6 Agosto 2018

Società in house: requisiti e giurisdizione

La Corte dei conti ha giurisdizione sull’azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso la Corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società “in house”, così dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici (così anche SS.UU 26283/13).

Il requisito del “controllo analogo”, necessario per qualificare una società come “in house”, non allude all’influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull’assemblea della società e di riflesso sulla scelta degli organo sociali; si tratta invece di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità ed intensità tali da non essere riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile e capaci di spingersi sino al punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale. Si tratta, dunque, di una situazione di vera e propria subordinazione gerarchica rispetto all’ente pubblico, secondo un assetto di poteri che va ben al di là del fenomeno della eterodirezione ex art 2497 cc anche per l’impossibilità stessa di individuare nella società un centro di interessi davvero distinto rispetto all’ente pubblico che l’ha costituita e per il quale essa opera. Ne deriva pertanto che la giurisdizione della Corte del Conti va riconosciuta solo quando possa dirsi superata l’autonomia della personalità giuridica rispetto all’ente pubblico (così anche  SS.UU 5491/14)

Il “controllo analogo” deve trovare il proprio fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale, mentre restano irrilevanti le concrete prassi operative seguite nel tempo, in quanto dato di per sé inidoneo a definire un vincolo di formale e precostituito assoggettamento degli amministratori immediatamente rilevante in diritto.

In caso di azione di responsabilità sociale, la valutazione dei requisiti affinché la società sia qualificabile come “in house”  deve fare riferimento all’assetto che la società aveva all’epoca della consumazione delle condotte oggetto di contestazione e dunque, essenzialmente, allo statuto vigente all’epoca dei fatti per cui è causa.

Al fine della valutazione della sussistenza dei requisiti per qualificare una società come “in house” (e in particolare per il requisito della sussistenza di forme di controllo sulla gestione analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici) non è sufficiente che tale dicitura sia indicata all’interno dello statuto sociale. La mera definizione unilateralmente adottata dai soci, infatti, se può valere ad avviare l’esame della fattispecie concreta, non può sostituire una mirata disamina dell’effettivo assetto di poteri definito dalla statuto.

Non può considerarsi “in house” per difetto del requisito del “controllo analogo” una società il cui statuto riporti una clausola del seguente tenore:  “il CdA è investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società, senza alcuna eccezione, ed ha facoltà di compiere tutti gli atti ed operazioni che ritenga necessari ed opportuni per l’attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali, esclusi soltanto quelli che la Legge e lo Statuto sociale riservano espressamente all’assemblea”. Simili clausole, infatti, riconoscono ampi poteri agli amministratori in linea con l’art 2380 bis c.c. e, pertanto, in assenza di strumenti specificamente rivolti – ed effettivamente idonei – ad assicurare l’esercizio di un vero e proprio potere gerarchico sull’operato degli amministratori, questi ultimi possono al più essere soggetti a un generale potere di “direzione e coordinamento” inidoneo alla effettiva configurabilità di una “società in house”.

Deve considerarsi valida e vincolante la clausola contenuta nello statuto sociale con cui si prevede la possibilità per la società e soci di attivare un’azione sociale responsabilità nei confronti dei sindaci soltanto dopo che è divenuta definitiva una sentenza di condanna nei confronti degli amministratori per i medesimi fatti.

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Chiara Presciani

Chiara Presciani

Laurea in giurisprudenza con 110 e lode presso l'Università degli studi di Bergamo Dottorato di ricerca in Diritto Commerciale (XXIX ciclo) presso l'Università degli studi di Brescia. Avvocato iscritto all'Ordine di...(continua)

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