcitori previsti dal sistema normativo, il quale nella materia in esame prevede altri casi in cui la tutela reale – rappresentata dall’annullamento della delibera – recede rispetto alla tutela risarcitoria. L’esclusione del socio di s.r.l. è possibile solo nell’ipotesi - e all’esito del procedimento previsto per il caso - di renitenza del socio al versamento della quota di capitale da lui dovuta (ex art. 2466 c.c.), ovvero quando l’atto costitutivo lo consenta. Tuttavia, anche in tale secondo caso, per l’ovvia esigenza di consentire ai soci di evitare tale gravissima sanzione privata conoscendo preventivamente le condotte che potrebbero darvi causa, in ipotesi specifiche, espresse e tassative, che integrino, sotto il profilo contenutistico, una giusta causa di cessazione del vincolo sociale (ex art. 2473 bis c.c.). [ Continua ]
18 Settembre 2024

Azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di s.r.l.: profili sostanziali e processuali

L’art. 2476, co. 3, c.c., ai sensi del quale l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, configura una forma di sostituzione processuale (art. 81 c.p.c.), dal momento che con il rimedio in oggetto il socio fa valere in nome proprio il diritto della società alla reintegrazione, per equivalente monetario, del pregiudizio al proprio patrimonio, derivato dalla violazione dei doveri di corretta e prudente gestione che, per legge e per statuto, gravano sull’amministratore in forza del rapporto di preposizione organica (di fonte contrattuale) fra quest’ultimo e la società. La disposizione di cui al citato art. 2476, co. 3, c.c., nella parte in cui contempla la legittimazione del singolo socio ad agire in nome proprio e nell’interesse della società partecipata, è necessariamente di stretta interpretazione e non passibile di estensione in via analogica. Ciascun socio che eserciti l’azione di responsabilità ex art. 2476, co. 3, c.c., in veste di sostituto processuale della società ex art. 81 c.p.c., ha legittimazione ad agire anche per fatti antecedenti all’acquisizione dello status socii, purché tale qualifica sia posseduta al momento della proposizione della domanda. I patti parasociali sono convenzioni con cui i soci o alcuni di essi attuano un regolamento di rapporti - non opponibile alla società - difforme o complementare rispetto a quello previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto della società stessa. Per loro natura, i patti parasociali hanno efficacia solo obbligatoria tra gli aderenti al patto stesso e non sono quindi opponibili né ai soci non aderenti, né alla società, né ai terzi, compresi in particolare i soggetti che acquistano le azioni dai cc.dd. parasoci. Il patto con il quale i soci di una s.r.l. si impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l’azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando all’esercizio del diritto di voto pur in presenza dei presupposti dell’indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione realizza un conflitto d’interessi tra la società e i soci fattisi portatori dell’interesse del terzo e integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmente imposte dal modello legale di società, non potendo i soci, non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente a esercitare il diritto di voto in contrasto con l’interesse della società, a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società, né che la compagine sociale sia limitata a due soci aventi tra loro convergenti interessi. Nelle società a responsabilità limitata, tanto la rinuncia all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori quanto la transazione della predetta azione, oltre a dover essere deliberate espressamente dalla maggioranza qualificata prevista per legge, non possono essere desunte da espressioni generiche contenute in verbali aventi altro oggetto, o, ancora, da fatti concludenti. La ratifica ex post da parte dell’assemblea degli atti compiuti dagli amministratori può liberare questi ultimi dalle loro responsabilità verso la società solo qualora ricorrano le condizioni rispettivamente richieste dagli artt. 2393, co. 6, e 2476, co. 5, c.c. In tema di azione di responsabilità sociale diretta a ottenere il risarcimento del danno derivato alla società da violazioni poste in essere dagli amministratori ex art. 2476 c.c., il termine prescrizionale è di cinque anni ex art. 2949 c.c. A norma dell’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. L’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli ostacoli di mero fatto o gli impedimenti soggettivi, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione della prescrizione. Vanno considerati impedimenti soggettivi od ostacoli di mero fatto l’ignoranza del fatto generatore del diritto, il dubbio soggettivo sull’esistenza di esso e il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento. L’azione sociale di responsabilità si configura come un’azione risarcitoria di natura contrattuale, derivante dal rapporto che lega gli amministratori alla società e volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte, dolose o colpose, degli amministratori, poste in essere in violazione degli obblighi su di loro gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. Per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l’approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la causa petendi deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale. Ciò vale tanto che venga esercitata un’azione sociale di responsabilità quanto un’azione dei creditori sociali, perché anche la mancata conservazione del patrimonio sociale può generare responsabilità non già in conseguenza dell’alea insita nell’attività di impresa, ma in relazione alla violazione di doveri legali o statutari che devono essere identificati nella domanda nei loro estremi fattuali. Affinché possa ritenersi integrata la responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori, è necessaria, oltre alla prova di concreti inadempimenti dell’organo gestorio ai doveri su di esso incombenti per legge e statuto, l’allegazione e la prova del danno in tal modo concretamente cagionato al patrimonio sociale e del nesso di causa che lega i primi al secondo, con la conseguenza che non risulta sufficiente, per l’accoglimento della domanda, l’indicazione generica di irregolarità contabili e amministrative, in assenza di allegazione del concreto vulnus che sarebbe derivato all’integrità del patrimonio della società. La scelta tra il compiere o meno un certo atto di gestione, oppure di compierlo in un certo modo o in determinate circostanze, non è mai di per sé sola (salvo che non denoti addirittura la deliberata intenzione dell’amministratore di nuocere all’interesse della società) suscettibile di essere apprezzata in termini di responsabilità giuridica, per l’impossibilità stessa di operare una simile valutazione con un metro che non sia quello dell’opportunità e perciò di sconfinare nel campo della discrezionalità imprenditoriale; mentre, viceversa, è solo l’eventuale omissione, da parte dell’amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel genere che può configurare la violazione dell’obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministrazione e può quindi generare una responsabilità contrattuale dell’amministratore verso la società. Il giudizio sulla diligenza non può, dunque, mai investire le scelte di gestione degli amministratori, ma tutt’al più il modo in cui esse sono state compiute. Tale giudizio – in ordine al grado di diligenza che la cura di un determinato affare avrebbe normalmente richiesto, in rapporto a quello in concreto impiegato dall’amministratore convenuto in giudizio dalla società – costituisce una tipica valutazione di merito, come tale non sindacabile in cassazione se non per eventuali vizi di motivazione. [ Continua ]
8 Luglio 2024

Sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale ed exceptio doli generalis ex art. 1993 c.c.

La sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., nell'ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell'imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, è subordinata alla condizione della contemporanea pendenza dei due processi, civile e penale e, quindi, dell'avvenuto esercizio dell'azione penale da parte del P.M. nei modi previsti dall'art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell'imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio, sicché tale sospensione non può essere disposta sul presupposto della mera presentazione di una denuncia e della conseguente apertura di indagini preliminari. Va esclusa l’applicabilità della sanzione della nullità virtuale al negozio giuridico violativo della c.d. normativa antiriciclaggio, dal momento che il d.lgs. 231/2007 prevede una sanzione amministrativa, esplicitando che, presupponendo la nullità virtuale l'assenza di esplicita sanzione dell'atto o della condotta, e la possibilità di affermare la nullità come sanzione, per così dire, implicitamente prevista dalla disposizione violata, essa deve escludersi ove, invece, vi sia la previsione di una espressa sanzione, come quella amministrativa. L’art. 1993, co. 2, c.c., ai sensi del quale il debitore può opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori soltanto se, nell'acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo, identifica la c.d. exceptio doli generalis. Affinché possano opporsi al possessore del titolo le eccezioni derivanti dai rapporti extracartolari opponibili al dante causa, se non occorre la prova di una vera e propria collusione, è necessaria almeno la dimostrazione che l'acquisto del titolo sia stato fatto con il programma di danneggiare il debitore, cioè con il sicuro proposito di impedire a quest'ultimo le difese, privandolo delle eccezioni che avrebbe potuto opporre al portatore precedente e di arrecargli così un danno. [ Continua ]
7 Luglio 2024

Sulla postergazione dei finanziamenti dei soci di s.r.l. ex art. 2467 c.c.

In tema di finanziamento dei soci in favore della società, la postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma; ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione - costituita da un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o da una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento - ove esistente sia al momento della concessione del finanziamento, sia al momento della richiesta di rimborso. La postergazione, sussistendone i presupposti sopra evidenziati, permane anche nel caso in cui il socio fuoriesca dalla società, in considerazione della finalità di tutela dei creditori che la norma citata mira a perseguire. Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all'ufficio giudiziario. [ Continua ]
7 Luglio 2024

Impugnativa di bilancio: la valutazione delle partecipazioni immobilizzate

In tema di redazione del bilancio di esercizio, l’art. 2426, co. 1, n. 1, c.c. impone che le immobilizzazioni siano iscritte al costo di acquisto e l’art. 2423 bis, co. 1, n. 6, c.c. prescrive che i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro (c.d. principio di continuità dei bilanci). Pertanto, l’appostazione di una partecipazione detenuta in altra società al costo di acquisto e per un valore coerente con quanto rappresentato nel bilancio precedente risulta ossequiosa di detti principi, rispetto ai quali la mera diversa valorizzazione in un atto di donazione tra privati non riveste alcuna efficacia euristica. [ Continua ]
25 Maggio 2024

Compenso dell’amministratore e responsabilità per distrazione delle risorse sociali

In tema di compenso agli amministratori gli artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1 e 3, c.c., letti e interpretati in relazione alla natura del rapporto di amministrazione e alle fonti che lo disciplinano, delineano una materia del tutto disponibile e subordinata alle disposizioni statutarie e alla volontà assembleare. Dalle suddette previsioni non può, quindi, in alcun modo desumersi il carattere inderogabilmente oneroso della prestazione dell’amministratore, non costituendo l’onerosità un requisito indispensabile della stessa. Ne consegue che ai fini della sussistenza o meno del diritto al compenso occorre in primis verificare quanto previsto dallo statuto. [ Continua ]

Responsabilità dell’amministratore per spese e prelievi personali posti a carico della società

Nell’azione di responsabilità dell’amministratore è onere dell’attore allegare l’inadempimento ascritto all’amministratore convenuto e, quindi, più nello specifico, le condotte costituenti violazione degli obblighi inerenti, per legge e per statuto, alla sua carica, il loro compimento da parte dell’amministratore medesimo, nonché la sussistenza del conseguente danno al patrimonio sociale. Viceversa, l’amministratore convenuto è gravato da una presunzione di responsabilità che può essere da quest’ultimo superata unicamente dimostrando di aver adempiuto con la diligenza richiesta, ex art. 1176 c.c., dalla natura dell’obbligazione, ovvero di non avervi potuto adempiere per fatto a lui non imputabile (c.d. prova liberatoria). [ Continua ]