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Tribunale di Palermo


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29 Maggio 2023

Sopravvenuta carenza di interesse a impugnare il bilancio a seguito del fallimento della società

Nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di approvazione del bilancio della società, il sopravvenuto fallimento di quest’ultima comporta il venir meno dell’interesse ad agire quando l’istante non deduca argomentazioni idonee a comprovare il suo perdurante interesse, avuto riguardo alle utilità attese dopo la chiusura della procedura fallimentare. Non risulta, quindi, tutelabile il generico interesse del socio alla sola veridicità e correttezza dei dati di bilancio, ove dalla pronuncia resa la parte non possa comunque conseguire alcun utile risultato, come in ipotesi di sopravvenienza del fallimento. Laddove quindi intervenga il fallimento, con conseguente acquisizione del patrimonio sociale alla massa dei creditori, viene meno l’interesse alla correzione delle eventuali erronee appostazioni di bilancio, salvo la diversa allegazione del socio.

Il bilancio sociale se con riferimento alle appostazioni che si riferiscono ai rapporti societari spiega efficacia vincolante, a diversa soluzione deve invece giungersi in relazione ai crediti verso i soci eventualmente vantati dalla società non nella qualità di soci, bensì quali clienti. In relazione a tali rapporti, infatti, il bilancio non spiega alcuna efficacia vincolante, bensì può essere utilizzato eventualmente solo in danno della società ex art. 2709 c.c. in quanto l’imprenditore resta vincolato alle proprie annotazioni contabili, ma non può essere opposto quale valida prova o ancora quale atto negoziale confessorio e vincolante nei confronti dei soci debitori per altro titolo.

26 Maggio 2023

Responsabilità dell’amministratore per mancata tenuta delle scritture contabili e mancato assolvimento degli adempimenti fiscali

La contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina; sicchè dalla irregolare tenuta non può discendere ex se un danno idoneo a dar luogo a responsabilità risarcitoria da parte dell’amministratore nei confronti della società.

La mancata presentazione ai competenti uffici dell’erario delle prescritte dichiarazioni fiscali, con conseguente esposizione debitoria della società nei confronti dell’erario per imposte evase, contributi, sanzioni ed interessi, costituisce un’inadempimento fonte di responsabilità in capo all’amministratore. Non giova all’amministratore dedurre di essersi affidato per tale adempimento ad un consulente esterno, non essendo l’amministratore esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati.

In caso di violazione degli obblighi specifici derivanti dall’atto costitutivo o dalla legge, la responsabilità degli amministratori di una società può essere esclusa solo nel caso, previsto dall’art. 1218 c.c., in cui l’inadempimento sia dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata né superata con la diligenza richiesta al debitore. Laddove gli amministratori adducono a propria discolpa la presenza di una crisi di liquidità, hanno l’onere di fornirne la prova, nonché di dimostrare di essersi adoperati per porvi rimedio, convocando l’assemblea per deliberare l’aumento del capitale sociale o, altrimenti, per proporre la liquidazione della società.

Poiché il debito risarcitorio ex art. 2393 c.c. ha natura di debito di valore – come tale sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione – ancorché il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare del danno, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo, al fallimento spetta anche (art. 1223 c.c.) il ristoro per il mancato godimento delle somme liquidate, da calcolare applicando sulla somma predetta, rivalutata annualmente (fino alla data della sentenza), gli interessi al tasso legale a decorrere dalla data del fallimento e fino alla pronuncia.

15 Maggio 2023

Effetti della transazione sull’azione volta a far valere la simulazione di una cessione di quote

La transazione – quale strumento negoziale di prevenzione di una lite – è destinata, analogamente alla sentenza, a coprire il dedotto e il deducibile.

Il negozio fiduciario

L’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie è un contratto unitario, avente una causa propria, che determina un’interposizione reale di persona, per effetto della quale l’interposto acquista, diversamente che nel caso di interposizione fittizia o simulata, la titolarità del bene, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l’interponente (in genere di natura obbligatoria), tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto con il fiduciante, e a ritrasferire il bene a quest’ultimo o a terzi, alla scadenza di un certo termine o al verificarsi di una situazione che determini il venire meno del rapporto fiduciario. In particolare, l’intestazione fiduciaria di quote o azioni societarie genera una separazione, in ordine al bene amministrato, tra la situazione di proprietà sostanziale (in capo al fiduciante) e l’intestazione o proprietà formale (in capo al fiduciario). In altre parole, nei rapporti esterni e rispetto alla società, socio reale deve considerarsi il soggetto fiduciario, che risulterà l’interstatario effettivo della quota, in quanto il c.d. pactum fiduciae assume efficacia soltanto nei rapporti interni tra fiduciante e fiduciario.

L’intestataria fiduciaria delle quote viene ad assumere una posizione di interlocutore esclusivo della società di riferimento, e come tale titolare dei diritti connessi a tale qualità, seppure esercitati in virtù del rapporto fiduciario col socio fiduciante.

Tale contratto si inquadra nell’art. 1376 c.c. (contratto con effetti reali), in cui il trasferimento della proprietà è solo strumentale, essendo l’attività del fiduciario svolta nell’interesse del fiduciante; sicché, in assenza di forma convenzionale prevista dalle parti, come l’ordinaria cessione delle stesse partecipazioni, non richiede la forma scritta a pena di nullità, potendo conseguentemente essere provato anche per presunzioni. Dovendo, quindi, procedersi all’accertamento (o all’adempimento) di un negozio fiduciario, e non della ricorrenza di una fattispecie di simulazione relativa, in materia di prova non si applicano le disposizioni degli artt. 2721 e 2722 c.c., giacché il pactum fiduciae non amplia, né modifica il contenuto di un altro negozio, operando esso solo sul piano della creazione di un obbligo da adempiere a cura del fiduciario, né si applicano le disposizioni dell’art. 2725 c.c., trattandosi di negozio per la cui validità non è richiesta la forma scritta.

21 Aprile 2023

Patti parasociali atipici e competenza delle sezioni specializzate

L’art. 3, co. 2, lett. c), del d.lgs. n 168/2003 contempla una nozione più ampia di patto parasociale di quella configurata dall’art. 2341 bis c.c., stabilendo che, al fine di radicare la competenza della sezione specializzata, rilevano anche i patti diversi da quelli regolati dall’articolo 2341 bis c.c. e, quindi, anche quelli atipici.

La causa identifica lo scopo pratico del negozio, ovvero la sintesi degli interessi divisati dalle parti, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. L’accertamento della causa in concreto non può, dunque, prescindere dall’apprezzamento degli interessi che il contratto è destinato a realizzare, quali emergono dalle circostanze obiettive pregresse, coeve e successive alla sua conclusione.

14 Aprile 2023

Sulle azioni di responsabilità nelle società di capitali: tipologie e caratteristiche

L’azione sociale di responsabilità è volta a reintegrare il patrimonio della società, mentre l’azione dei creditori sociali è volta ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni di credito di questi, essendo divenuto incapiente il patrimonio sociale. L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale, atteso che l’amministratore assume verso la società l’obbligo di svolgere il proprio compito con l’ordinaria diligenza, mentre l’azione dei creditori sociali ha natura aquiliana; ne consegue che, riguardo all’azione contrattuale, sarà onere del convenuto provare l’adempimento agli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi, mentre con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dal convenuto, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo.

In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché sorrette da criteri di ragionevolezza. Ed infatti l’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.

Il termine di prescrizione delle azioni risarcitorie in materia societaria è di cinque anni, ai sensi dell’art. 2749 c.c., ma nei confronti dell’amministratore tale termine decorre dalla cessazione dalla carica, per effetto della sospensione dei termini prescrizionali prevista per le azioni tra persone giuridiche e chi le rappresenta dall’art. 2941, n. 7, c.c. È noto, poi, che ai sensi dell’art. 2935 c.c. la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere esercitato, ossia, quanto all’azione dei creditori sociali, dal momento in cui è ad essi conoscibile l’incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti dagli stessi vantati verso la società. In caso di fallimento, poi, opera la presunzione semplice che soltanto dal fallimento sia conoscibile tale incapienza, presunzione che può essere superata dalla prova della conoscibilità di tale presupposto in data anteriore al fallimento, di cui è onerato il convenuto che eccepisca la prescrizione, siccome si tratta di fatto di essa costitutivo.

Ai fini delle riclassificazioni di bilancio e del calcolo dei netti patrimoniali, l’ottica liquidatoria differisce da quella della continuità aziendale ed impone la rettifica dei dati di bilancio in vista delle sole residue attività da compiersi, ossia la liquidazione delle poste attive e l’estinzione dei debiti, imponendo alcune variazioni nella valutazione delle poste attive (quali la possibile svalutazione dei crediti e del magazzino, al fine del più rapido realizzo), ed anche di quelle passive (quali l’elisione degli ammortamenti, non essendo più corretta la suddivisione dei relativi costi più esercizi).

13 Aprile 2023

I presupposti della sospensione cautelare delle delibere assembleari ex art. 2378, co. 3, c.c.

L’art. 2378, co. 3, c.c. – applicabile alle s.r.l. in forza del richiamo contenuto nell’art. 2479 ter, co. 4, c.c. – disciplina il procedimento cautelare diretto a ottenere la sospensione dell’esecuzione (ma anche dell’efficacia) delle delibere (o decisioni), procedimento nel quale il giudice è tenuto a verificare la sussistenza del fumus boni juris e del periculum in mora, all’esito di una comparazione tra il pregiudizio che deriverebbe al ricorrente dall’esecuzione e quello che deriverebbe alla società dalla sospensione della delibera.

I limiti all’insindacabilità del merito gestorio

In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché rette da criteri di ragionevolezza. L’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.

Onere della prova in tema di consegna della documentazione sociale al nuovo amministratore

In un giudizio in cui è oggetto di contestazione l’avvenuta consegna (mediante invio di plico raccomandato) della documentazione relativa alla gestione di una società da parte del precedente amministratore al nuovo organo gestorio, una volta che il primo abbia fornito la prova della consegna del plico, il nuovo amministratore è tenuto a effettuare una specifica contestazione circa il relativo contenuto, non potendo limitarsi alla mera negazione che il plico contenesse i documenti indicati dal mittente. Il destinatario, dunque, al fine di negare la ricezione della documentazione sociale, è onerato di dimostrare il diverso contenuto ricevuto con quel plico ricevuto. Infatti, la lettera raccomandata o il telegramma (anche in mancanza dell’avviso di ricevimento) costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso; pertanto, spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente.