12 Ottobre 2023

La perdita della continuità aziendale non costituisce una causa di scioglimento (ex art. 2484, n. 2, c.c.)

L’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale deve essere attuale, definitiva e irreversibile, dunque tale da rendere inutile la permanenza del vincolo sociale. L’ oggetto sociale cui l’art. 2484, co. 1, n. 2, c.c. si riferisce deve identificarsi nell’attività economica che la società in statuto ha dichiarato di svolgere (art. 2328, co. 2, n. 3, c.c.). Viceversa, non rientra nella fattispecie la sopravvenuta impossibilità di conseguire – non già l’oggetto ma – lo scopo generale di ogni società commerciale, cioè la realizzazione di un profitto (art. 2247 c.c.). Invero, lo scopo della società non può essere confuso con l’attività prevista per conseguirlo non solo per la generale eterogeneità di questi concetti, ma perché lo stesso legislatore opera molto chiaramente la distinzione, sia negli artt. 2328, n. 3, 2463, n. 3, 2437, lett. a, c.c., in cui si parla espressamente di “attività”, sia, soprattutto, nell’art. 2497 quater, lett. a, c.c., dove si pone in alternativa una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale, con una delibera della modifica dell’oggetto sociale che consenta l’esercizio di attività che alterino le condizioni economico-patrimoniali della società eterodiretta. Pertanto, l’esercizio diseconomico dell’attività sociale è estraneo all’area applicativa della fattispecie di scioglimento di cui si discorre.

I connotati della fattispecie di scioglimento di cui all’art. 2484, co. 1, n. 2, c.c. sono incompatibili con quella di mancanza di continuità aziendale, come definita generalmente dallo IAS n. 1 e dal Principio di Revisione n. 570. La continuità aziendale è considerata, in relazione al disposto dell’art. 2423 bis, co. 1, n. 1, c.c., quale presupposto, di natura prospettica, di valutazione delle voci di bilancio. Essa consiste nella capacità dell’impresa di continuare a operare come una impresa in funzionamento, dunque in presenza di alternative realistiche alla liquidazione. Se si confronta la nozione di continuità aziendale quale risultante dalle fonti di prassi contabile (IAS n. 1 e dal Principio di Revisione n. 570) e la fattispecie normativa di cui all’ art. 2484, co. 1, n. 2, c.c., ci si avvede del fatto che la perdita del going concern non costituisce una causa di scioglimento.

La fattispecie di scioglimento attiene a una valutazione circa una situazione attuale, definitiva ed irreversibile in cui versa la società, mentre la valutazione circa la sussistenza o la mancanza di continuità aziendale è di natura prospettica, cioè, ha a che fare con previsioni circa il futuro della società in un determinato arco temporale (12 mesi) e, come tale, attiene ad una situazione non definitivamente cristallizzata ed invece tipicamente reversibile. Si tratta di prospettive valutative non compatibili tra loro. Inoltre, nella fattispecie di continuità aziendale rientrano fattori di natura e tipologia disparate, molti dei quali ictu oculi estranei al tema della possibilità/impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

Le fattispecie descritte dall’art. 2484 c.c. sono tipiche e, come tali, esprimono un’esigenza di certezza incompatibile con la natura stessa della valutazione sulla continuità aziendale come connotata nei principi contabili in termini di dubbio significativo, connotazione peraltro che ben si accorda con la natura prognostica della valutazione. Può accadere che un evento considerato quale “indicatore” utilizzabile per la valutazione circa la sussistenza del presupposto della continuità aziendale possa, di fatto e in concreto, determinare la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. Così è, ad esempio, per eventi catastrofici non adeguatamente assicurati o per la revoca di autorizzazioni amministrative a svolgere l’attività oggetto della società. Tuttavia, in tal caso, è giuridicamente irrilevante, ai fini qui considerati, che esso evento determini il venir meno della continuità aziendale, essendo invece rilevante che determini la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. E, come tale, esso deve essere specificamente allegato e provato dall’attore che deduce il suo verificarsi come causa di scioglimento della società. Cioè, a fronte di una fattispecie così ampia e tutt’altro che tassativa descritta dalle fonti di prassi contabile, è irrilevante o addirittura fuorviante riferirsi ad essa quando si pretenda l’applicazione di norme che assumono a fattispecie rilevante eventi determinati, linguisticamente designati da significanti diversi, la cui sussistenza o meno bensì rileva ma del tutto indipendentemente dalla circostanza che essi siano eventualmente qualificabili anche in termini di perdita di continuità aziendale. Così è, ad esempio, per l’insufficienza patrimoniale di cui all’art. 2394 c.c., per la discesa del capitale sociale sotto il minimo legale di cui all’art. 2484, co. 1, n. 4, c.c., per il dissesto di cui art. 217, co. 1, n. 4, l.fall. (art. 217, co. 1, n. 4, c.c.i.), per l’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall. (art. 2, lett. b, c.c.i.). Così è anche per la situazione di “definitiva perdita della continuità aziendale”, di individuazione pratica e priva di referente normativo preciso, quando, come spesso accade, riferita ad un disequilibrio finanziario tale che l’attività svolta risulterebbe irreversibilmente programmata alla distruzione di ricchezza e alla traslazione del rischio di impresa sui creditori o sia fotografata da bilanci prospettici che presentano cash flow negativi e in presenza di indici economico-finanziari negativi dai quali emergerebbe che l’impresa non è più in condizioni di continuare a realizzare le proprie attività. In tali casi la “definitiva perdita di continuità aziendale” o si risolve in realtà nelle diverse fattispecie normativamente previste di insufficienza patrimoniale, perdita del capitale sociale, insolvenza, dissesto, oppure, ma con diversa rilevanza rispetto al passato, si identifica in una manifestazione di quella prevista dall’art. 2086, co. 2, c.c., che tuttavia non riguarda lo scioglimento della società.

La sistematica del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza conferma il quadro interpretativo appena descritto. Invero, la fattispecie di perdita della continuità aziendale è posta dai principi fondanti previsti in materia – quelli stabiliti dal nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c. – a presupposto dell’obbligo di reazione degli amministratori, in forma di adozione ed attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento, in vista del recupero della continuità aziendale. Con il ché è ribadita sia la natura prognostica del relativo giudizio che la sua reversibilità, connotati questi propri anche del concetto di crisi aziendale, quale definito dall’art. 2, lett. a, c.c.i.

Il concetto normativo di crisi assorbe in sé molti, se non tutti, i parametri finanziari che i principi contabili ascrivono alla continuità aziendale. Se ne ricava che, sul piano normativo, la situazione di perdita di continuità aziendale è definibile per sottrazione dai parametri, criteri e indicatori previsti dai principi contabili e di revisione, di tutte quegli eventi/situazioni di natura finanziaria che oggi vanno ricondotti alla fattispecie “crisi” di cui all’art. 2, lett. a, c.c.i. Ugualmente, situazioni deficit patrimoniale o capitale ridotto al di sotto dei limiti legali andranno ascritte non già alla fattispecie perdita di continuità aziendale, essendo piuttosto da ricondurre alla fattispecie di cui all’art. 2484, co. 1, n. 4, c.c. Né si tratta di distinzioni nominalistiche o inutili, poiché alle diverse fattispecie sopra indicate sono collegate discipline ben diverse in relazione ai poteri e doveri degli amministratori, dei sindaci, dei soci, con altrettanto diverse discipline delle loro responsabilità risarcitorie.

La lettera delle innovazioni apportate dal codice della crisi all’art. 2484, co. 1, c.c. conferma ulteriormente, a contrario (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), la superiore ricostruzione ermeneutica. È stata aggiunta una fattispecie ulteriore di scioglimento della società data dalla apertura delle procedure di liquidazione giudiziale e controllata (n. 7 bis). Orbene, considerata l’importanza conferita alla situazione di perdita della continuità aziendale nella sistematica del diritto della crisi e la considerazione della liquidazione come extrema ratio, sembra ovvio inferirne che, se il legislatore avesse voluto fare anche della prima una causa di scioglimento della società l’avrebbe detto, inserendo un’altra ipotesi oltre l’unica invece aggiunta. Tale argomento ben si accorda con l’intenzione del legislatore, essendo del tutto disfunzionale, in vista del recupero della continuità aziendale, prevedere che quando essa fosse persa, la società versi in stato di scioglimento, con il conseguente sorgere, in capo agli amministratori, non solo dell’obbligo di attuazione di uno degli strumenti di soluzione della crisi previsti a quel fine, ma anche dell’innesco della fase liquidatoria ex artt. 2485 e ss. c.c., comportante di per sé dissoluzione di ricchezza ed assai più difficilmente reversibile ex art. 2487 ter c.c.

28 Settembre 2023

Legittimazione attiva e passiva nel reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione

Alla proposizione del reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione di cui all’art. 2492, co. 3, c.c. sono legittimati attivamente anche i componenti del collegio sindacale; quanto alla legittimazione passiva, essa deve riconoscersi in capo solo ai liquidatori e non già alla società.

Nel caso in cui sia proposto reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione (o sia proposta l’azione impugnativa del bilancio sociale), nel caso in cui, nel corso del giudizio, il bilancio sia revocato dall’assemblea dei soci e di tale fatto sia dato atto solo da una parte, non può dichiararsi cessata la materia del contendere, bensì dev’essere rilevata la sopravvenuta carenza di interesse ad agire in capo agli attori, poiché la pronuncia di nullità/annullabilità di un bilancio ormai revocato è inidonea a spiegare alcun effetto utile alla parte che ha proposto la domanda. Invero, la cessione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e non può essere dichiarata laddove la sopravvenienza del fatto sia dedotta da una sola parte e l’altra non aderisca a tale prospettazione.

17 Agosto 2023

Nullità del bilancio finale di liquidazione redatto in violazione del principio di chiarezza

Nonostante il codice civile non contenga indicazioni specifiche, il principio contabile OIC 5 indica alcune metodologie utili al fine di una corretta redazione del bilancio finale di liquidazione. Nello stesso si precisa che il bilancio deve contenere lo stato patrimoniale ed il conto economico, per quanto in forma ridotta o completa a seconda della complessità della società, nonché delle esigenze di rendicontazione che caso per caso il liquidatore affronta nell’esecuzione del proprio compito. In relazione alla nota integrativa, nel documento OIC 5 è precisato che il bilancio finale di liquidazione debba essere corredato, come i bilanci intermedi, di una nota integrativa e di una relazione sulla gestione e che un possibile elemento di novità rispetto alle informazioni normalmente richiamate per la nota integrativa dei bilanci intermedi è rappresentato dal necessario approfondimento che si rende indispensabile nel caso di sussistenza nello stato patrimoniale finale di liquidazione di elementi attivi e passivi non ancora realizzati/estinti, ciò per l’eventuale presenza di assegnazioni di beni in natura ai soci o per esposizioni debitorie non ancora estinte. Appare quindi rilevante una corretta e chiara redazione della nota integrativa anche nel bilancio finale di liquidazione, viste le possibili variazioni di poste – in particolare, con riferimento a debiti non ancora estinti –, che possono pregiudicare una corretta interpretazione del bilancio da parte dei soci o dei terzi.

Ai sensi dell’art. 2495 c.c., vige in capo al liquidatore un vero e proprio obbligo di chiedere la cancellazione della società al termine del procedimento di liquidazione, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione. I soci hanno la possibilità di impugnare detto bilancio finale di liquidazione nel termine di 90 giorni, come previsto dall’art. 2492, co. 3, c.c., e la vera e propria iscrizione della cancellazione avverrà solo nel caso in cui il conservatore non riceva notizia della presentazione di reclami da parte del cancelliere. La cancellazione, dunque, una volta depositato il bilancio finale di liquidazione e una volta che esso non sia impugnato, non può essere subordinata ad altri eventi.

A seguito dell’estinzione della società si determina un fenomeno di tipo successorio, nel quale le obbligazioni della società non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci, i quali, quanto ai debiti sociali, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate, mentre, quanto alle sopravvenienze attive, si determina un acquisto in comunione tra i soci dei diritti e dei beni non compresi nel bilancio finale di liquidazione, escluse le mere pretese e le ragioni creditorie incerte, la cui mancata liquidazione manifesta rinuncia.

29 Giugno 2023

La responsabilità del liquidatore: natura e onere della prova

Giusto il disposto di cui all’art. 2489 c.c., il liquidatore ha il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società e risponde per gli eventuali danni derivanti dall’inosservanza di tale dovere, nonché di quello di adempiere i propri doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico, secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori, con le relative conseguenze in punto di riparto dell’onere della prova.

L’omessa tenuta o conservazione delle scritture contabile è condotta che non può essere assunta, in sé stessa, quale fonte di un diritto al risarcimento ove non si dimostri che essa è stata causa di violazioni che hanno prodotto un danno alla società, ai creditori o ai terzi, indicando le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

29 Maggio 2023

Disciplina applicabile alle società cestistiche professionistiche

L’art. 142, co. 2, del Regolamento Organico FIP – per il quale in caso di scioglimento, di revoca della affiliazione o di mancato rinnovo della stessa, delle obbligazioni assunte dalla società verso la Federazione Italiana Pallacanestro e i suoi organi, le società e i terzi affiliati o tesserati rispondono altresì in solido tra loro il presidente o legale rappresentante della società e i membri del consiglio direttivo – è una norma applicabile soltanto alle società cestistiche dilettantistiche. Invece, sia per motivi di ordine letterale e logico avuto riguardo ai commi 3 e 4 del suddetto art. 142, sia in ragione dell’esigenza sistematica di rispettare i principi generali in tema di responsabilità dei soci nelle società di capitali, per le società cestistiche appartenenti al settore professionistico lo scioglimento e la messa in liquidazione sono regolate dalle norme del codice civile e dalle disposizioni di legge in materia, che dovranno essere richiamate negli statuti societari.

25 Maggio 2023

I limiti alla responsabilità patrimoniale dei soci dopo l’estinzione della società (fallita)

Una volta terminata la liquidazione con il deposito del bilancio finale, alla cancellazione dal registro delle imprese dell’ente consegue, con effetto costitutivo, l’estinzione dell’ente stesso, sicché i rapporti ancora pendenti devono essere regolati secondo un meccanismo che ben può definirsi, sia pure in senso lato, successorio, in forza del quale alla società – orami estinta irreversibilmente – subentrano i (cessati) soci. In tale evenienza: le obbligazioni della società si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta; non si trasferiscono ai soci le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.

Nel caso di liquidazione volontaria, ricevendo i soci una eventuale somma di denaro in sede di bilancio finale di liquidazione, ed essendo il denaro il bene fungibile per eccellenza, non si pone alcun problema di separazione patrimoniale e i creditori possono pretendere dai soci il pagamento dei crediti verso la società estinta nei limiti delle somme effettivamente ricevute dai soci. Di contro, nel caso in cui manchi un bilancio finale di liquidazione e i soci, in conseguenza della cancellazione della società, diventino proprietari di beni specifici, i creditori potranno aggredire esclusivamente tali beni ai fini del soddisfacimento del proprio credito.

17 Maggio 2023

Successione nei rapporti pendenti dopo la cancellazione della società

Terminata la liquidazione con il deposito del bilancio finale, alla cancellazione dal registro delle imprese della società consegue, con effetto costitutivo, l’estinzione dell’ente stesso, sicché i rapporti ancora pendenti devono essere regolati secondo un meccanismo che può definirsi, in senso lato, successorio, in forza del quale alla società estinta subentrano i (cessati) soci. Il fenomeno successorio non necessita di alcuna manifestazione di adesione o consenso da parte dei soggetti interessati.

La disciplina societaria ammette, sia pur implicitamente, la possibilità della cancellazione di una società anche in presenza di attivo, dal momento che l’art. 2490, co. 6, c.c. prevede la cancellazione d’ufficio delle società che non hanno depositato per tre anni consecutivi il bilancio, sicché il fenomeno lato sensu successorio si pone come unico strumento, fra quelli rinvenibili nel nostro ordinamento, idoneo a regolare i rapporti ancora pendenti al momento dell’estinzione dell’ente e a fornire adeguata tutela all’interesse dei terzi a disporre di un criterio certo per l’individuazione del soggetto (persona fisica o giuridica) cui fare riferimento per la gestione di tali rapporti.

15 Maggio 2023

Effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese

La cancellazione delle società di persone o di capitali dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo. La situazione delle società di persone si differenzia da quella delle società di capitali, a tale riguardo, solo in quanto l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto che le cancella ha valore di pubblicità meramente dichiarativa, superabile con la prova contraria. Tuttavia, tale prova contraria non potrebbe vertere sul solo dato storico della pendenza di rapporti non ancora definiti facenti capo alla società perché ciò condurrebbe ad un risultato corrispondente alla situazione preesistente alla riforma societaria. Per superare la presunzione di estinzione occorre invece la prova di un fatto dinamico: che la società abbia continuato in realtà ad operare e, dunque, ad esistere pur dopo l’avvenuta cancellazione dal registro.

A seguito dell’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci. Ciò in quanto l’estinzione dell’ente è equiparabile alla morte della persona fisica, quindi i soci sono successori. Inoltre, qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, cosicché si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, benché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore, giudiziale o stragiudiziale, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.

Responsabilità del liquidatore di s.r.l. nei confronti dei creditori sociali

La natura della responsabilità del liquidatore nei confronti del creditore rimasto insoddisfatto ex art. 2495 c.c. è di natura tipicamente extracontrattuale, con la conseguenza che il creditore che agisce in giudizio ha l’onere di provare: i) l’esistenza del credito; ii) l’inadempimento di esso da parte della società; iii) la condotta dolosa o colposa del liquidatore che si sostanzia nel mancato adempimento, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, dei doveri legali e statutari; iv) il nesso di causalità tra tale condotta e il mancato soddisfacimento del credito.

3 Maggio 2023

La violazione dell’obbligo di gestione conservativa da parte dell’organo amministrativo

Qualora si verifichi una perdita del capitale sociale l’organo amministrativo deve agire al solo fine di preservare la conservazione del capitale sociale nella prospettiva della liquidazione, ovvero presentare istanza di fallimento. Devono pertanto ritenersi violati i canoni cui deve attenersi l’organo amministrativo dal momento in cui si verifica una causa di scioglimento della società nel caso in cui l’attività di impresa sia continuata nonostante la perdita del capitale sociale.