14 Febbraio 2022

Natura e prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore

L’azione esperita dal curatore del fallimento, prevista dall’art. 146 l. fall., ha una duplice natura: ha natura contrattuale l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori, sindaci e revisori esercitata a tutela della società, e natura extracontrattuale, l’azione a tutela dei creditori sociali, con tutte le conseguenze in tema di onere della prova. E infatti, con riguardo all’azione di responsabilità contrattuale, ove il curatore fallimentare deduca l’irregolare tenuta della contabilità e la distrazione di ingenti risorse della società, sarà onere dei convenuti provare l’adempimento agli obblighi su ciascuno gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi. Con riguardo, invece, all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dai convenuti, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo.

Nell’ambito dell’azione di responsabilità contro gli amministratori, non è consentito sindacare il c.d. merito gestorio, poiché l’obbligazione contratta dagli stessi è di natura professionale, si tratta di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purchè questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.

Le azioni di responsabilità verso amministratori e sindaci si prescrivono in cinque anni a norma dell’art. 2949 c.c. Tale termine decorre dal compimento della condotta lesiva, per i sindaci, e dalla cessazione della carica, per gli amministratori, in virtù della sospensione del decorso del termine di prescrizione delle azioni rivolte a questi ultimi per tutta la durata dell’incarico, prevista dall’art. 2941, n. 7, c.c. L’azione dei creditori sociali, che pure il curatore è legittimato ad esercitare unitamente all’azione sociale di responsabilità, presuppone poi la conoscibilità delle condizioni per la sua proposizione, dunque l’emersione dell’incapienza patrimoniale della società che legittima i creditori all’esercizio dell’azione di responsabilità in oggetto, in applicazione del principio generale espresso dall’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Occorre, quindi, guardare non già al momento in cui l’insufficienza patrimoniale si verifica, ma a quello in cui si manifesta, diventando oggettivamente conoscibile da parte dei creditori, alla stregua di fatti sintomatici di assoluta evidenza. In difetto della prova del fatto obiettivo che avrebbe reso conoscibile l’incapienza ai creditori sociali prima del fallimento (prova di cui sono onerati i convenuti), si presume che tale conoscibilità coincida con il fallimento della società.

Le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale; è, altresì, necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e, cioè, dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società.

In caso di condotte distrattive degli amministratori di società di capitali, potenzialmente fonte di responsabilità penale degli stessi per bancarotta fraudolenta, anche all’azione civile si applica il più lungo termine di prescrizione del reato decorrente dal giorno in cui è divenuta conoscibile l’incapienza patrimoniale della società, essendo a tal fine sufficiente l’astratta configurabilità del reato in relazione alla condotta lesiva ascritta agli amministratori medesimi.

14 Febbraio 2022

Legittimazione attiva all’accertamento della violazione della postergazione legale dei finanziamenti dei soci

Il liquidatore non è legittimato a dolersi della presunta violazione della postergazione legale dei finanziamenti dei soci, essendo un fatto neutro, per la società, la destinazione di risorse al pagamento di un debito sociale, piuttosto che di un altro. In relazione a tale domanda, dunque, difetta la legittimazione attiva del liquidatore, che agisce esclusivamente nell’interesse della società, trattandosi di tutela apprestata in favore dei creditori sociali. Soltanto al Curatore fallimentare, infatti, è riconosciuta la peculiare legittimazione ad agire nell’interesse della società ed anche dei creditori sociali, in quanto rappresentante della massa dei creditori, giacchè, com’è noto, l’azione di responsabilità prevista ex art. 146 l. fall. cumula le due azioni previste ex art. 2476 c.c., commi 3 e 6, per le s.r.l., nonché dagli artt. 2393 e 2394 c.c. per le s.p.a., come pure espressamente previsto ex art. 2394-bis c.c.

14 Febbraio 2022

Responsabilità dell’amministratore nei confronti del terzo e responsabilità del liquidatore ex art. 2495 c.c.

In tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali nei confronti del terzo (ex art. 2395 c.c. nelle s.p.a. ed ex art. 2476, co. 7, c.c. nelle s.r.l.), l’inadempimento contrattuale della società può al contempo integrare gli estremi di un illecito extracontrattuale imputabile ai suoi amministratori in danno dell’altro contraente, riconducibile all’alveo dell’art. 2043 c.c., sebbene non si tratti di una conseguenza automatica. Ai fini dell’azione individuale di responsabilità è irrilevante che il comportamento dell’amministratore sia stato conforme agli interessi della società o a vantaggio di questa.

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente, atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova della condotta dolosa o colposa degli amministratori, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente.

In tema di liquidazione di società di capitali, la responsabilità del liquidatore verso i creditori sociali prevista dall’art. 2495 c.c. ha natura aquiliana, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto di dedurre ed allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della par condicio creditorum.

12 Febbraio 2022

Il danno imputato all’amministratore deve essere provato in relazione alla sussistenza e alla causalità.

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, secondo comma, legge fall., la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

8 Febbraio 2022

Responsabilità di amministratori e sindaci per aggravamento del dissesto

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali.

In ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

Pur in assenza di un’espressa previsione normativa, esigenze di coerenza sistematica inducono a ritenere che anche agli amministratori di s.r.l. sia richiesta una diligenza di carattere professionale, determinata in funzione della natura dell’incarico e delle loro specifiche competenze, così come previsto per le s.p.a. all’art. 2392 c.c. La responsabilità degli amministratori verso la società si configura quale responsabilità risarcitoria, di natura contrattuale, che grava in solido su tutti gli amministratori. Spetta agli amministratori, dunque, provare con riferimento agli addebiti contestati l’osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c., con la conseguenza che gli amministratori dotati di deleghe (cc.dd. operativi) – ferma l’applicazione della business judgment rule – rispondono non già con la diligenza del mandatario, ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art. 1176, co. 2, c.c. Quanto all’azione dei creditori sociali, per la quale il curatore è legittimato straordinario ai sensi dell’art. 2394 bis c.c., essa si fonda sulla violazione da parte degli amministratori del dovere di conservare l’integrità del patrimonio sociale, quale garanzia generica dell’adempimento delle obbligazioni verso i terzi (art. 2740 c.c.). Essa ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.

In tema di criterio applicabile alla quantificazione del danno nel casi di azione di responsabilità esercitata dal curatore nei confronti dell’amministratore, l’inadempimento di specifici obblighi (quali la distrazione di alcuni beni sociali, la mancata redazione di due bilanci di esercizio e delle relative dichiarazioni fiscali e l’omessa tenuta delle scritture contabili) non giustifica di per sé la determinazione del danno risarcibile nella misura della differenza tra il passivo e l’attivo, che può integrare un parametro per la liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. La mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili addebitabile all’amministratore della società, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizione, sempreché il ricorso ad esse, in ragione delle circostanze del caso concreto, sia logicamente plausibile e sia stato, comunque, allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentando, con specifica indicazione delle ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

Il criterio c.d. della differenza dei netti patrimoniali consiste nella comparazione dei patrimoni netti, determinati secondo criteri di liquidazione previa, se del caso, rettifica delle voci di bilancio scorrette, registrati alla data della (doverosa) percezione del verificarsi della causa di scioglimento da parte degli organi sociali e alla data di messa in liquidazione della società (o di fallimento della stessa). Il danno in termini di “perdita incrementale netta” consente di apprezzare in via sintetica, ma plausibile, l’effettiva diminuzione subita dal patrimonio della società (dunque, il danno per la società e per i creditori) per effetto della ritardata liquidazione.

8 Febbraio 2022

Invalidità delle decisioni dei soci di s.r.l.

L’illegittima formazione delle maggioranze ai fini delle decisioni dei soci nella s.r.l. non costituisce in ogni caso vizio di nullità, ma di mera annullabilità della delibera. La nullità è, infatti, prevista soltanto per il caso di decisioni aventi oggetto illecito o impossibile oppure prese in assenza assoluta di informazioni (art. 2479 ter, co. 3, c.c.) oppure che dispongono modifiche dell’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite. Per tutte le decisioni che non sono state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo è, invece, dettato (art. 2479 ter, co. 1, c.c.) il regime della annullabilità.

2 Febbraio 2022

Nullità della delibera, omissione di una posta attiva dal bilancio

La mancanza totale di convocazione assembleare di una s.r.l. rientra nell’ipotesi di “assenza assoluta di informazione” di cui all’art. 2479-ter, co. 3 c.c., che comporta la sanzione della nullità della delibera, rilevabile dal giudice anche d’ufficio, pure in difetto di una previsione espressa, diversamente dai vizi che inficiano la convocazione effettivamente eseguita, determinanti l’annullabilità della decisione: e ciò in quanto la completa carenza di convocazione dell’assemblea riecheggia, in materia di s.r.l., l’analoga previsione di nullità contenuta, per le deliberazioni assembleari delle s.p.a., nell’art. 2379, co. 1 c.c.

L’oggetto di una delibera assembleare è illecito ex art. 2479-ter, co. 3 c.c. laddove il contenuto della stessa contrasti con norme dirette a tutelare interessi generali o ad impedire una deviazione dallo scopo economico-pratico del rapporto di società. Le norme inderogabili volte a presidiare la chiarezza e la precisione del bilancio contengono precetti dettati, oltre che nell’interesse dei singoli soci, anche a tutela dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente. Si tratta, dunque, di norme la cui osservanza è strumentale alla tutela di interessi generali. La loro violazione integra, quindi, un’ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto ex art. 2479-ter, co. 3 c.c.

In questo senso, la totale e ingiustificata omissione di una posta attiva confligge con il principio della c.d. continuità dei valori contabili di bilancio, sancito dall’art. 92 D.P.R. n. 917/1986 e dall’art. 2423-bis, n. 6 c.c., secondo cui il bilancio del nuovo esercizio di una società di capitali deve partire dai dati di chiusura di quello relativo all’anno precedente, non potendosi altrimenti ritenere che siano stati rispettati i principi di veridicità e correttezza di cui all’art. 2423, co. 2 c.c.

Agli effetti del tentativo di conciliazione prescritto dallo statuto, la nullità della delibera impugnata per illiceità dell’oggetto è da considerarsi diritto indisponibile, assorbente rispetto ai temi concernenti i vizi di invalidità della decisione eventualmente sanabili ex art. 2379-bis c.c. (come la mancata convocazione dell’assemblea).

31 Gennaio 2022

Abuso della maggioranza e aumento del capitale senza sovrapprezzo

L’abuso del diritto di voto da parte del socio maggioranza che determina l’annullabilità della deliberazione assembleare si configura allorché il socio eserciti consapevolmente il suo diritto di voto in modo tale da ledere le prerogative degli altri soci senza perseguire alcun interesse sociale, in violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto sociale.

La previsione dell’aumento di capitale “alla pari” cioè senza la previsione del sovrapprezzo corrispondente al maggior valore del patrimonio sociale rispetto al capitale nominale non può costituire sintomo di abuso della maggioranza, in presenza della previsione del diritto di opzione a favore di tutti i soci

31 Gennaio 2022

Natura dell’azione di responsabilità ex art. 2476, sesto comma, c.c. (ora rubricato al settimo comma)

L’art. 2476, sesto comma, c.c., (ora rubricato al settimo comma) che al pari dell’art. 2395 c.c. attribuisce al singolo socio o al terzo l’azione individuale di responsabilità per far valere il diritto al risarcimento del danno direttamente cagionato nella loro sfera giuridica dagli atti dolosi o colposi degli amministratori, configura una responsabilità di tipo extracontrattuale, con la conseguenza che grava sul danneggiato l’onere di provare, innanzitutto, il fatto illecito addebitato all’amministratore e, quindi, il pregiudizio che ne è direttamente derivato nel suo patrimonio (nel caso di specie gli amministratori hanno dolosamente programmato l’inadempimento degli impegni assunti con la banca attrice sulla base del contratto di anticipazione su crediti commerciali, dirottando i pagamenti dei clienti su altro conto corrente bancario dopo aver ricevuto l’accredito del finanziamento).

27 Gennaio 2022

Criteri di liquidazione del danno nell’azione di responsabilità dell’amministratore. La prova della simulazione da parte del curatore

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento.

La sola mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili è circostanza in sé non dirimente, ma, in un quadro più complesso di gravi inadempienze, colora ulteriormente la condotta dell’amministratore (an) in termini di ampiezza, avvalorando la sussistenza di una condotta generalizzata idonea a porsi come causa del danno lamentato, suscettibile di essere liquidato per via equitativa ove la detta mancata o irregolare tenuta delle scritture sociali impedisca l’accertamento degli specifici effetti dannosi. In coerenza a ciò, il giudice, quando si avvalga del criterio equitativo per la quantificazione del danno, deve indicare le ragioni per le quali, da un lato, l’insolvenza sarebbe stata conseguenza delle condotte gestionali dell’amministratore e, dall’altro, l’accertamento del nesso di causalità materiale tra queste ultime ed il danno allegato sarebbe stato precluso dall’insufficienza delle scritture contabili sociali.

Il criterio del c.d. differenziale dei netti patrimoniali trova utilizzo nei casi in cui sia possibile ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e concludere che, nel caso in cui la gestione caratteristica non fosse proseguita sino al momento dell’apertura del concorso dei creditori, ma fosse cessata prima, la perdita di patrimonio sociale sarebbe stata inferiore. In tali ipotesi l’antigiuridicità della condotta degli amministratori discende dai principi dettati dall’art. 2447 c.c., che impone, unitamente a quelli di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., la convocazione dell’assemblea dei soci per l’adozione di una delibera “salvifica” (trasformazione o ricapitalizzazione), o, in difetto, la messa in liquidazione della società, in tutti i casi in cui la perdita di esercizio abbia l’effetto di ridurre il capitale sociale al di sotto dei limiti fissati dalla legge.

Il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore ai sensi dell’art 2393 c.c. – sia che derivi da responsabilità per illecito contrattuale, sia che si ricolleghi a responsabilità extracontrattuale, sia, infine, che si configuri più genericamente come effetto di responsabilità ex lege, e tanto se si tratti di danno emergente come di lucro cessante – riveste natura di debito di valore e non di debito di valuta, il quale è, pertanto, sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione, ancorché il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare dello stesso, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo.

Nel giudizio in cui eserciti l’azione di simulazione spettante al contraente fallito, il curatore stesso cumula la legittimazione già spettante al fallito con quella già spettante ai creditori, agendo pertanto, come terzo quoad probationis. Pertanto, la prova della simulazione da parte del curatore è pienamente ammessa senza limiti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1416, co. 2, e 1417 c.c. e, dunque, sia a mezzo testimoni che per presunzioni.