Esclusione del socio di s.r.l. e determinazione del valore della quota: l’erroneità della valutazione dell’esperto
La legittimità dell’esclusione del socio non incide sulla valutazione dell’esistenza di un accordo in ordine alla liquidazione della sua quota. Invero: (i) l’interesse dei soci rinuncianti all’impugnazione della delibera di esclusione di contestare il quantum della liquidazione della loro quota come operato in sede assembleare sorge solo dopo e per effetto della rinuncia stessa; (ii) quale che sia la sede in cui la società determina il valore di liquidazione della quota del socio escluso, essa non potrà mai vincolare il socio stesso, che si pone come controparte contrattuale rispetto alla società, trovando applicazione anche in questo caso il principio secondo cui il disposto dell’art. 2377, co. 1, c.c. non vige con riferimento a diritti soggettivi che attengono esclusivamente alla sfera patrimoniale dei soci uti singuli e rispetto ai quali la società si pone come controparte contrattuale (come, ad esempio, per il regime di rimborso dei finanziamenti dei soci); (iii) la materia della liquidazione della quota del socio escluso (o receduto) non è, per sua natura, materia di competenza assembleare, proprio perché mai una delibera resa in proposito potrebbe vincolare il socio escluso (o receduto) dissenziente. Ciò trova conferma nella previsione di cui all’art. 2437, co. 2, c.c. che – sebbene in materia di recesso di socio di s.p.a. – stabilisce che la determinazione del valore di liquidazione delle azioni ex latere societatis è rimesso agli amministratori e non all’assemblea dei soci; comunque, nelle s.r.l., lungi dall’essere stabilita una competenza dell’assemblea soci, la determinazione del valore di liquidazione della quota è rimessa espressamente ex art. 2473, co. 3, c.c. ad un accordo tra la società e il socio, che non può rinvenirsi in una delibera sociale assunta con il dissenso dei soci interessati; (iv) infine, la contestazione dell’esclusione segue all’evidenza un percorso d’impugnativa completamente diverso da quello previsto dall’art. 2473, co. 3, c.c. per caso di disaccordo in ordine al valore della quota sociale e per la sua quantificazione.
La natura manifesta dell’errore di cui all’art. 1349 c.c. corrisponde ad una notevole sperequazione tra le valutazioni rilevanti ed è oggetto di un accertamento rimesso al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato. Tuttavia, tale accertamento segue criteri differenti a seconda che la norma trovi applicazione nel suo ambito naturale, ossia la determinazione dell’oggetto del contratto, o nel diverso caso previsto dall’art. 2473 c.c. Invero, se in materia contrattuale l’arbitratore può procedere ad una valutazione discrezionale e fondare il suo apprezzamento sul criterio dell’equità mercantile, nel caso di cui all’art. 2473, co. 3, c.c., l’erroneità o meno della valutazione dell’esperto deve essere apprezzata sulla scorta delle regole tecniche di settore, il che vale anche ai fini dell’accertamento del carattere manifesto o meno dell’errore che dovrà risultare evidente rispetto alle conoscenze di settore proprie dell’esperto e di chi legga il suo elaborato e sia fornito delle medesime competenze. Ne deriva che quando si ricorre all’art. 1349 c.c., per verificare la correttezza della valutazione compiuta dall’esperto nella determinazione del valore delle quote sociali, deve tenersi conto della diversità dei criteri che attengono a tale operazione – cioè le regole tecniche di valutazione aziendale volte alla individuazione del valore di mercato – rispetto a quelli di cui può servirsi l’arbitratore nella determinazione dell’oggetto del contratto. Salvo che si rilevi una trascurabile differenza nei risultati delle diverse analisi, la natura manifesta dell’errore sussiste ogniqualvolta esso emerga dagli atti e sia frutto di una scorretta applicazione di criteri tecnico-scientifici che governano la materia oggetto di valutazione dell’esperto, mentre, per converso, si affievolisce grandemente la rilevanza del requisito della differenza ultra dimidium.
Sulla (non) configurabilità della rinuncia all’esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 ter c.c.
La disciplina vigente non esclude espressamente la facoltà del socio di rinunciare agli effetti del recesso, ma contiene elementi sufficienti ad escluderne l’ammissibilità in via sistematica. In primo luogo, le sole cause di sopravvenuta inefficacia del recesso “già esercitato” consistono nella “revoca della delibera che lo legittima” o nella deliberazione dello scioglimento della società, l’una e l’altra “entro novanta giorni” (art. 2437-bis co. 3). […] Secondo, la rinuncia al recesso, invariate le condizioni che lo hanno cagionato, appare incompatibile con la ratio legis dell’attribuzione del diritto, come possibilità di apprezzare un mutamento delle condizioni di rischio, nelle ipotesi legislativamente previste, e di liquidare l’investimento. Il socio può, in altri termini, continuare a sottoporsi al rischio imprenditoriale, partecipando agli utili e alle perdite, oppure estraniarsi dal rischio della società, assumendo la veste di creditore della quota di liquidazione. Non può assumere al contempo l’una e l’altra qualità […].
Su queste premesse, al socio non compete il diritto di rinunciare al recesso già esercitato e la società non può esimersi dalla liquidazione della quota eccependo l’avvenuta rinuncia, a prescindere dalle modalità (espressa o tacita) con cui tale rinuncia si sia manifestata.
L’accertamento della natura manifesta dell’errore nella determinazione del valore delle quote societarie ai sensi dell’art. 2473 terzo comma c.c.
L’accertamento della natura manifesta dell’errore segue criteri differenti a seconda che l’art. 1349 c.c. trovi applicazione nel suo ambito naturale, ovvero la determinazione dell’oggetto del contratto, o nel diverso caso previsto dall’art. 2473 c.c.. Mentre nella materia contrattuale, nella determinazione dell’oggetto del contratto l’arbitratore può procedere ad una valutazione discrezionale e fondare il suo apprezzamento sul criterio dell’equità mercantile, nel caso di cui all’art. 2473 terzo comma c.c. relativo alla stima del valore della quota , l’erroneità o meno della valutazione dell’esperto nominato dal Tribunale [ LEGGI TUTTO ]
Esclusione del socio di s.n.c.: diritto alla liquidazione della quota e agli utili. Risarcimento del danno per ritardata liquidazione.
Il diritto del singolo socio a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art. 2262 cod. civ. (applicabile in forza del richiamo di cui all’art. 2293), alla approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri fondamentali di valutazione, a quella di un bilancio, il quale è la sintesi contabile della consistenza patrimoniale della società al termine di un anno di attività (in applicazione di tale criterio è stata confermata l’irrilevanza, ai fini di ritenere la sussistenza di effettivi utili rivendicabili dai soci, del contenuto delle dichiarazioni fiscali della società e, quindi, anche delle “variazioni in aumento” apportate ai sensi della normativa fiscale in tali dichiarazioni).
Modifica del voto di lista e annullabilità della delibera per l’assenza di informazioni sul valore di liquidazione della partecipazione
Ai sensi dell’art. 2437, co. 2, lett. g) le modificazioni statutarie concernenti i diritti di partecipazione dei soci vanno individuate non solo nelle modificazione statutarie incidenti sui diritti di partecipazione patrimoniale dei soci, ma anche [ LEGGI TUTTO ]