Il difetto di convocazione dell’assemblea nelle s.r.l.

La mancata convocazione dell’assemblea dei soci di s.r.l. determina l’invalidità della delibera ai sensi dell’art. 2479 ter c.c., in quanto assunta in assenza assoluta di informazione. Al riguardo, non assume alcun rilievo l’ipotesi in cui il socio impugnante abbia acquisito aliunde notizia dell’assemblea e del relativo ordine del giorno. Ai sensi dell’art. 2479 bis, co. 5, c.c., l’ambivalenza tra convocazione e informazione è riferita solo ed esclusivamente ad amministratori e sindaci per l’ipotesi in cui l’assemblea, che pure non sia stata convocata secondo le modalità prescritte, abbia deliberato con la partecipazione dell’intero capitale sociale.

4 Aprile 2022

Illegittimi prelevamenti dal conto corrente della società compiuti dall’amministratore e azione di ripetizione ex artt. 2033 c.c.

La ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. presuppone l’avvenuta esecuzione di un pagamento non dovuto per inesistenza di un rapporto obbligatorio, il che si verifica o quando il solvens erroneamente ritiene l’esistenza di un’obbligazione cui è vincolato od in ipotesi di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione del negozio (qualunque esso sia) che fu elemento genetico del rapporto obbligatorio. La ripetizione di indebito ex art. 2036 c.c. presuppone l’avvenuta esecuzione di un pagamento non dovuto dal solvens, essendo altro il soggetto passivo del rapporto obbligatorio in realtà esistente.

Se il pagamento effettuato va direttamente collegato sotto il profilo eziologico ad un atto illecito dell’accipiens (come deduce parte attrice che chiede accertarsi la illegittimità dei prelevamenti dal conto corrente della società operati dall’ex amministratore), è l’atto illecito in sé che si pone quale unica genesi dell’esborso sostenuto dal solvens, esborso che, quale ingiusta diminuzione patrimoniale è da qualificare come danno risarcibile a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale a seconda della configurazione che la parte danneggiata voglia dare della responsabilità in base alla fonte delle obbligazioni (contratto di amministrazione o neminem laedere). Invero, se un diritto può eventualmente vantare la società è solo a titolo di risarcimento danni per responsabilità sociale da azionare verso il suo ex amministratore, che “in occasione” della sua carica ha prelevato somme destinate a sue personali.

L’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. ha natura residuale e non è esperibile quando sussiste nel sistema un rimedio tipico, nel caso di specie l’azione di responsabilità sociale ex art. 2476, comma 3, c.c.. L’eventuale intervenuta prescrizione della azione tipica ex art. 2476, comma, 3 c.c. non consente di considerare ammissibile la domanda ex art. 2041 c.c. posto che “l’azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un’azione tipica e questa si è prescritta” (Cass. 30614/2018).

Dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali

L’azione dei creditori sociali si prescrive, ex art. 2949 c.c., nel termine di cinque anni, che decorre non dal momento del compimento degli atti gestori lesivi commessi dall’amministratore, bensì da quello (diverso e successivo) dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori sociali, dell’insufficienza del patrimonio della società ai fini del soddisfacimento delle loro ragioni di credito. Tale dies a quo non coincide necessariamente con la messa in liquidazione della società il cui amministratore è stato convenuto, in quanto la liquidazione può essere determinata alternativamente da una delle diverse cause di cui all’art. 2484 c.c. e rappresenta una fase in cui la società destina l’attivo proprio all’estinzione dei debiti sociali, in vista della chiusura dell’impresa. Il dies a quo non coincide necessariamente neppure con la data della notifica, da parte dei creditori-attori, di una diffida ad adempiere alla società, in quanto l’inadempimento di un’obbligazione da parte della società potrebbe dipendere dalle più svariate ragioni e non preludere necessariamente una situazione di incapienza patrimoniale. Il dies a quo può invece correttamente essere individuato nel giorno dell’infruttuoso esperimento di una procedura di espropriazione, promossa dai creditori, in quanto da tale momento può parlarsi con certezza di insufficienza del patrimonio sociale ai fini del soddisfacimento del credito.

Può essere considerato responsabile di atti di mala gestio, ai sensi dell’art. 2394 c.c., l’amministratore che ha compiuto un’operazione che si presentava ex ante come imprudente e incauta, in quanto conclusa con una società appena costituita e priva di patrimonio, con la cessione integrale dei propri unici asset immobiliari, in mancanza di garanzie, reali o personali.

30 Marzo 2022

Responsabilità dell’amministratore per danno diretto e responsabilità solidale del socio di s.r.l.

La norma di cui all’art. 2476, co. 7, c.c., nel prevedere il diritto al risarcimento dei danni spettante ai singoli soci che si assumano direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori, regola, al pari di quella di cui all’art. 2395 c.c., una specie della fattispecie generale di responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 c.c. e dell’obbligo ivi fatto al danneggiante di risarcire i danni causati contra ius a terzi con atti e fatti non iure dati. Ciò in quanto mentre il rapporto che si forma tra la società di capitali e l’amministratore ha la sua fonte in un atto di nomina e di accettazione che instaura tra le parti un vero e proprio contratto avente ad oggetto la diligente gestione – secondo statuto e legge – della società, tale per cui il dovere dell’organo amministrativo di conservare e investire al meglio il patrimonio sociale ha natura contrattuale e il suo inadempimento – anche sotto il profilo degli oneri processuali di prova – è regolati dagli artt. 1218 e 1176 c.c., per quanto concerne il rapporto tra il socio e la società il diaframma della persona giuridica è tale da rendere i soci, nei rapporti con l’amministratore, terzi sia pur qualificati privi di un diretto e vincolante rapporto obbligatorio con il gestore del patrimonio sociale. Ne consegue che, ove i soci alleghino che determinati atti gestori abbiano inferto un danno diretto alla propria sfera giuridico-patrimoniale, incombe pienamente loro la prova piena della condotta illecita – anche sotto il suo profilo soggettivo di colpevolezza – nonché del danno e del nesso di causalità, pure diretta, tra i due termini della fattispecie risarcitoria.

L’azione individuale di responsabilità in materia societaria esige che il comportamento doloso o colposo dell’amministratore, posto in essere tanto nell’esercizio dell’ufficio, quanto al di fuori delle incombenze ad esso correlate, abbia determinato un danno che incida direttamente sul patrimonio del socio o del terzo. È, invece, irrilevante che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia ricollegabile ad un inadempimento della società, né, infine, che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio. Infatti, dalla formulazione dell’art. 2395 c.c. emerge chiaramente come l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione sia costituito dall’incidenza del danno. La sussistenza di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente si pongono come elementi tanto necessari, quanto sufficienti al riguardo.

La responsabilità solidale del socio di s.r.l. di cui all’art 2476 co 8 c.c. prevede tre presupposti per il riconoscimento della responsabilità: l’alterità soggettiva del socio rispetto agli amministratori, il compimento da parte dell’amministratore di un atto dannoso e la qualità di socio del soggetto che decide od autorizza (intenzionalmente) il compimento dell’atto dannoso.

La responsabilità viene in rilievo non già per una semplice assenza di controllo e neppure, in ipotesi di effettiva esistenza dell’atto dannoso, per la mera riconducibilità di tale atto al socio, ma solo in caso di intenzionale decisione o autorizzazione, da parte del socio, di quegli specifici atti dannosi da intendersi quale piena coscienza di compiere quell’atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e perciò deve indicare la riferibilità psicologica dell’atto al socio. Per tale ragione, la responsabilità del socio è solidale con quella degli amministratori. Il socio per integrare la fattispecie di cui all’art. 2476, co. 8, c.c. deve aver compiuto atti o comportamenti tali da supportare intenzionalmente l’azione illegittima e dannosa poi posta in essere dagli amministratori: è sufficiente che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio dell’antigiuridicità dell’atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell’atto da parte dell’amministratore. L’intenzionalità, in questa prospettiva, è costituita dalla piena coscienza di compiere quell’atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e, in definitiva, dalla riferibilità psicologica dell’atto al socio.

30 Marzo 2022

Assemblea totalitaria e abuso di maggioranza

Nel caso di mancata convocazione dell’assemblea, l’art. 2379 bis c.c. preclude al socio che, pur non essendovi convocato, abbia partecipato e ne abbia consentito lo svolgimento, di impugnare la delibera esitata dall’assemblea. In altre parole, per quell’ipotesi di totale compromissione del diritto d’informazione del socio, cui la convocazione è preordinata, in omaggio al principio generale immanente nel sistema del diritto societario – di garantire, il più possibile, la stabilità delle decisioni assembleari – il legislatore ha inteso prevedere un’ipotesi di nullità sanabile.

Di fronte a un’assemblea totalitaria, l’accertamento della presenza dell’intero capitale sociale e della maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo esclude la rilevanza della mancanza delle formalità previste per la convocazione, il cui astratto rilievo officioso rimane neutralizzato. Tale assemblea ha competenza generale, senza che rilevi l’eventuale violazione delle norme che disciplinano la convocazione.

La disciplina dell’assemblea totalitaria contenuta al comma 4 dell’art. 2366 c.c. è da ritenersi applicabile anche alle assemblee di s.r.l.

L’esecuzione del contratto di società deve essere improntata ai ben noti canoni di correttezza e buona fede e l’abuso di maggioranza (c.d. abuso, o eccesso, di potere) può condurre all’annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando le stesse non trovino alcuna giustificazione nell’interesse sociale – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale – oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli.

Nel nostro ordinamento non esiste una norma che identifichi espressamente la figura dell’abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, anche se, da tempo, si ammette l’esistenza di tale fattispecie, riferendola alle ipotesi di applicazione non corretta del principio maggioritario; più precisamente, tale figura giuridica non tipizzata si estrinseca nell’esercizio del diritto di voto da parte del socio di maggioranza a danno degli altri soci, tramite l’adozione di una delibera assembleare lesiva degli interessi della minoranza, ovvero, in alternativa, in contrasto con l’interesse sociale.

Il cosiddetto abuso della regola di maggioranza costituisce una species del ben più ampio genus dell’abuso del diritto, al quale si riconducono tutte quelle ipotesi in cui un comportamento, che formalmente rappresenta l’esercizio di un diritto soggettivo, è sprovvisto di tutela giuridica o comunque illecito in quanto svolto in violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, le quali sono di applicazione generale a tutti i rapporti giuridici obbligatori e, tra questi, anche a quelli derivanti dal contratto di società. Sussiste, infatti, la figura dell’abuso quando la decisione dell’assemblea risulta arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci di maggioranza allo scopo di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero per ledere i diritti del singolo partecipante.

29 Marzo 2022

Azione di responsabilità promossa dalla s.r.l. a socio unico

Ai sensi dell’art. 2393, co. 1 c.c., l’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa “in seguito a deliberazione dell’assemblea” e, in linea di principio, tale norma deve ritenersi applicabile anche alla s.r.l. a socio unico. Tuttavia, in quest’ultimo caso, qualora la società sia senza sindaci e qualora l’unico socio ricopra altresì la carica di amministratore unico, può ritenersi non indispensabile una formale delibera assembleare che autorizzi l’amministratore a proporre l’azione, ben potendo tale autorizzazione ravvisarsi (in re ipsa) nel conferimento della procura alle liti al proprio difensore.

Inammissibilità del ricorso volto a ottenere la nomina di un amministratore provvisorio di una società di capitali

Nessuna norma attribuisce al tribunale il potere di procedere alla nomina dell’amministratore di una società di capitali allorquando l’assemblea non vi provveda. Invero, allorché l’assemblea sia impossibilitata ad adottare delibere indispensabili per la prosecuzione dell’attività societaria o sia continuativamente inattiva, ricorre a ben vedere la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 3, c.c. che rende necessaria la relativa iscrizione e la nomina di un liquidatore, rispetto alla quale – nell’inerzia dell’assemblea – è previsto invece il potere sostitutivo del tribunale ai sensi dell’art. 2487 c.c. Tuttalpiù, il tribunale ha il potere di procedere alla nomina di un amministratore giudiziario nell’ambito del procedimento ex art. 2409 c.c., allorquando sussistano le gravi irregolarità gestorie denunciate dalla minoranza.

24 Marzo 2022

Diritto del socio non amministratore di s.r.l. di consultare la documentazione sociale

L’art. 2476, co. 2, c.c. prevede espressamente il diritto in capo al socio non amministratore di s.r.l. di accedere alla documentazione sociale, quale manifestazione di un potere di controllo in capo ai singoli soci, in collegamento con la loro legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità e, più in generale, a garanzia della facoltà dei soci non amministratori di verificare il corretto e fisiologico svolgimento dell’attività gestoria.

Quanto alle modalità dell’esercizio del diritto riconosciuto ex lege, al socio spetta di ricevere informazioni sullo svolgimento dell’attività della società resistente e il diritto di consultare i libri sociali e la documentazione attinente all’amministrazione della società, non invece il diritto a procedere autonomamente ad atti di ispezione, sicché l’esercizio del diritto di cui all’art. 2476, co. 2, c.c. presuppone necessariamente la collaborazione degli organi sociali o dei professionisti preposti alla conservazione delle scritture contabili.

In generale, l’esercizio del diritto di consultazione deve essere improntato al principio della buona fede, rappresentante canone generale nell’esecuzione del contratto sociale e al quale deve essere ricondotto altresì l’esercizio del diritto in discussione.

23 Marzo 2022

Giusta causa e specificità delle clausole di esclusione del socio di s.r.l.

Il socio di società a responsabilità limitata può essere escluso dalla compagine sociale solo nell’ipotesi prevista per il caso in cui il socio sia moroso rispetto al suo obbligo di conferimento e, comunque, solo successivamente all’esperimento infruttuoso del procedimento di cui all’art. 2466, 2° e 3° comma, c.c. o, alternativamente, al ricorrere delle circostanze previste dallo statuto.

La possibilità di introdurre statutariamente delle clausole di esclusione dei soci di s.r.l. richiede che venga rispettato il requisito, oltre che della giusta causa, anche della specificità.

Pertanto, deve ritenersi illegittima per mancanza di specificità la clausola di esclusione che riproduce l’art. 2286, 1° comma, c.c., nella parte in cui recita: “l’esclusione di un socio può aver luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale”, mancando il rispetto del requisito della specificità in quanto dall’atto costitutivo devono emergere con chiarezza e precisione quali sono le obbligazioni sociali (o, comunque, i suddetti comportamenti, a carico) del socio.