8 Agosto 2022

Maturazione di oneri consortili successivamente alla dichiarazione di fallimento

Con l’apertura del fallimento di una società consortile – tranne che nell’ipotesi di esercizio provvisorio dell’impresa – cessano le attività mutualistiche connesse alla funzione consortile, con la conseguenza che le spese sostenute dal fallimento per la conservazione e la manutenzione di proprietà immobiliari sono funzionali a preservare un valore presente nell’attivo fallimentare nell’esclusivo interesse dei creditori della società fallita. Pertanto, i consorziati non sono ulteriormente tenuti al pagamento degli oneri consortili.

E’ legittima la clausola presente nello statuto di società consortile a responsabilità limitata che obblighi i soci al versamento di contributi in denaro la cui entità sia commisurata al totale delle perdite della gestione mutualistica in base ad un criterio oggettivo di partecipazione.

19 Luglio 2022

Dovuta collaborazione alle verifiche consortili imposta dal regolamento del consorzio obbligatorio

La dovuta collaborazione alle verifiche consortili imposta dal regolamento del consorzio obbligatorio di filiera non può ridursi alla sola consegna della documentazione che l’impresa verificata sceglie di mettere a disposizione del consorzio, autorizzandola a negare quella che ritiene di tenere “segreta”, ma si sostanzia (anche in forza della canone della buona fede oggettiva ex art. 1175 c.c.) nella messa a disposizione integrale di tutta la documentazione necessaria e sufficiente all’emersione dell’intero debito contributivo.

11 Luglio 2022

Risoluzione per inadempimento del contratto di associazione in partecipazione

Secondo il dettato dell’art. 2967 c.c., come interpretato dai costanti indirizzi di legittimità, il creditore che agisce al fine di ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento deve provare la fonte – negoziale o legale – del proprio diritto, mentre è il debitore che ha l’onere di provare il fatto estintivo – costituito dall’adempimento – del diritto azionato dal creditore.

27 Maggio 2022

Invalidità delle deliberazioni consortili e falsità della dichiarazione di accettazione della carica di amministratore

In tema di impugnazione delle deliberazioni consortili, l’art. 2606, co. 2, c.c. si riferisce ai vizi di mancanza di conformità della delibera alla legge e al contratto riconducibili alla categoria dell’annullabilità delle delibere consortili, ma tace sulla regolamentazione delle patologie più gravi della nullità o della inesistenza della deliberazione che ricadono, così, nell’ambito applicativo delle regole di diritto comune che presiedono all’azione di nullità dei negozi, imprescrittibile e proponibile da chiunque vi abbia interesse, non potendo trovare applicazione analogica la disciplina più restrittiva prevista in materia societaria, in ragione della diversa natura del consorzio rispetto alla società.

La dichiarazione di accettazione della carica di amministratore, pur contenuta nel verbale dell’assemblea di nomina, è manifestazione di volontà riferibile solo alla sfera giuridica dell’amministratore stesso, completamente estranea al contenuto della deliberazione dell’organo assembleare. Pertanto, le contestazioni circa la veridicità della firma apposta alla dichiarazione di accettazione devono essere proposte mediante impugnazione del negozio di accettazione, non essendo sufficiente limitarsi ad impugnare la delibera di nomina sull’erroneo presupposto che l’accertamento della falsità dell’attestazione della sua presenza all’assemblea e della sua firma, siano ragioni sufficienti a determinare l’inesistenza o la nullità della deliberazione dell’assemblea.

27 Maggio 2022

Legittimità del potere ispettivo dei consorzi sul corretto adempimento degli obblighi consortili

E’ priva di fondamento l’opposizione a D.I. che abbia quale motivo di opposizione la mancanza di una norma di legge che attribuisca ai consorzi il potere ispettivo, in quanto basti considerare che l’art. 2605 c.c. espressamente prevede che i consorziati debbano consentire i controlli e le ispezioni da parte degli organi previsti dal contratto al fine di accertare l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte. Così, la partecipazione a consorzi costituti ai sensi dell’art. 224 D.lgs. n. 152/2006, vincola i consorziati all’osservanza delle specifiche previsioni dello statuto approvato dalle autorità ministeriali competenti, e costituisce una violazione dello statuto e legittima causa di irrogazione di una sanzione prevista dallo stesso la mancata collaborazione e messa a disposizione al consorzio delle informazioni necessarie alla verifica dell’esatto e tempestivo adempimento degli obblighi consortili. La violazione della norma statutaria non è esclusa per la mera manifestazione della disponibilità a consegnare la documentazione indicata dal consorzio, in quanto è evidentemente differente dall’attività di ispezione mediante l’accesso ai locali sociali della consorziata.

11 Maggio 2022

I criteri per la determinazione della competenza tra il Collegio arbitrale e il Tribunale per la risoluzione di controversie societarie

Per quanto attiene l’arbitrabilità delle controversie societarie, il discrimen tra diritto disponibile e diritto indisponibile guarda alla protezione accordata dall’ordinamento mediante la predisposizione di una norma dispositiva o imperativa: nel primo caso, prevale l’interesse del singolo ad affermare il suo diritto di autodeterminazione ex art. 2 Cost., potendo così derogare la norma dispositiva, posta a tutela di un interesse anche superindividuale, ma non indisponibile e, quindi, non prevalente; nel secondo caso, l’interesse del singolo soccombe dinanzi all’interesse di ordine pubblico, protetto dalla norma imperativa che rende indisponibile il diritto da essa tutelato. Alla luce di tale distinzione, per determinare l’arbitrabilità delle controversie insorte tra soci e società, occorre esaminare se gli interessi coinvolti riguardano i soci come singoli oppure si riferiscono unicamente alla società, tutelata dalla legge in quanto tale: nella prima ipotesi, la controversia è liberamente arbitrabile, sulla base del presupposto che ogni socio può disporre liberamente dei diritti oggetto della disputa, in quanto il ricorrente agisce uti singulus; nella seconda ipotesi, l’arbitrabilità è fermamente negata a causa dell’indisponibilità del diritto coinvolto. L’azione, in questo caso, è proposta dal socio uti socius, nell’interesse sociale che corrisponde non alla sommatoria, ma alla sintesi di tutti individuali connessi dal vincolo sociale identificabile nell’unicità dello scopo dal quale trae origine la compagine stessa.

Gli artt. 34, co. 1, e 35, co. 5, D.Lgs. n. 5/2003, affermano, in materia di validità di delibere assembleari, la competenza degli arbitri a pronunciare provvedimenti cautelari interlocutori di sospensione delle delibere aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale nelle controversie tra i soci e la società. Ad ogni modo, la sospensione cautelare del provvedimento impugnato può essere richiesta al Tribunale secondo le norme ordinarie con ruolo vicario e suppletivo, tutte le volte in cui, in concreto, gli arbitri non abbiano la possibilità di intervenire efficacemente con l’esercizio del potere cautelare (ad es., per la mancata instaurazione del procedimento arbitrale o a causa dei tempi tecnici di costituzione dell’organo), al fine di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost. (norma di cui l’effettività della tutela cautelare costituisce componente essenziale ed immanente al fine di evitare che la durata del processo si risolva in un danno della parte che ha ragione).

In tema di sospensione dell’esecuzione delle delibere assunte dall’assemblea di una società consortile a responsabilità limitata trova applicazione il disposto, di cui all’art. 2479-ter, co. 4, c.c. e 2378, co. 3, c.c. che prevede, quale rimedio tipico destinato ad ottenere un provvedimento cautelare, che l’istanza di sospensione di una deliberazione assembleare deve essere necessariamente proposta “in corso di causa” o, quanto meno, contestualmente alla proposizione della domanda di merito con la quale si chiede di dichiarare la nullità o annullare la deliberazione assunta. In questa prospettiva, l’esistenza di un rimedio tipico, previsto dall’art. 2378, co. 3 c.c., esclude in radice l’esperibilità del rimedio dell’art. 700 c.p.c.

La disciplina applicabile alle società consortili

Nelle società consortili le deliberazioni dell’assemblea devono essere assunte con il rispetto delle inderogabili disposizioni societarie e non in base all’art. 2606 c.c. Alle società consortili deve applicarsi la disciplina tipica della forma societaria prescelta, costituendo il tipo societario prescelto l’ossatura giuridica dell’ente consortile.

In materia di società consortile costituita secondo il tipo delle società di capitali, la causa consortile può comportare la deroga delle norme che disciplinano il tipo adottato ove la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, fermo restando che siffatta deroga non può giustificare lo stravolgimento dei principi fondamentali che regolano il tipo di società di capitali scelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale.

22 Febbraio 2022

Contratto di associazione in partecipazione e risoluzione per inadempimento

Al contratto di associazione in partecipazione si applica la disciplina della risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., essendo tale contratto inquadrabile nella categoria dei contratti di scambio, in quanto caratterizzato dal sinallagma tra l’attribuzione di una quota degli utili derivanti dalla gestione dell’affare o dell’impresa, da parte dell’associante, e l’apporto patrimoniale da parte dell’associato. In tale senso, costituiscono grave inadempimento l’inerzia o il mancato perseguimento da parte dell’associante dei fini a cui l’attività di gestione dell’affare è preordinata ove protratti oltre ogni ragionevole limite di tolleranza, così come la mancata predisposizione del rendiconto.

Il principio espresso dall’art. 1458, co. 1, c.c., secondo cui gli effetti retroattivi della risoluzione non operano per le prestazioni già eseguite, riguarda i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ossia soltanto quelli in cui le obbligazioni di durata sorgono per entrambe le parti e l’intera esecuzione del contratto avviene attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo. Pertanto, ad essi non può ricondursi il contratto di associazione in partecipazione, con il quale l’associante attribuisce all’associato, come corrispettivo di un determinato apporto unitario, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, trattandosi, a differenza del contratto di società, di un negozio bilaterale, che crea un singolo scambio fra l’apporto e detta partecipazione.