La tutela cautelare del marchio di fatto: diritti del preutente e nozione di notorietà

La tutela prevista dall’art. 2598 comma 1 c.c. è cumulabile con quella specifica posta a tutela di segni distintivi tipici, trattandosi di azioni diverse per natura, presupposti e oggetto. La prima ha, infatti, carattere personale e presuppone la confondibilità con i prodotti del concorrente e, quindi, la possibilità di uno sviamento della clientela con conseguente danno, mentre la seconda, a tutela delle privative industriali, ha natura reale ed opera anche indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti. Inoltre, nell’azione per concorrenza sleale l’intenzionalità dell’agente è presunta, laddove nell’azione a tutela del marchio la responsabilità del contraffattore è indipendente da connotazioni soggettive. Pertanto, la contraffazione di un segno distintivo (tipico o atipico, registrato o non registrato) può costituire anche un atto di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 1 c.c., così come l’eventuale rigetto della domanda a tutela del marchio non esonera il giudice dall’esame della diversa domanda a tutela della concorrenza.

L’adozione di un segno, in qualunque delle sue funzioni distintive, conferisce all’imprenditore che lo abbia adottato il diritto esclusivo di utilizzarlo anche in relazione alle altre funzioni distintive, potendo vietare a terzi l’uso del segno in questione come marchio, ditta, insegna, domain name, slogan e qualsiasi altro segno distintivo atipico, sempre che l’uso precedente del segno sia noto e la relativa notorietà non sia “puramente locale”.

La nozione di notorietà rilevante, richiesta allo scopo di riconoscere un diritto di privativa al titolare di un marchio di fatto, implica la diffusione del segno in una dimensione geografica piuttosto estesa e può coincidere con l’intero territorio nazionale o anche solo con alcune regioni, se un dato prodotto raggiunga volumi di vendita significativi; tale nozione non coincide con quella di notorietà rilevante ai fini della qualificazione come marchio notorio o di rinomanza, con riferimento alla quale viene richiesto il raggiungimento di un grado di notorietà particolarmente intenso. Al fine di qualificare tale notorietà, la pubblicizzazione online del marchio (nel caso di specie, tramite pagina web e tramite pagina Facebook) è uno degli strumenti che più di tutti vanno considerati nella stima della notorietà di un’azienda, in quanto garantisce una diffusione “non locale” della propria offerta commerciale e, conseguentemente, una diffusione “non locale” del segno.

22 Luglio 2022

Tutela del marchio: somiglianza, confondibilità e rischio di confusione dei prodotti

In tema di contraffazione di marchio registrato, ai fini dell’applicabilità da parte del legittimato della tutela offerta dell’art. 20 c.p.i. è necessario che la contraffazione abbia avuto riguardo ad un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, laddove a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi  possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. [Nel caso di specie, il Tribunale di Napoli rigetta la domanda di parte attrice giudicando non confondibili i prodotti contrassegnati dai marchi oggetto di causa, trattandosi nel caso di specie di un prodotto farmaceutico mutuabile venduto dietro ricetta medica e un integratore alimentare, a nulla rilevando che  i marchi siano registrati per la medesima classe atteso che la ripartizione dei prodotti in classi merceologiche ha mera valenza di carattere amministrativo e non può spiegare effetti nella valutazione di affinità dei prodotti stessi.]

10 Giugno 2022

Contraffazione del marchio “forte”, giudizio di confondibilità e principio di unitarietà dei segni distintivi

La tutela del marchio ex art. 20 c.p.i. certamente contempla l’uso non autorizzato di segno uguale o simile al marchio registrato altrui per prodotti o servizi identici o affini, se ciò determina un rischio di confusione per il pubblico.
La tutela del marchio ai sensi dell’art. 20, lett. b), c.p.i., dopo la riforma del 1992, comprende non solo il rischio di confusione costituito dalla identità o somiglianza dei segni, accompagnato dall’identità o affinità dei prodotti o servizi contrassegnati, ma anche quello consistente nella semplice associazione dei due segni, tale per cui il pubblico possa essere tratto in errore circa la sussistenza, tra il titolare ed il contraffattore o l’usurpatore, di rapporti contrattuali o di gruppo.
Il principio della unitarietà dei segni distintivi di cui all’art. 22 c.p.i. non consente l’uso confusorio del marchio anteriore registrato neppure come denominazione sociale.

[Nel caso di specie, l’uso non autorizzato del segno “Vittoria” integra violazione delle privative attoree, in diretta usurpazione del marchio “Vittoria” ed in diretta contraffazione pure del marchio “Vittoria immobiliare”, sebbene composto, di cui la parola “Vittoria” costituisce il cuore, cioè a dire l’elemento distintivo, il nucleo ideologico-espressivo connotato di particolare attitudine individualizzante e distintiva. Il rischio di confusione permane benché alla parola “Vittoria” la convenuta abbia aggiunto la parola “costrizioni”, perché alla stregua di un giudizio in via globale e sintetica, tale aggiunta, peraltro meramente descrittiva del settore di attività, non è idonea a escludere la contraffazione del marchio “forte” quale è “Vittoria immobiliare”, il cui nucleo essenziale è da individuarsi nella parola “Vittoria”.]

17 Maggio 2022

Strutture turistiche: rischio di confusione e/o di associazione tra marchi figurativi

Le norme di cui all’art. 20 c.p.i. richiedono, ai fini del giudizio di confondibilità, una doppia verifica: quella sull’identità o affinità tra i prodotti o servizi e quella sull’identità o somiglianza tra i segni a confronto. Infatti, la sussistenza di un rischio di confusione va apprezzata attraverso una valutazione globale, tenendo conto dell’impressione d’insieme che suscita il raffronto tra i due segni mediante un esame unitario e sintetico che tenga in considerazione i diversi fattori pertinenti del caso di specie tra di loro interdipendenti, quali la identità/somiglianza dei segni, la identità/somiglianza dei prodotti e servizi, il carattere distintivo del marchio anteriore, gli elementi distintivi e dominanti dei segni concorrenti, in relazione al normale grado di percezione dei potenziali acquirenti del prodotto del presunto contraffattore. La confondibilità dei marchi a confronto non deve essere accertata esclusivamente in via analitica, effettuando un esame particolareggiato e una valutazione separata di ogni singolo elemento di dettaglio, neppure può essere valutata avendo riguardo non tanto delle differenze, quanto delle concordanze tra i segni messi a confronto. La dialettica tra esame analitico ed esame sintetico non va risolta in termini di alternatività, quanto piuttosto in termini di complementarità, trattandosi dei due momenti necessari del giudizio di confondibilità. Nel senso che, qualora siano implicati molteplici elementi formali, ad una prima fase di comparazione delle singole caratteristiche essenziali, deve seguire una fase di sintesi dei risultati acquisiti, al fine di relativizzare il risultato dei vari dati formali in quello che è l’aspetto globale del segno. In tal modo, l’esame sintetico assume il ruolo di elemento di chiusura della ricognizione concreta, condotta caso per caso, degli elementi costitutivi dei segni a confronto.

2 Maggio 2022

Risarcimento del danno da violazione della denominazione d’origine/indicazione geografica “Scotch Whisky”

Nell’illecito di concorrenza sleale la colpa dell’autore si presume ex art. 2600 comma 3 c.c. Lo sfruttamento illecito attraverso l’evocazione del Paese che conferisce tutte quelle caratteristiche tipiche al prodotto e il richiamo ai pregi dello stesso viene eseguito per immettere sul mercato prodotti di qualità inferiore, con una riduzione dei costi tramite l’utilizzo di materiali meno pregiati, così danneggiando gravemente l’immagine di successo e il prestigio dei produttori di quel determinato prodotto. L’offuscamento dell’immagine nonché lo svilimento del prodotto originale avranno la logica conseguenza di ridurre le vendite. [Nel caso di specie, va accolta la domanda risarcitoria per il danno all’immagine subito da THE SCOTCH WHISKY ASSOCIATION (SWA) per effetto della promozione, offerta in vendita e vendita da parte della convenuta di prodotti in violazione del Regolamento (CE) 110/2008, degli artt. 29 e 30 c.p.i., dell’art. 2598 nn. 1, 2 e 3 c.c. e di accordo transattivo sottoscritto tra le parti.]

26 Aprile 2022

La tutela del marchio di fatto

Alla tutela del marchio di fatto offerto dalla legislazione complementare ex artt. 1 e 2, comma 4 del D. Lgs. n. 30 del 2005, si affianca la disciplina generale codicistica dettata dagli artt. 2569, comma 2, 2571, 2598 comma 1, n. 1 e n. 3, 2599, 2600 c.c., secondo cui il preuso non solo consente l’utilizzato esclusivo del marchio di fatto da parte del titolare, nonostante la successiva registrazione dello stesso da parte di altri, ma anche la nullità del marchio posteriormente registrato da altri e la conseguente inibitoria dell’attività di concorrenza sleale.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità afferma che al marchio non registrato deve comunque riconoscersi diritto di cittadinanza nel sistema delle privative industriali, considerato che la mera situazione di fatto può attribuire al suo titolare un diritto esclusivo di proprietà industriale. In questa prospettiva, infatti, i segni distintivi diversi dal marchio registrato ai sensi dell’art. 2, comma 4 del D. Lgs. n. 30 del 2005 consentono al titolare di esercitare un diritto esclusivo di utilizzazione, nonché di invalidare, al ricorrere di date condizioni, il marchio registrato successivamente da terzi, nel caso sia uguale o simile, in relazione al grado di notorietà. Pertanto, il cd preuso (marchio di fatto) richiede la sussistenza del connotato della notorietà diffusa. Infatti, “il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all’uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l’invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi, venendo a mancare (fatta salva la convalidazione di cui all’art. 48 del R. D. n. 929 del 1942) il carattere della novità, che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione (ex multis Cass. Civ., sez. I 20 maggio 2016, n. 10519; Cass. civ. sez. I 2 novembre 2015, n, 22350)”

La capacità distintiva propria di un marchio non viene meno a seguito della sua entrata nel linguaggio comune come “neotoponimo”

Ricorre l’ipotesi della “identità del marchio” anche quando un marchio d’impresa ne riproduca un altro, apportandovi differenze che – sulla base di una valutazione complessiva dei segni e tenendo conto del fatto che nella percezione del consumatore medio il confronto tra detti segni non è (normalmente) diretto, ma solo mnemonico – siano talmente insignificanti da poter passare inosservate. [Nel caso di specie, il marchio di parte convenuta “White Club Costa Smeralda” aggiunge al segno distintivo proprio del marchio della attrice (“Costa Smeralda”) le sole parole “White Club”; ed alla luce di quanto chiaritosi, deve ritenersi che tale aggiunta non sia capace di differenziare la percezione del segno, con conseguente sostanziale identità fra i due marchi.]

29 Marzo 2022

Contraffazione del marchio cromatico mediante la commercializzazione di vini spumanti prosecco aventi un packaging dal colore simile a quello di un noto champagne

Ciò che rileva nell’ambito della valutazione globale in punto contraffazione, è l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti contrassegnati: la confondibilità consiste nella possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente legate tra loro, onde è sufficiente che il grado di somiglianza tra questi marchi abbia l’effetto di indurre il pubblico di riferimento a stabilire un nesso tra di essi, non necessariamente a credere si tratti dello stesso produttore. La valutazione del rischio di confusione deve fondarsi perciò sull’impressione complessiva prodotta dai marchi in confronto, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti, rilevando la percezione dei segni da parte del consumatore medio, il quale “vede” normalmente il marchio come un tutt’uno e non effettua un esame spezzettato dei singoli elementi. Va altresì considerato che il giudice deve tenere conto, nel giudizio di confondibilità, che, al momento della scelta, il consumatore usualmente non ha di fronte entrambi i segni ma solo uno di essi, onde non confronta due marchi entrambi posti innanzi a sé per svolgerne un compiuto esame visivo, ma paragona solo mentalmente quelle che vede con il ricordo imperfetto e l’immagine mnemonica dell’altro. Di conseguenza, nell’esame di confondibilità dei marchi complessi contenenti elementi denominativi ed elementi figurativi, anche la parte figurativa del segno, ove si tratti di marchio complesso, va adeguatamente considerata nell’esame, non potendo escludersi la confondibilità sol perché sussistano diverse componenti denominative. [Nel caso di specie, si afferma la contraffazione del marchio di MHCS
da parte della convenuta stante l’evidente somiglianza cromatica dei colori utilizzati, tale da creare indubbia confusione nel consumatore medio, essendo proprio il particolare colore impiegato il cuore distintivo del marchio di MHCS. A ciò si aggiunga che gli Champagne Veuve Clicquot e i vini contestati alla convenuta (Prosecco, vini spumanti e vini bianchi in generale) sono prodotti che condividono la medesima destinazione commerciale e sono in diretto rapporto di concorrenza.]

29 Marzo 2022

Principio di unitarietà dei segni distintivi e rischio di confusione tra marchi utilizzati nel settore moda

Secondo il principio di unitarietà dei segni distintivi, chi acquista diritti su un segno distintivo acquisterà diritti di esclusiva anche in relazione alle funzioni proprie degli altri segni, e ciò corrisponde alla ratio secondo cui i vari segni distintivi assolvono alla stessa funzione e, pertanto, è necessario regolare l’eventuale conflitto fra di essi. L’articolo 22 del c.p.i. recepisce tale impostazione ma subordina la sua operatività alla condizione della possibile confusione fra i segni distintivi posti in comparazione. In tema di marchio, poiché la ditta designa il nome sotto cui l’imprenditore esercita l’impresa, senza avere diretta attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi resi dall’imprenditore, in ciò distinguendosi dal marchio, è consentito che una impresa inserisca nella propria ditta una parola che già faccia parte del marchio di cui sia titolare altra impresa, anche quando entrambe operino nello stesso mercato, ma non è lecito utilizzare quella parola anche come marchio, in funzione della presentazione immediata, o mediata attraverso forme pubblicitarie, dei prodotti o servizi offerti.

28 Marzo 2022

Domanda di risoluzione del contratto di licenza di un famoso marchio di occhiali e risarcimento del danno

L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di “chance” esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, ciò che non esime, però, la parte interessata – per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso – dall’onere di dimostrare non solo l'”an debeatur” del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi “in re ipsa”, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre.