22 Maggio 2019

Concorrenza sleale c.d. parassitaria e imitazione servile di prodotti altrui

La residuale fattispecie illecita prevista all’art. 2598, n. 3, c.c. fissa una nozione di concorrenza sleale più ampia rispetto alle attività di slealtà concorrenziale tipizzate ai nn. 1 e 2 della predetta disposizione normativa, con la conseguenza che al fine di configurare l’illecito di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. è necessario che l’attività anticoncorrenziale denunciata presenti un quid pluris rispetto alle altre due fattispecie. Così in relazione all’attività illecita indicata al n. 1, in difetto di allegazioni caratterizzanti, in fatto, la pretesa violazione dei principi di correttezza professionale ulteriori e diversi rispetto al censurato utilizzo del patronimico con effetti confusori, va senz’altro esclusa la sussistenza dell’illecito previsto dall’art. 2598, n. 3, c.c.

La fattispecie di concorrenza sleale c.d. parassitaria va ricompresa fra le ipotesi di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. e consiste in un continuo e sistematico operare sull’orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, mediante comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale. Essa, quindi, si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai nn. 1 e 2 della predetta norma. Di conseguenza, laddove sia escluso che il centro dell’attività imitativa sia l’imitazione servile dei prodotti altrui (elemento rilevante solo per la fattispecie prevista al n. 1), ai fini della configurabilità della concorrenza sleale parassitaria è necessario indicare le attività del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l’adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alla regole della correttezza professionale.

In materia di competenza della sezione specializzata in materia di impresa, l’art. 134, comma 1, lett. a), C.P.I. (secondo cui le sezioni specializzate sono competenti in relazione ai procedimenti in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, con esclusione delle fattispecie che non interferiscono, neppure indirettamente, con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale) richiede all’interprete di verificare, nel caso concreto, se i comportamenti denunciati interferiscano con un diritto di esclusiva (concorrenza sleale c.d. interferente), avendo riguardo, a tal fine, alla prospettazione dei fatti così come operata dall’attore ed indipendentemente dalla loro fondatezza. Del pari, la competenza delle sezioni specializzate va esclusa, in favore di quella della sezione ordinaria, laddove l’accertamento della lezione del diritto alla lealtà concorrenziale non implica una valutazione incidentale della violazione dei diritti di privativa, quale elemento costitutivo dell’illecito (concorrenza sleale c.d. pura).

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Michele Rossi

Michele Rossi

Dottore di ricerca (Università di Bologna) e Avvocato in Bologna - Studio Legale Associato Demuro Russo(continua)

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