Sull’applicazione analogica dell’art. 2437-ter, sesto comma, c.c.
L’art. 2437-ter, sesto comma, c.c. consente al socio che intenda contestare la determinazione del valore delle partecipazioni operata dall’organo amministrativo ai fini dell’esercizio del diritto di recesso di adire l’autorità giudiziaria, chiedendo la nomina di un esperto. La norma presuppone dunque che l’organo amministrativo abbia riconosciuto una determinata delibera come potenzialmente idonea a determinare il recesso dei propri soci e abbia provveduto nelle forme di legge alla stima delle azioni di cui è titolare il socio recedente. Essa, tuttavia, deve ritenersi applicabile in via analogica all’ipotesi in cui l’organo amministrativo non abbia riconosciuto la legittimità del recesso del socio e provveduto alla stima delle azioni, poiché in tal caso il Tribunale può, ancorché in via incidentale e senza efficacia di giudicato, procedere ad una deliberazione sulla legittimità del recesso esercitato dal socio.
Insussistenza del diritto di accesso alla documentazione sociale a favore del socio receduto
Il diritto del socio non amministratore di S.r.l. di accedere alla documentazione sociale ex art. 2476, comma 2, c.c. presuppone, in capo al richiedente, la qualità di socio (non amministratore) e, pertanto, non sussiste in capo al socio che abbia già esercitato il diritto di recesso dalla società.
La natura recettizia della dichiarazione di recesso comunicata dal socio, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1334 c.c., è produttiva di effetti immediatamente nel momento in cui entra nella sfera di conoscenza della società e non al termine della procedura di modificazione definitiva della compagine sociale, consistente nella liquidazione della quota mediante acquisto della stessa da un socio o da un terzo. Pertanto, quando la manifestazione di volontà del socio recedente viene portata a conoscenza della società, il socio receduto si trasforma in un mero creditore nei confronti della società per il rimborso della quota e, conseguentemente, perde la propria legittimazione ad esercitare il diritto di controllo previsto dall’art. 2476, comma 2, c.c.
Il socio recedente è comunque tutelato dalla possibilità, prevista dall’art. 2476, comma 3, c.c., di richiedere al Tribunale la nomina di un esperto che, tramite relazione giurata, proceda alla determinazione del valore della quota al medesimo spettante.
Sulla rinuncia per fatti concludenti all’esercizio del diritto di recesso. Il caso Banca Sella
Al socio non compete il diritto di rinunciare al recesso già esercitato (jus poenitendi) e la società non può esimersi dalla liquidazione della quota eccependo l’avvenuta rinuncia, a prescindere dalle modalità (espressa o tacita) con cui tale rinuncia si sia manifestata. La rinuncia al recesso da parte del socio, invariate le condizioni che lo hanno cagionato, appare infatti incompatibile con la ratio legis dell’attribuzione del diritto, come possibilità di apprezzare un mutamento delle condizioni di rischio, nelle ipotesi legislativamente previste, e di liquidare l’investimento. Il socio può, in altri termini, continuare a sottoporsi al rischio imprenditoriale, partecipando agli utili e alle perdite, oppure estraniarsi dal rischio della società, assumendo la veste di creditore della quota di liquidazione. Non può assumere al contempo l’una e l’altra qualità, riservandosi di stare a vedere, per rientrare nella società o uscirne definitivamente, secondo che i rischi abbiano o meno a materializzarsi.
Dato e non concesso che il socio possa rinunciare unilateralmente, prima della liquidazione, agli effetti del recesso già esercitato, la prolungata inerzia del socio all’esercizio del recesso non si qualificherebbe comunque automaticamente come esercizio “abusivo” del diritto per l’affidamento al non esercizio ingenerato, con relativa “decadenza” dallo stesso (Verwirkung), poiché tale istituto richiede un ritardo imputabile al titolare, generatore di un ragionevole e apprezzabile affidamento sulla definitiva scelta di non avvalersi del diritto, che ne renda “sleale” o “abusivo” il successivo esercizio. Né potrebbe essere considerata manifestazione di volontà abdicativa da parte del titolare la mancata esecuzione della sentenza di condanna, provvisoriamente esecutiva ma ancora non passata in giudicato, a determinare il valore delle azioni ed eseguire il procedimento per la loro liquidazione: tale comportamento non implicherebbe alcuna prematura estinzione del diritto – prematura rispetto alla prescrizione decennale della actio judicati – per rinuncia tacita.