26 Novembre 2020

Distinzione tra difetto di legittimazione attiva e difetto di titolarità. Sentenza penale di condanna generica al risarcimento dei danni e giudizio civile.

Allorché un socio eserciti un’azione di responsabilità nei confronti di un amministratore di società fallita per pregiudizio al patrimonio sociale, non si pone un problema di difetto di legittimazione attiva (che configura una condizione dell’azione – eccepibile in ogni grado e stato del giudizio e rilevabile d’ufficio dal giudice – che dev’essere accertata in relazione non già alla sua concreta sussistenza, bensì alla sua affermazione con l’atto introduttivo del giudizio), ma un difetto di titolarità del rapporto controverso che viene determinata con riferimento al rapporto dedotto in giudizio, nel senso che parti legittime sono quelle indicate come parti del rapporto sostanziale.

Ai sensi dell’art. 651 c.p.p. la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, con esclusione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile. Detta sentenza non è, inoltre, vincolante con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l’individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile.

La condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nel giudizio di liquidazione del “quantum” la possibilità di esclusione della esistenza stessa di un danno collegato eziologicamente all’evento illecito. In definitiva, nel nostro ordinamento, spetta al giudice civile ogni valutazione in ordine alla sussistenza del danno, al nesso di causalità e alla liquidazione del pregiudizio, dovendo egli accertare se la condotta penalmente rilevante abbia cagionato alla vittima una lesione della sfera personale o patrimoniale idonea ad assurgere al rango di violazione costituzionalmente rilevante. La decisione di condanna generica al risarcimento emessa dal giudice penale contiene implicitamente l’accertamento del danno evento e del nesso di causalità materiale tra questo e il fatto-reato, ma non anche quello del danno conseguenza, per il quale si rende necessaria un’ulteriore indagine, in sede civile, sul nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli.

26 Novembre 2020

Prescrizione dell’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall.

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. è soggetta a prescrizione decorrente dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione). In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (cfr. in questo senso anche Cass. n. 13787/2014 e n. 24715/2015).

Il curatore fallimentare che esercita l’azione di responsabilità ai sensi dell’art.146 l.f. propone al contempo sia l’azione sociale ex art.2393 cc, sia quella dei creditori sociali ex art.2394 cc, azioni che si cumulano, pur restando ciascuna assoggettata al regime che ad essa è proprio. Ne deriva che, ove la società e gli amministratori abbiano compromesso in arbitri ogni controversia attenente alla responsabilità di questi ultimi, la clausola compromissoria e l’eventuale lodo arbitrale sono opponibili anche al curatore del sopravvenuto fallimento, seppur limitatamente all’azione sociale di responsabilità svolta ex art.146 l.f.

24 Novembre 2020

Opponibilità ai terzi della cessazione dalla carica di amministratore e sindacato sull’operato dell’organo amministrativo

Considerato che ai sensi dell’art. 2385, ult. co., c.c. la cessazione degli amministratori dall’ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese e considerato, inoltre, che l’art. 2193 c.c. dispone che i fatti di cui la legge prevede l’iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l’iscrizione a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza, l’eventuale cessazione dalla carica di amministratore per essere opponibile ai terzi creditori sociali deve necessariamente essere iscritta nel registro delle imprese

Se è vero che le determinazioni dell’imprenditore – ovvero del suo organo amministrativo – sono tradizionalmente considerate esenti da sindacato in sede giurisdizionale, ciò non significa che l’amministratore della società sia libero di adottare qualsivoglia decisione, essendo questi comunque tenuto ad espletare il proprio incarico con la diligenza professionale prescritta ex lege, la quale si estrinseca nella fase preliminare all’adozione della decisione e si fonda sull’acquisizione delle conoscenze tecniche e fattuali necessarie in relazione al caso di specie. Ne consegue, dunque, che il giudizio de quo possa investire unicamente l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostante e con quelle modalità.

 

23 Novembre 2020

Inesistenza della qualità di socio e mancanza di interesse ad agire nell’impugnazione delle delibere assembleari

L’accertamento dell’inesistenza della qualità di socio in capo ad un soggetto, per effetto dell’intervenuta declaratoria di nullità del titolo di acquisto delle sue partecipazioni sociali, determina la mancanza di suo interesse ad agire nell’impugnazione delle delibere assembleari, qualora non vi sia altro interesse se non quello derivante dall’appartenenza alla compagine sociale, di cui è parte terza. [ LEGGI TUTTO ]

23 Novembre 2020

Azione di responsabilità degli amministratori e danno rappresentato da debiti tributari

In tema di danno risarcibile dagli amministratori nell’ipotesi di azione di responsabilità esercitata nei loro confronti dal curatore fallimentare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 146 l.fall., qualora il danno sia rappresentato da debiti tributari, il danno sussiste per tutte quelle componenti accessorie del debito che si sarebbero potute evitare con una gestione diligente.

Quindi, rileva non il mancato pagamento dell’imposta, che rimane un inadempimento che genera un debito al pari degli altri debiti concorsuali (al netto di un eventuale pagamento preferenziale) ma, invero, la mala gestio degli amministratori, che consiste nell’aggravarsi di tale debito, causalmente connesso ad una condotta negligente ed imprudente della gestione, vuoi per non avere pagato l’imposta quando ve ne era la possibilità, vuoi per avere fatto maturare ulteriori accessori tributari, non chiedendo il proprio fallimento pur avendone un obbligo penalmente sanzionato.

20 Novembre 2020

Carenza sopravvenuta di interesse ad agire per mancata impugnazione di deliberazioni successive integrative ed assorbenti

L’attore non è titolare di interesse ad agire, in relazione ad una istanza di impugnazione di una deliberazione dell’assemblea dei soci, qualora quest’ultima sia stata superata ed integrata nel contenuto da decisioni successive, delle quali si è appurata la natura assorbente [Nel caso di specie, la mancata impugnazione della deliberazione assembleare – successiva – di approvazione del bilancio finale cristallizza la perdita complessiva, rendendo irrilevante l’accertamento della effettiva entità relativa ad un periodo intermedio].

12 Novembre 2020

Recesso c.d. “da delisting” ex art. 2437-quinquies e conversione e raggruppamento di azioni di categoria. Il caso Carige

Allorché siano ammesse a negoziazione su un mercato regolamentato (e cioè siano “quotate” agli effetti dell’art. 2437-quinquies c.c.) due categorie di azioni e venga deliberata una certa operazione che comporti l’esclusione dalla quotazione delle azioni di una soltanto delle due categorie, tale operazione non comporta il sorgere del diritto di recesso ai sensi del citato art. 2437-quinquies c.c. in capo ai portatori delle azioni escludende ove a questi sia riconosciuta contestualmente la facoltà di convertire le proprie azioni nelle azioni dell’altra categoria, che rimangono quotate, così evitando il pregiudizio che la causa di recesso mira ad attenuare, ossia l’unilaterale decisione da parte della società di far venire meno, per effetto dell’operazione deliberata, lo status di azione quotata e quindi il carattere della pronta liquidabilità dell’investimento connesso all’azione stessa.

[ LEGGI TUTTO ]

Codice RG 6695 2020
11 Novembre 2020

Azione di responsabilità ex art. 2476 c.c.: natura e onere della prova

La norma di cui all’art. 2476 c.c. struttura la responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge dal primo comma della disposizione menzionata, in cui si fa riferimento alla inosservanza dei doveri quale criterio di valutazione e di imputazione della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità), e dalla circostanza che il prosieguo della norma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Il comportamento rilevante ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità è solamente quello che abbia causato un danno; la mancanza del danno rende irrilevante il comportamento inadempiente ai fini dell’azione in esame, perché essa tende per sua natura al risarcimento.

Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. della responsabilità nei confronti della società consegue che sull’attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (trattandosi di obbligazioni mezzi e non di risultato), anche solo mediante allegazione, oltre agli elementi costitutivi della domanda risarcitoria quali il nesso di causalità e il danno verificatosi; mentre, incombe sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.

30 Ottobre 2020

Esercizio dell’azione di responsabilità ex art. 146 l.f.: il parametro di riferimento è l’effettiva consistenza patrimoniale della società

Il curatore del fallimento di una società di capitali che esercita azione di responsabilità ex art. 146 l.f. nei confronti dell’amministratore unico e liquidatore della stessa deve dare prova degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e a quella del liquidatore differenziando tra gli obblighi specifici che gravano sull’amministratore di una società in bonis e i compiti del liquidatore dovendo consistere il parametro di riferimento per l’esercizio dell’azione nell’effettiva consistenza patrimoniale della società a prescindere dalla rappresentazione che della stessa viene data in bilancio non essendo, peraltro, il curatore  fallimentare legittimato a proporre azione in vece di quei creditori che potrebbero aver subito un danno diretto per aver fatto affidamento su una consistenza patrimoniale insussistente che, se del caso, potranno tutelarsi con l’azione ex artt. 2395 e 2476, c. 7, c.c.

Nessun danno subiscono creditori (e società) da bilanci non veritieri.

26 Ottobre 2020

L’appartenenza di una società ad un gruppo non legittima l’amministratore a depauperare tale società a beneficio di altre società del gruppo o della controllante

L’art. 2392 c.c. delinea una responsabilità di natura contrattuale per inadempimento dei doveri funzionali dell’organo amministrativo, il quale, nell’esecuzione del mandato, deve operare scelte volte alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, rispettando le regole (anche tecniche) di corretta gestione e la cui responsabilità che non viene meno neppure se ha agito in esecuzione di un mandato assembleare o in conformità di delibere del Consiglio di Amministrazione o con l’assenso (o il mancato dissenso) del Collegio Sindacale.

L’art. 2392 c.c. sancisce il principio di solidarietà verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza dei diversi obblighi posti a carico degli amministratori, a cui si aggiunge la responsabilità solidale dei membri del collegio sindacale quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità agli obblighi connessi alla carica: il che significa, in conformità ai principi generali in tema di solidarietà, che nei rapporti esterni ciascun amministratore sarà tenuto al risarcimento dell’intero, e che, eventualmente, il debito solidale potrà essere ripartito nei rapporti interni mediante azioni di regresso.

La business judgment rule opera esclusivamente quando le decisioni operative sono assunte secondo i principi di corretta gestione societaria e, quindi, quando gli atti di gestione (i) sono conformi alla legge e allo statuto sociale, (ii) non sono contaminati da situazioni di conflitto di interesse dei gestori, (iii) sono assunti all’esito di un procedimento di assunzione di informazioni propedeutiche alla decisione gestoria adeguato all’incidenza sul patrimonio dell’impresa e (iv) sono razionalmente coerenti con le informazioni e le aspettative di risultato emerse dal procedimento istruttorio.

A fronte di comportamenti dell’amministratore che ledono il patrimonio dell’ente a vantaggio di altre società del gruppo, e perciò appaiono contrari al suo obbligo di perseguire una corretta gestione societaria, gli eventuali benefici compensativi non possono ritenersi sussistenti solo perché la società fa parte di un gruppo, dovendo l’amministratore “farsi carico di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta”, e fermo restando che non si possono considerare compensabili nel senso indicato dalla norma i pregiudizi che minano l’esistenza stessa della società del gruppo, né tantomeno i pregiudizi  che comportano il venir meno della liquidità necessaria per la sopravvivenza di essa.

E’ responsabile, ex art. 2392 c.c., l’amministratore che autorizzi o imponga alla società parte di un gruppo il pagamento di somme per servizi non resi in favore di una controllante indiretta: si tratta di comportamento in violazione dei più elementari doveri di diligenza verso la società amministrata.

Sussiste la mala gestio, e la conseguente responsabilità dell’amministratore della società controllata, laddove tale società conceda finanziamenti e prestiti in favore della controllante in situazione di conflitto di interesse, in assenza di preventiva approvazione del C.d.A., e per fini non riconducibili alla controllata sotto il profilo della convenienza indiretta dell’operazione.