7 Gennaio 2021

Azione di responsabilità e società pubblica: i criteri di valutazione della condotta degli amministratori non mutano

Nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto un’azione di responsabilità promossa dalla curatela ai sensi dell’art. 146 l. fall., la circostanza che la fallita sia partecipata da enti pubblici non costituisce motivo per adottare logiche diverse nella valutazione della condotta dei suoi amministratori, sindaci e direttore generale, i quali sono comunque tenuti a gestire la società diligentemente e in maniera da assicurarne l’equilibrio economico-finanziario, così da consentire, anche a tutela dei terzi creditori, il regolare adempimento delle obbligazioni assunte. Pertanto, in favore degli organi amministrativi e di controllo, non sussiste alcuna ragione per derogare al generale obbligo di diligente gestione societaria, applicandosi la disciplina privatistica della forma societaria prescelta.

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. è la stessa azione che prima dell’apertura della procedura concorsuale avrebbe potuto essere esercitata dalla società o dai creditori sociali ai sensi degli artt. 2392 e 2394 c.c., come si evince dal tenore letterale dell’art. 2394 bis c.c. Pertanto, non trattandosi di azioni che derivano ex novo dal fallimento, non è applicabile la competenza del tribunale fallimentare ai sensi dell’art. 24 l. fall. per le azioni che “derivano” dal fallimento.

Nel promuovere un’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 146 l. fall., gli organi della procedura agiscono unitariamente ai sensi dell’art. 2392 e 2394 c.c. e possono giovarsi del regime di prescrizione a loro più vantaggioso che, di norma, coincide con quello dell’azione dei creditori sociali (in ragione del quale il termine prescrizionale decorre dal momento in cui si è verificata l’insufficienza del patrimonio sociale, oggettivamente conoscibile dai creditori, che si presume, iuris tantum, coincidere con la dichiarazione di fallimento).

Rispetto a fatti che rilevano contestualmente sia in termini di atti di mala gestio in un giudizio civile sia quali fattispecie di reato in un parallelo giudizio penale, la decisione, non irrevocabile, resa in sede penale non può costituire precedente vincolante ai sensi dell’art. 652 c.p.p. nel giudizio civile in corso bensì quale mero elemento di prova valutabile dal giudice.

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Michele Rossi

Michele Rossi

Dottore di ricerca (Università di Bologna) e Avvocato in Bologna - Studio Legale Associato Demuro Russo(continua)

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