Autoattribuzione di uno specifico compenso per la carica di amministratore delegato
Vìola la disciplina dettata in materia di compensi degli amministratori, e integra quindi il fumus ai fini della concessione del sequestro conservativo intentato a cautela della futura azione di responsabilità, l’amministratore che, pur in assenza di deliberazione da parte del CdA relativa allo specifico compenso per la carica di Amministratore Delegato ricoperta, si attribuisce somme eccedenti quelle deliberate dall’assemblea, non rappresentando valido titolo per pretendere o per ricevere gli importi in discussione, né il budget triennale della società dal quale risulti un compenso del CdA superiore a quello deliberato dall’assemblea, né la delibera assembleare recante la semplice delega al CdA per l’individuazione del compenso dell’AD, né tantomeno la successiva inerzia del CdA in tema, che avrebbe al più potuto dar luogo a richiesta dell’amministratore di determinazione giudiziale del compenso e non certo alla percezione di somme in sostanza corrispondenti ad una autoliquidazione.
Alcune questioni sulla remunerazione dell’amministratore delegato di società quotata. Il caso Mediacontech
La deliberazione consiliare di nomina per cooptazione di un amministratore può prevedere la determinazione del compenso anche per relationem, mediante rinvio ad un accordo allegato (stipulato nel caso di specie fra il neo amministratore e l’azionista di controllo della società). E ciò ovviamente (i) nei limiti dell’ammontare complessivo ex articolo 2389, terzo comma, terzo periodo, del codice civile previamente deliberati dall’assemblea in relazione alla nomina del componente che il cooptato sostituisce e (ii) fermo restando il potere dell’assemblea di determinare un minor compenso in sede di conferma dell’amministratore cooptato (e cioè alla prima assemblea successiva alla cooptazione).
Giusta causa di dimissioni dell’amministratore delegato
Con l’art. 2381 c.c. il legislatore lascia all’autonomia statutaria o, in alternativa, all’assemblea dei soci il potere di articolare variamente l’organizzazione del consiglio di amministrazione al fine di renderlo aderente alle esigenze delle singole realtà imprenditoriali ed all’adeguata valorizzazione delle specifiche competenze dei singoli. L’istituto della delega risponde proprio a tali esigenze, e in particolare, ad istanze di efficienza nell’adempimento della prestazione gestoria in quanto consente all’organo collegiale di attribuire alcune funzioni ad un comitato esecutivo o ad uno o più consiglieri operativi, senza peraltro, che ciò importi il venire meno del ruolo apicale del consiglio essendo comunque salvaguardate le prerogative dell’organo collegiale. E’, però, da rilevare che la summenzionata disposizione normativa (art. 2381 c.c.) prevede altresì che il Consiglio di amministrazione possa impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Il che implica che il conferimento della delega non elimina il ruolo di preminenza del plenum: il consiglio, infatti, può in ogni momento modificare il contenuto, i limiti e le modalità di esercizio della delega e può arrivare a revocarla, fermo restando la sussistenza di una valida ragione.
La sussistenza di un significativo contrasto in punto di scelte gestorie tra l’amministratore delegato ed altri componenti del Consiglio di amministrazione consente di ritenere integrata la giusta causa di dimissioni da parte del primo qualora tale contrasto sfoci in episodi in grado di minare notevolmente, se complessivamente valutati, la fiducia della struttura societaria nei confronti dell’amministratore delegato, di modo che l’effettivo perseguimento degli obiettivi sottesi alla delega conferita ne risulti gravemente compromesso. Sotto un profilo più generale, va, poi, rilevato che nessuna specifica disposizione normativa, né alcun orientamento consolidato, richiede espressamente una stretta aderenza tra le dimissioni e le sue cause: la valutazione della sostenibilità del “nesso eziologico” va, al più, valutata in concreto assumendo quali parametri di riferimento il principio di ragionevolezza, il criterio della buona fede e quello della proporzionalità.
Rinuncia al compenso del presidente del C.d.A e successivo conferimento di deleghe
La rinuncia incondizionata e illimitata del presidente del C.d.A di una S.p.A. ad ogni forma di compenso, avvenuta all’atto dell’accettazione della carica, ricomprende anche le funzioni espletate a seguito di un successivo legittimo conferimento di deleghe da parte del C.d.A., e ciò a prescindere dall’indubbio maggior impegno che il loro svolgimento possa richiedere, posto che il C.d.A. non ha ampliato le attribuzioni del presidente, ma ha semplicemente elencato e indicato le deleghe presidenziali.
Va, quindi, escluso che per gli incarichi affidatigli dal C.d.A. possa essere riconosciuto alcun compenso alla luce della rinuncia dallo stesso espressamente manifestata in quanto i “nuovi poteri” conferiti al presidente del C.d.A. rientrano pienamente nell’ambito delle funzioni gestionali che costituiscono prerogativa esclusiva dell’organo amministrativo, pienamente delegabili al presidente.