28 Marzo 2023

Sulla legittimazione a chiedere la revoca dei liquidatori di s.n.c. da parte degli eredi del socio defunto

La legittimazione a chiedere la revoca dei liquidatori da parte degli eredi del socio defunto, pure esclusa in via di principio qualora essi non abbiano acquisito la qualità di socio, può tuttavia essere ricavata in via surrogatoria, tenuto anche conto del regime previsto dall’art. 2270 c.c. a tutela dei creditori del socio e del loro diritto di chiedere la liquidazione della quota dello stesso, dalla disciplina dell’art. 2900 c.c., attivabile, anche in via di urgenza, dagli eredi del socio ogni qual volta non residuino soci superstiti che possano agire per la revoca di liquidatori negligenti ovvero esercitare l’azione risarcitoria nei loro confronti, non quali soci della s.n.c., non essendo subentrati nella società in tale veste ex art. 2284 c.c.

2 Febbraio 2023

Il diritto agli utili nelle società di persone

La disciplina propria delle società di persone, rinvenibile all’art. 2262 c.c., dettato in tema di società semplice ma applicabile anche alle società in nome collettivo e in accomandita semplice, nel regolare il diritto dei soci a partecipare agli utili dell’impresa collettiva, prevede che tale diritto sorga per il semplice fatto che sia approvato un rendiconto che rappresenti che la società nell’esercizio abbia maturato utili, non essendo affatto necessario, salvo patto contrario, che i soci decidano di procedere alla loro distribuzione, come invece richiesto per le società di capitali.

2 Agosto 2022

Applicazione dell’art. 146 l. fall. alle società di persone e dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità

L’art. 146 l. fall. va interpretato nel senso che il curatore può esperire tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di qualsiasi società, anche di persone, dovendosi così ritenere ammissibili le domande promosse dalla curatela nei confronti di amministratori di s.n.c., individuando quale norma di riferimento l’art. 2260 c.c. in tema di responsabilità degli amministratori di società di persone per i danni dai medesimi arrecati alla società, espressamente richiamato dall’art. 2293 c.c.

In tema di prescrizione dell’azione di responsabilità, il termine di prescrizione quinquennale non può che iniziare a decorrere dalla cessazione della carica in virtù di quanto disposto dall’art. 2941, n. 7, c.c., a nulla rilevando che gli illeciti denunciati possano risalire anche ad epoca antecedente. Circa la sicura applicazione di detta disposizione alle società di persone, giova ricordare che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del predetto articolo nella parte in cui non prevede l’equiparazione tra tutte le società commerciali ai fini della sospensione della prescrizione per le azioni di responsabilità da parte della società nei confronti degli amministratori finché sono in carica.

13 Luglio 2022

La responsabilità del socio di s.n.c. receduto per le obbligazioni sociali in caso di successivo fallimento della società

La responsabilità solidale e illimitata del socio di s.n.c. per le obbligazioni sociali è posta a tutela dei creditori della società e non di quest’ultima, sicché solo i creditori possono agire nei confronti dei soci per il pagamento dei debiti sociali e non anche la società. Nella liquidazione di una società in bonis, se i fondi per il pagamento dei debiti sociali sono insufficienti, il liquidatore può richiedere ai soci, oltre ai conferimenti ancora ineseguiti, le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite. La norma non si applica alla società fallita, nel senso che la contribuzione del socio illimitatamente responsabile si sostanzia nella sottoposizione del socio stesso a fallimento, ai sensi e nei limiti degli artt. 10 e 147 l.fall., mentre il socio cessato da oltre un anno, e quindi non assoggettabile a fallimento, non è nemmeno soggetto all’applicazione dell’art. 2280, co. 2, c.c., proprio perché ormai estraneo al rapporto sociale.

Il curatore non ha un generale potere-dovere di sostituirsi ai creditori del fallito nell’esercizio di azioni corrispondenti a diritti di cui essi siano titolari, quando non si tratti di azioni volte alla ricostruzione del patrimonio del fallito o quando una siffatta legittimazione non sia stata espressamente prevista dal legislatore, come ad esempio accade nel caso dell’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali contro gli amministratori della società fallita, che gli artt. 2394 e 2394 bis c.c. esplicitamente legittimano il curatore ad esperire. Con riguardo alle azioni volte alla ricostruzione del patrimonio del fallito (le cc.dd. azioni di massa), i dati qualificanti consistono nella reintegrazione della garanzia generica del credito e nel carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo. Al contrario, quando una pretesa richiede l’accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o più creditori o, pur interessando una platea più o meno estesa, ma non la generalità del ceto creditorio, necessita pur sempre dell’esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, l’azione non può qualificarsi di massa e non compete la legittimazione del curatore in sostituzione dei singoli creditori.

La sostituzione nella legitimatio ad causam del curatore al singolo creditore non esiste in assenza, da una parte, di una norma espressa di legge e, dall’altra, di un’azione di massa, che benefici indistintamente il ceto creditorio nel suo insieme, come un’azione revocatoria o di simulazione. Nessuna disposizione toglie al creditore sociale la facoltà di agire nei confronti del socio non fallito di s.n.c., poiché l’onere di sottoporsi all’accertamento del passivo (art. 52 l.fall.) e il divieto di azioni esecutive individuali (art. 51 l.fall.) riguarda le sole pretese nei confronti del fallito e i beni compresi nel fallimento. Il risultato utile dell’azione non può andare indistintamente a beneficio della massa creditoria, visto che il curatore, per essere coerente con la sua tesi, dovrebbe formare una massa attiva separata, destinandone il ricavato ai soli creditori di cui l’ex socio deve rispondere ex art. 2290 c.c. Tuttavia, la legge fallimentare ammette bensì masse separate ai fini del riparto, ma solo in quanto esistano prelazioni speciali (ipoteca, pegno ecc.), o in quanto, specificamente nella società con soci illimitatamente responsabili, il socio sia personalmente fallito. Se invece il curatore destina il risultato dell’azione indistintamente a beneficio della generalità dei creditori e quindi riversa le somme incassate dall’ex socio non fallito nel conto della massa attiva sociale, aggrava la posizione dell’ex socio, visto che le somme versate andrebbero a pagare spese prededucibili (innanzitutto, i compensi del curatore e dei suoi ausiliari) e i crediti concorsuali secondo la rispettiva graduazione e non necessariamente quelli di cui il non fallito deve rispondere, lasciandolo esposto medio tempore e dopo la chiusura della procedura a pagare una seconda volta a mani del creditore.

9 Febbraio 2022

Domanda di liquidazione della quota del debitore da parte del creditore particolare del socio

Nelle società di persone, per il socio che conferisce unicamente la propria opera, il criterio di ripartizione dei guadagni e delle perdite stabilito dall’art. 2263, co. 2, c.c. vale anche al momento dello scioglimento della società, ai fini della determinazione della quota da liquidare al socio predetto. Pertanto, qualora sia stata pattiziamente riconosciuta al socio d’opera parità di diritti nella ripartizione dei guadagni e delle perdite, siffatto criterio dev’essere osservato anche nella liquidazione della quota del socio uscente al momento dello scioglimento del rapporto sociale. Soltanto se manchi tale determinazione convenzionale, il valore della quota già spettante al socio conferente la propria opera è – ai fini della sua liquidazione – fissato dal Giudice secondo equità in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento.

13 Gennaio 2022

Alcune questioni in tema di recesso ed esclusione del socio di società di persone. Modalità di formazione della volontà dei soci nelle società di persone e trasformazione in società di capitali

La tempestiva opposizione presentata dal socio escluso ai sensi dell’art. 2287, co. 2 c.c. non determina la sospensione dell’efficacia della delibera di esclusione, essendo al riguardo necessario uno specifico provvedimento del tribunale.

Il recesso del socio, come può perfezionarsi per fatti concludenti, così può perdere efficacia, essendo del resto ammissibile nelle società di persone la revoca del recesso, data la prevalenza del rapporto volontaristico-collaborativo tra i soci, che consente di manifestare una diversa volontà comune, tale da intendere rinnovata la partecipazione del socio receduto [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che l’attrice non avesse perso la qualità di socio, essendosi gli altri soci e la società sempre comportati come se il recesso non fosse mai intervenuto, dal momento che non si era proceduto alla stima e alla liquidazione della quota, erano stati riconosciuti e liquidati gli utili di esercizio e la stessa attrice era stata convocata alle assemblee nonché inserita nelle dichiarazioni dei redditi della società].

Nelle società di persone, anche ai fini dell’adozione della delibera di trasformazione in società di capitali, non è necessario ricorrere al metodo assembleare né che la minoranza sia informata, consultata e convocata per assumere la deliberazione, essendo invece sufficiente che una decisione sia comunque assunta, in modo informale, tramite il raggiungimento di una maggioranza, dovuto all’espressione di più consensi, ancorché manifestati in tempi e in luoghi diversi.

L’art. 2500, comma 2 c.c. non esige che la delibera di trasformazione di una società di persone venga adottata in assemblea – come è invece richiesto per le modifiche statutarie delle società di capitali – dal momento che la disposizione richiama il contenuto, la forma e la pubblicità, non anche le modalità di assunzione della decisione di trasformazione.

La forma dell’atto pubblico implica al più l’adunanza dei soci, non l’osservanza del metodo assembleare [peraltro, nel caso di specie, avente ad oggetto l’impugnazione della delibera di trasformazione, il Tribunale ha rilevato che, anche a voler ritenere necessario il metodo collegiale, la delibera avrebbe dovuto considerarsi ugualmente valida, poiché i soci che avevano deciso la trasformazione rappresentavano la maggioranza sufficiente ad adottare la delibera, ai sensi dell’art. 2500-ter c.c.].

Una volta eseguiti gli adempimenti pubblicitari di cui all’art. 2500 c.c., l’eventuale invalidità dell’atto di trasformazione non può più essere pronunciata e il provvedimento che statuisca positivamente sull’invalidità della delibera non può produrre alcun effetto caducatorio dell’atto di trasformazione.

13 Dicembre 2021

Diritto agli utili del socio accomandante e mancata presentazione del rendiconto da parte dell’accomandatario

Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, nel quale l’opposto riveste la qualità sostanziale di attore e l’opponente la qualità sostanziale di convenuto, benchè formalmente attore, il thema decidendum risulta determinato dall’oggetto della domanda proposta dall’opposto nella fase monitoria, sicchè parte opponente è legittimata a proporre una domanda riconvenzionale mentre l’opposto può formulare riconvenzionali nei limiti della reconventio reconventionis. Se la domanda monitoria non investe la competenza della Sezione Specializzata per le Imprese, prevista dall’art. 3 d.lgs. 168/2003 per i rapporti relativi alle società di capitali, tuttavia la proposizione, in via riconvenzionale, dell’azione di responsabilità verso il socio accomandatario determina la competenza collegiale a norma dell’art. 50 bis c.p.c., pur se deve dichiararsene l’inammissibilità.

In materia di notificazione del decreto ingiuntivo, vige il principio della scissione degli effetti della notifica, secondo cui il termine si considera osservato per il notificante alla data in cui lo stesso effettua gli adempimenti a sua cura, ma il termine di impugnazione dell’atto decorre per il destinatario dalla data della ricezione della notifica stessa.

3 Dicembre 2021

Morte del socio e liquidazione della quota agli eredi: criteri di quantificazione

Nella disciplina legale dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio della società di persone, contenuta all’art. 2284 c.c. e applicabile alla società in nome collettivo in forza del richiamo dell’art. 2293 c.c., la morte di uno dei soci determina immediatamente lo scioglimento del vincolo del singolo socio al momento del decesso, ponendo i soci superstiti nell’alternativa tra: (i) continuare fra loro l’attività e liquidare la quota agli eredi del socio deceduto, titolari iure proprio verso la società del diritto di credito ad una somma di denaro corrispondente al valore della quota del socio defunto al momento del decesso, ai sensi dell’art. 2289 c.c.; (ii) sciogliere la società determinando la perdita del diritto degli eredi del socio defunto alla liquidazione della quota, con la conseguenza che essi saranno costretti a partecipare al procedimento di liquidazione della società; (iii) accordarsi con gli eredi del socio defunto per continuare con loro la società. La disciplina richiamata trova applicazione anche nell’ipotesi di società composta da due soli soci, così che il socio superstite, in mancanza dell’accordo per la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, ha sempre l’alternativa tra l’offerta agli eredi della liquidazione del valore della quota appartenuta al socio deceduto e lo scioglimento anticipato della società.

Una volta che il socio superstite abbia optato per l’offerta agli eredi della liquidazione della quota appartenuta al defunto secondo le modalità previste dall’art. 2289 c.c., il diritto di credito degli eredi del socio deceduto è indifferente alle successive vicende della società, fossero anche lo scioglimento e lo stato di liquidazione derivanti dalla mancata ricostituzione della pluralità di soci.

L’art. 2289 c.c. prevede che nei casi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio la liquidazione in denaro della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento. La situazione patrimoniale a cui la norma richiamata si riferisce deve essere rapportata all’effettiva consistenza del patrimonio sociale nel giorno del decesso del socio. Non può, dunque, farsi semplice riferimento all’ultimo bilancio sociale ma deve essere redatta dall’amministratore, tenuto ai sensi dell’art. 2261 c.c. a rendere il conto della gestione, una situazione patrimoniale ad hoc, che rappresenti l’effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto nei confronti del socio.

Nell’ipotesi di mancata redazione o di contestazione della situazione patrimoniale posta a fondamento della quantificazione della quota è onere del socio superstite, a prescindere dal fatto che il defunto fosse o meno socio amministratore, dimostrare quale fosse la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio mediante la produzione in giudizio delle scritture contabili della società. L’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento.

Dal mancato assolvimento da parte del socio superstite dell’onere di provare la situazione patrimoniale della società al momento del decesso del socio il giudice può trarre argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., nella soluzione delle specifiche contestazioni sollevate dall’erede del socio defunto in ordine alle singole poste patrimoniali.

La denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio effettivamente subito dal diritto di difesa in conseguenza della denunciata violazione, così che non può dar luogo a nullità dell’atto processuale la violazione che non abbia in concreto impedito la piena esplicazione del contraddittorio.