Diritto d’autore: protezione del contenuto intellettuale veicolato dall’artista attraverso la sua opera

L’ordinamento tutela l’opera in quanto forma e rappresentazione, percepibile ai sensi, di un’idea, di un sentimento o sensazione, di un fatto o altro di immateriale, in qualsiasi modo si manifesti. Si suole distinguere, soprattutto nell’ambito di alcune tipologie di opere (ad esempio quelle di espressione scritta o verbale) tra forma esterna, forma interna e contenuto. La forma esterna è la modalità in cui si manifesta l’opera ed attraverso cui l’artista esprime in maniera percepibile la sua creatività; essa, dunque, è l’oggetto principale della tutela apprestata dalla legge sul diritto d’autore. La forma interna, invece, coincide con la struttura, lo schema, il format di un’opera: nelle opere letterarie, ad esempio, la struttura interna corrisponde alla trama, costituita dall’intreccio di una serie di vicende e personaggi che l’artista correla. Anche la forma interna, secondo un risalente ma ancora prevalente orientamento dottrinale e giuresprudenziale, viene tutelata dall’ordinamento, purché si manifesti in una modalità creativa, espressione dell’ingegno dell’artista. Secondo la pacifica e risalente interpretazione tanto dottrinale quanto giuresprudenziale, il diritto d’autore non estende protezione al contenuto intellettuale dell’opera, corrispondente all’idea, alla sensazione, al sentimento ed al messaggio che l’artista vuole veicolare mediante l’opera. Tali entità, appartengono all’intera comunità e di essi l’artista non può appropriarsene, ma solo farsene interprete attraverso la sua arte, che prende una forma che si manifesta verso l’esterno in maniera completa ed elaborata (forma esterna) ovvero in una forma programmatica (forma interna). [ nel caso di specie il tribunale rigetta con ordinanza la pretesa attorea di tutelare non tanto l’opera dell’ingegno in se, quanto le intuizioni e le idee che l’artista, pur con originalità, ha espresso nella sua esperienza artistica.]

23 Luglio 2021

Quando la fotografia può essere considerata opera dell’ingegno?

Ai sensi degli artt. 1 e 2 n. 7 LA, le fotografie, per poter essere qualificate come opere dell’ingegno, devono avere carattere creativo. Ciò significa, che devono costituire manifestazione della personalità dell’autore e questa deve trasparire da vari concorrenti elementi, come la scelta e la disposizione degli oggetti da riprodurre, la selezione delle fonti delle luci, il dosaggio dei toni, ecc. La fotografia deve lasciare trasparire l’apporto personale dell’autore, il quale non si limita a riprodurre e documentare situazioni reali, ma, tramite il suo apporto creativo e la valorizzazione degli effetti e, per esempio, la scelta del soggetto e della sua espressione, riesce a creare suggestioni, purché emerga una prevalenza del profilo artistico sull’aspetto meramente tecnico.

Violazione del diritto d’autore: onere della prova

L’art. 158 l.d.a. rappresenta, secondo dominante orientamento giurisprudenziale, una specificazione dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione delle medesime regole probatorie previste in materia di responsabilità extracontrattuale e, in particolare, la dimostrazione della sussistenza dei presupposti soggettivi del diritto d’autore stesso, ossia della presenza di una situazione soggettiva protetta in base alla legge sul diritto d’autore, del fatto illecito, del danno conseguenza e del nesso di causalità.

Sebbene la giurisprudenza talvolta reputi sufficiente una prova per presunzioni della sussistenza degli elementi integranti l’illecito in questione, giungendo anche a configurare un danno in re ipsa ogni qualvolta sia violato il diritto d’autore, in ogni caso, è indispensabile la prova certa del fatto illecito generatore del danno, il cui onus (probandi appunto) incombe evidentemente sul danneggiato.

E’ inammissibile l’istanza di esibizione documentale dei libri contabili avanzata dall’attrice ai sensi dell’art. 210 c.p.c., in quanto, in difetto di idonee allegazioni, in fatto, circa l’esistenza del denunciato illecito, nonché della assoluta indispensabilità dell’incombente istruttorio de quo, il relativo ordine, ove disposto, avrebbe finalità meramente esplorative e sostanzialmente sostitutive dell’onere assertivo e probatorio incombente sulla parte istante.

Perchè l’art. 2055 c.c. possa trovare concreta applicazione in un ambito così specifico qual è quello del diritto d’autore e delle sue peculiari violazioni, con conseguente estensione della responsabilità anche a soggetti diversi da chi ha materialmente compiuto la condotta illecita, occorre, in ogni caso, un “contributo rilevante all’illecito”. Inoltre, sempre in applicazione dei generali principi in tema di responsabilità aquiliana, occorre la prova dell’elemento soggettivo, in termini di dolo o di colpa.

La prova dell’elemento soggettivo in termini di dolo o colpa, indispensabile ai fini dell’applicazione dell’art. 158 l.d.a., è stata  positivamente ravvisata dalla giurisprudenza ogni qualvolta sia violato lo standard di diligenza richiesto allo specifico operatore del settore.

8 Luglio 2021

Rievocazione di fatti storici e plagio di un lungometraggio in riferimento ad alcune scene di una fiction in onda su Rai Uno

Mentre l’art. 44 l.d.a considera coautori dell’opera cinematografica l’autore del soggetto, l’autore della sceneggiatura, l’autore della musica e il direttore artistico, il successivo art. 45 l.d.a stabilisce che l’esercizio dei diritti di utilizzazione economica dell’opera cinematografica spetta al produttore (co. 1) e che si presume produttore colui che è indicato come tale sulla pellicola cinematografica (co. 2). Quest’ultima disposizione costituisce specifica declinazione, in materia di opere cinematografiche, della presunzione legale relativa prevista dall’art. 8 l.d.a. L’esclusiva riconosciuta dal diritto d’autore riguarda l’opera in quanto rappresentazione ed espressione di idee, sentimenti, conoscenze e realtà, ma non il contenuto o l’idea sottostante all’opera medesima. Di conseguenza, la protezione cade esclusivamente sulla forma rappresentata ed è solo a questa che deve farsi riferimento, non al contenuto o all’idea. Affinché l’opera contestata risulti plagiaria, è necessario che il suo autore si sia appropriato degli elementi creativi, ovvero del nucleo individualizzante dell’opera altrui, rappresentando in modo pedissequo quanto da altri precedentemente ideato ed espresso in una forma determinata e identificabile. Va esclusa, invece, la sussistenza del plagio nel caso in cui la nuova opera dell’ingegno, pur fondandosi sulla stessa idea ispiratrice, si differenzi negli elementi essenziali che ne caratterizzano la forma espressiva, evidenziando uno scarto semantico ed un diverso significato artistico rispetto a quello che aveva l’opera anteriore. In altri termini, il plagio sussiste quando la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra sia “camuffata” o  “mascherata” mediante varianti solo apparenti, come tali scevre di apporto creativo, e dirette solo a nascondere la contraffazione, che lasciano intatto il nucleo creativo dell’opera altrui. Al contrario, non sussiste il plagio qualora le due opere, pur avendo in comune lo stesso spunto o motivo ispiratore, differiscano con riferimento agli ulteriori elementi essenziali e caratterizzanti.

Riguardo alle interviste, occorre distinguere il caso in cui la tutela autorale viene invocata dall’intervistatore o un suo avente causa, da quello in cui venga invocata dall’intervistato. In entrambi i casi, presupposto della protezione del diritto d’autore è che le domande poste dall’autore dell’intervista e/o le dichiarazioni rese dall’intervistato posseggano, come qualsiasi altra opera dell’ingegno, i caratteri di originalità e creatività, quest’ultima sia pure in misura minima. In genere, la qualifica di autore spetta di regola all’intervistatore, ove l’intervista stessa soddisfi i presupposti di creatività richiesti per l’accesso alla tutela propria del diritto d’autore, laddove cioè la sua impostazione e la sua conduzione comportino la capacità di sollecitare risposte tali da rivelare la personalità del l’intervistato al di là dei fatti specifici oggetto della narrazione. L’ipotesi che invece individui nella persona dell’intervistato l’effettivo autore dell’intervista – pure astrattamente possibile – dovrebbe applicarsi a situazioni in cui di fatto l’intervistatore si sia limitato a proporre domande semplici e banali, che costituiscano cioè solo la mera occasione per l’intervistato di spaziare in maniera del tutto autonoma ed imprevedibile su diversi temi al di là delle previsioni ed intenzioni dell’intervistatore stesso, integrando dunque di fatto le risposte così rese un testo sostanzialmente autonomo dalle sollecitazioni ricevute nel corso dell’intervista stessa e dunque del tutto preponderante nel contesto della stessa sul piano della rilevanza e creatività rispetto al contributo effettivo dell’intervistatore. Salvo casi eccezionali, la tutela autorale non comprende, dunque, anche il testo delle dichiarazioni rilasciate dai personaggi pubblici intervistati e i fatti narrati o le frasi pronunciate dalla persona intervistata non rappresentano il frutto di un’attività creativa dell’intervistatore tutelata dal diritto d’autore e possono essere, quindi, liberamente utilizzate da chiunque voglia rievocare quelle determinate vicende, dichiarazioni o espressioni verbali in successive opere dell’ingegno. La mancata menzione delle fonti dalle quali sono state tratte le frasi pronunciate  non pregiudica il diritto di riprodurle in opera audiovisiva di altri.

Se due opere audiovisive trattano le medesime vicende biografiche, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’asserito plagio parziale va applicato il principio secondo il quale, in relazione alla rappresentazione di fatti storici e/o biografici, qualora due opere a confronto hanno la stessa matrice storica e si riferiscono a fatti realmente avvenuti, la tutela autorale non attiene al contenuto, ma solo al modo in cui l’accadimento è trattato, ovvero il punto di vista scelto dall’autore e, quindi, la sola estrinsecazione, nella forma d’arte scelta per la rappresentazione dei fatti storici. Per i fatti storici vige il principio della libera rievocazione dei fatti storici, che non sono di per sé monopolizzabili, essendo la tutela del diritto d’autore limitata alle sole scelte formali attraverso le quali l’episodio reale è stato concretamente rappresentato nell’opera cinematografica, ovvero alle tecniche stilistiche e redazionali personali attraverso le quali l’autore dell’opera precedente ha veicolato i medesimi fatti storici o biografici.

 

 

Sfruttamento illecito dell’immagine altrui per finalità commerciali e pubblicitarie

In virtù del principio del consenso, accolto dal nostro ordinamento e sancito all’art. 96 L. 633 del 1941, per riprodurre, esporre o mettere in commercio l’immagine di una persona è sempre necessario ottenerne il previo consenso. Lo sfruttamento dell’immagine altrui senza il consenso del soggetto rappresentato è ammesso solo in casi tassativamente indicati dall’art. 97 L. 633 del 1941, ossia quando si accompagni ad un’esigenza pubblica di informazione, se giustificata da notorietà o dall’ufficio pubblico coperti, da necessità di giustizia o polizia, da scopi scientifici o didattici e non invece per finalità di lucro.
Al di fuori delle ipotesi scriminanti- che vanno interpretate in senso restrittivo, in quanto hanno carattere derogatorio rispetto al diritto all’immagine che è diritto inviolabile della persona e protetto costituzionalmente- deve ritenersi pertanto fondata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, quale somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per acconsentire alla pubblicazione della propria immagine e del danno non patrimoniale.

Patto di opzione per la cessione dei diritti di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno

Il patto di opzione ex art. 1331 c.c., avendo natura di negozio preparatorio, deve contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto, in modo da consentirne la conclusione nel momento e per effetto dell’adesione dell’altra parte, senza la necessità di ulteriori pattuizioni.

Il contratto di cessione dei diritti di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno è un negozio consensuale a forma libera: esso non deve obbligatoriamente essere stipulato per iscritto, posto che l’art. 110 della L. 633 del 1941 ne impone la forma scritta ad probationem tantum.

La dichiarazione negoziale della parte che concede l’opzione si qualifica come proposta irrevocabile ai sensi dell’art. 1329 c.c.: al concedente non è perciò richiesto il compimento di alcuna attività ulteriore per lo sviluppo della dinamica negoziale che conduca all’eventuale perfezionamento del negozio definitivo, se non quella di non impedire al beneficiario dell’opzione l’esercizio del diritto di accettazione, a pena dell’obbligo di risarcimento dei danni. Ne consegue che la comunicazione con cui la parte concedente l’opzione dichiari di recedere dal rapporto – da qualificarsi giuridicamente come revoca della proposta – prima della scadenza del termine di efficacia dell’opzione è illegittima, perché preclude al beneficiario l’esercizio di un diritto ancora facente parte, in quel momento, della sua sfera giuridica.

In forza del principio generale di compensatio lucri cum damno, la domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni subiti a fronte di costi inutilmente sostenuti, pur fondata, dev’essere rigettata allorquando si dia atto che l’attore in riconvenzionale abbia percepito delle somme, in dipendenza di quelle stesse attività [nella specie, si trattava di fondi percepiti dalla società convenuta a seguito della partecipazione a bandi di finanziamento, necessari per dare esecuzione all’accordo principale rimasto poi ineseguito]. Qualora tale importo ecceda l’ammontare del danno che la parte avrebbe avuto diritto a vedersi risarcito, la differenza non può essere devoluta in favore della controparte, in difetto di apposita domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.

1 Luglio 2021

Tutela autoriale delle banche dati e illecita sottrazione di informazioni riservate

La verifica della competenza va attuata alla stregua delle allegazioni contenute nella domanda e non anche delle contestazioni mosse alla pretesa dalla parte convenuta, tenendo altresì conto che, qualora uno stesso fatto possa essere qualificato in relazione a diversi titoli giuridici, spetta alla scelta discrezionale della parte attrice la individuazione dell’azione da esperire in giudizio, essendo consentito al giudice di riqualificare la domanda stessa soltanto nel caso in cui questa presenti elementi di ambiguità non altrimenti risolvibili.

L’utilizzabilità da parte dell’ex lavoratore delle conoscenze acquisite nel corso della propria esperienza lavorativa non può estendersi fino al punto di ricomprendere un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, anche se non segretati o pretetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito (in tal senso Cass. 12.7.2019 n. 18772).

Rientrano nella definizione di banche dati, secondo gli art. 2 n. 9 e 64-quinuies e sexies L. 633/41, le raccolte di opere, dati, e altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo. Affinchè una banca dati possa rientrare nell’ambito di tutela della disciplina delle opere dell’ingegno è necessario che sia dotata del requisito della creatività, ovvero della capacità dell’opera di costituire espressione del suo autore.

La liquidazione equitativa del danno secondo quanto previsto dall’art. 158 L. 633/1941 in materia di violazione del diritto d’autore e dall’2600 c.c. in materia di concorrenza sleale presuppone in ogni caso la prova circa l’effettiva esistenza del danno. L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (Cass. 22.2.2018 n. 4310, Cass. 30.7.2020 n. 16344).

Il mantenimento in funzione per un lungo periodo di tempo dell’account aziendale personale di un dipendente dopo l’interruzione del rapporto di lavoro si pone in contrasto con il diritto alla riservatezza dello stesso.

Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 (codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito (Cass. 20.8.2020 n. 17383). Il danno alla privacy, come ogni danno non patrimoniale, non sussiste in “re ipsa”, non identificandosi il danno risarcibile con la mera lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, seppur può essere provato anche attraverso presunzioni (Cass. 10.6.2021 n. 16402).

14 Giugno 2021

Successione mortis causa, trasmissione del diritto d’autore e condotte anticoncorrenziali

Quando ad invocare la tutela autorale è un soggetto terzo rispetto all’autore dell’opera dell’ingegno, il quale avrebbe acquistato la privativa sull’opera da un altro soggetto, anch’egli diverso dall’autore e che, a sua volta, avrebbe da quest’ultimo acquistato i diritti sull’operare in qualità di erede, occorre verificare la continuità e l’ampiezza dei trasferimenti del diritto fatto valere in giudizio, a partire dalla allegata cessione iure hereditatis.

L’autore può aver trasmesso iure hereditatis al figlio (dante causa, quest’ultimo, dell’odierna attrice) i soli diritti che, secondo la legge che regola la successione, facevano già parte del suo patrimonio al momento della morte. Da ciò consegue che il figlio non può aver acquistato i diritti esclusivi di sfruttamento economico di un’opera che, già prima della morte del padre, era caduta in pubblico dominio per la legge statunitense e che era, quindi, divenuta libera da privative. In questi termini, non può non rilevarsi che, a prescindere da ogni considerazione in ordine alla legge nazionale applicabile in materia di tutela autorale, la successione mortis causa è pacificamente regolata dalla legge statunitense.

Deve escludersi che la commercializzazione della traduzione dell’edizione originale di un’opera configuri un illecito anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 2598 c.c. quando non ricorrono gli estremi della fattispecie di c.d. imitazione servile del prodotto per diversità strutturale e ontologica tra i due testi oggetto di traduzione, nonché per diversità del titolo e per la specifica indicazione che si tratta dell’“edizione originale” dell’opera. Il dato appare rilevante anche ai fini dell’esclusione dell’ipotesi di confondibilità tra i prodotti, atteso che il mercato di riferimento è rappresentato da studiosi e cultori, quindi da esperti della materia, difficilmente suscettibili di disorientamento circa l’origine e la natura della res posta in commercio, e non già da consumatori medi, se non proprio “profani”, sicuramente più esposti a ciò.

24 Maggio 2021

Risarcimento del danno da abusiva diffusione al pubblico di fonogrammi musicali

Il pagamento dei compensi risultanti da un tariffario per l’utilizzo di fonogrammi è un’obbligazione di valuta su cui non può essere riconosciuta la rivalutazione poichè il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva solo qualora, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.

Per il principio di vicinanza alla prova, è onere del soggetto che avrebbe illecitamente duplicato fonogrammi dimostrare di aver comunicato/diffuso al pubblico i brani musicali traendoli da registrazioni dei fonogrammi lecitamente acquisite, trattandosi di circostanza che rientra nella sua esclusiva disponibilità materiale e giuridica.

Diffondere i brani musicali al pubblico e non pagare i diritti al produttore di fonogrammi integra un illecito diverso e ulteriore rispetto al duplicare illecitamente i fonogrammi, in quanto la legittimità della diffusione non implica altresì il diritto a duplicare i fonogrammi, presupponendo al contrario l’utilizzo di fonogrammi lecitamente acquisiti nel rispetto dei diritti del produttore.

Il risarcimento del danno patrimoniale in forma forfettaria quale prezzo del consenso presuppone sostanzialmente una liquidazione in via equitativa rispetto a cui il parametro offerto dalla convenzione fra SCF ed Asso-Intrattenimento rappresenta un chiaro indice di adeguatezza, essendo stata sottoscritta da un’associazione rappresentativa del settore, ragion per cui quanto in essa previsto può utilmente essere utilizzato al fine di quantificare in via equitativa il prezzo del consenso richiedibile agli utilizzatori. Infatti, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, il soggetto leso può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente chiesto per dare il suo consenso alla duplicazione dei brani musicali a scopo commerciale, e tale prezzo può equitativamente essere desunto dalla convenzione SCF-Asso-Intrattenimento.

Con riferimento al diritto all’immagine ed alla reputazione commerciale di SCF, si ritiene che allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile oltre al danno patrimoniale, se verificatosi e se dimostrato, soprattutto il danno non patrimoniale costituito – come danno conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali essa abbia a interagire. In ordine alla prova di tale danno, la stessa deve sempre essere fornita dal soggetto leso in quanto danno-conseguenza e non danno-evento. Non è dunque sufficiente affermare genericamente l’esistenza di un danno non patrimoniale allegando apoditticamente che tale danno sorgerebbe in automatico dal mancato pagamento dei diritti da parte della convenuta, condotta che lederebbe l’immagine di SCF presso i propri soci e presso gli altri utilizzatori di fonogrammi.