In forza della disciplina della ripartizione degli oneri probatori, il creditore che agisce per la risoluzione o per l’adempimento del contratto può limitarsi a fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, e ad allegare l’inadempimento della controparte, spettando al debitore convenuto provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto.
L'art. 2556, co. 1, c.c., ove prescrive la forma scritta ad probationem per i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di azienda, opera solo con riguardo alle parti contraenti e non è applicabile ai terzi, da parte dei quali la prova del trasferimento dell'azienda non è soggetta ad alcun limite e può essere data anche con testimonianze e presunzioni. La cessione di azienda, dunque, non necessariamente viene realizzata mediante un unico atto negoziale assoggettato a forma scritta. Può infatti accadere che le parti interessate, al fine di danneggiare i creditori, impedendo loro di potersi soddisfare sul patrimonio oggetto di cessione, e, in particolare, al fine di eludere le norme che regolano gli effetti della cessione di azienda, quali l’art. 2560 c.c., in tema di responsabilità del cedente e del cessionario per i debiti dell’azienda anteriori al trasferimento, attuino la progressiva cessione di un’azienda attraverso singole operazioni le quali, pur formalmente distinte, siano tra loro collegate e preordinate alla graduale dismissione, da un soggetto ad un altro, dell’azienda tutta ovvero di uno o più rami dell’azienda stessa.
L’applicazione dell’art. 2560, cp. 2, c.c. postula in ogni caso una effettiva alterità tra il cedente e il cessionario. Il difetto di dualità soggettiva nella cessione d'azienda sussiste in tutti i casi in cui, in seguito al trasferimento, al di là della diversa forma o denominazione giuridica, la compagine sociale dell'impresa e gli organi amministrativi della stessa siano rimasti immutati, poiché in tali casi il trasferimento dell’azienda è solo formale. In queste ipotesi non vi è spazio per l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c., poiché la norma non potrebbe esplicare la funzione che si riconduce alla sua ratio, ovverosia la salvaguardia dell’interesse dell’acquirente dell’azienda, quale accollante dei relativi debiti, ad avere precisa conoscenza degli stessi; interesse che si correla a quello, superindividuale, alla certezza dei rapporti giuridici e alla facilità di circolazione dell’azienda.
In forza del principio del burden sharing, contemplato dalla Direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recovery Directive), attuata con i d.lgs. nn. 180 e 81 del 2015, le conseguenze delle crisi bancarie vanno sopportate in primis da azionisti e obbligazionisti e non possono essere fatte gravare su terzi, tra i quali è ricompreso il cessionario, e ogni eventuale credito nascente dalla vendita delle azioni deve essere trattato all’interno della procedura concorsuale.
La disciplina del d.l. 99 del 2017 è incompatibile con l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c. nella parte in cui delimita l’esatto perimetro dell’insieme aggregato di beni, diritti, rapporti giuridici, attività, passività oggetto di cessione, dal quale risultano esclusi i crediti deteriorati, il contenzioso azionario e il contenzioso successivo per fatti pregressi. L’art. 2560 c.c. è dettato solo per l’ipotesi di cessione volontaria di azienda, mentre nell’ambito delle procedure concorsuali vale la regola opposta. La ratio sottostante alla previsione dell’esclusione della responsabilità del cessionario per i debiti del cedente (c.d. effetto purgativo delle vendite) riposa nell’intento di incentivare la vendita di aziende o di rami di aziende fallite, che sarebbe invece pregiudicato a fronte del possibile rischio per l’acquirente di dover rispondere di debiti verosimilmente superiori all’attivo.
La disciplina speciale di cui all'art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, include tra i fatti o atti anche la nullità del contratto di finanziamento antecedente alla cessione. Rientra nell’alveo dell’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017 anche l’ulteriore causa di nullità del mutuo per asserita indeterminatezza del tasso di interesse applicato, dovuta all’adozione di un piano di ammortamento alla francese a rate costanti.
In forza del principio del burden sharing, contemplato dalla Direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recovery Directive), attuata con i d.lgs. nn. 180 e 81 del 2015, le conseguenze delle crisi bancarie vanno sopportate in primis da azionisti e obbligazionisti e non possono essere fatte gravare su terzi, tra i quali è ricompreso il cessionario, e ogni eventuale credito nascente dalla vendita delle azioni deve essere trattato all’interno della procedura concorsuale.
La disciplina del d.l. 99 del 2017 è incompatibile con l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c. nella parte in cui delimita l’esatto perimetro dell’insieme aggregato di beni, diritti, rapporti giuridici, attività, passività oggetto di cessione, dal quale risultano esclusi i crediti deteriorati, il contenzioso azionario e il contenzioso successivo per fatti pregressi. L’art. 2560 c.c. è dettato solo per l’ipotesi di cessione volontaria di azienda, mentre nell’ambito delle procedure concorsuali vale la regola opposta. La ratio sottostante alla previsione dell’esclusione della responsabilità del cessionario per i debiti del cedente (c.d. effetto purgativo delle vendite) riposa nell’intento di incentivare la vendita di aziende o di rami di aziende fallite, che sarebbe invece pregiudicato a fronte del possibile rischio per l’acquirente di dover rispondere di debiti verosimilmente superiori all’attivo.
La disciplina speciale di cui all'art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, include tra i fatti o atti anche la nullità del contratto di finanziamento antecedente alla cessione. Rientra nell’alveo dell’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017 anche l’ulteriore causa di nullità delle clausole del mutuo di pattuizione degli interessi per usurarietà.
Allorché si prospetti un credito nei confronti della Banca Popolare di Vicenza s.p.a. o della Veneto Banca s.p.a. discendente dall’esecuzione di un contratto nullo e, dunque, non da un’attività giuridica bensì da un’attività materiale, consistente in una attribuzione patrimoniale priva di alcun titolo, lo stesso risulta essere escluso dalla cessione disciplinata dall'art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, in quanto tra origine da un fatto occorso prima della cessione, da cui è scaturita una controversia in epoca successiva a tale cessione.
Il creditore può dare prova anche presuntiva della cessione dell’azienda o di suo ramo, al fine di esercitare il credito nei confronti dell’impresa cessionaria.
Ai fini della sussistenza della responsabilità della cessionaria per i debiti della cedente è necessario che il debito sussistente in capo alla cedente sia anteriore rispetto al momento della cessione.
Costituisce titolo di responsabilità ex art. 2394 c.c. l'incasso in contatti del corrispettivo della vendita di un bene aziendale.
Il principio di solidarietà fra cedente e cessionario, fissato dall’art. 2560 c.c. con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, principio condizionato al fatto che essi risultino dai libri contabili obbligatori, deve essere applicato tenendo conto della "finalità di protezione" della disposizione, finalità che consente all'interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario ove venga riscontrato, da una parte, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quello per i quali è stata introdotta, e, dall'altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato. La disciplina dettata dall’art. 2560 c.c., co. 2, va letta, e interpretata, secondando la sua funzione primaria, che è di tutelare non già il cessionario - che appunto si avvale (già) del limite della conoscenza dell’esistenza del debito -, bensì i creditori che, sul compendio aziendale poi fatto oggetto di cessione, hanno fatto riferimento.
Le limitazioni poste dall’art. 2556, co. 1 c.c. circa le modalità con cui può essere provata per legge una cessione d’azienda - ovvero esclusivamente mediante prova scritta - riguardano solo i rapporti tra cedente e cessionario, non potendo invece trovare applicazione nei confronti dei terzi, i quali sono ammessi a fornire la prova di un tale negozio anche a mezzo di presunzioni e testimonianze.
Le autorizzazioni amministrative, relative allo svolgimento di determinate attività, hanno carattere personale e come tali non sono riconducibili ai beni che compongono l’azienda, né possono essere cedute. Pertanto, le espressioni con le quali, nei negozi relativi alla cessione di azienda, si dichiari che il venditore cede le relative licenze commerciali vanno intese nel senso più limitato dell’assunzione di un obbligo a rinunciare alle medesime e a non opporsi alla concessione di una nuova licenza in capo al nuovo titolare dell’azienda. La rinuncia all’autorizzazione amministrativa da parte del venditore, dunque, costituisce il mezzo per rendere possibile l’ottenimento dell’autorizzazione per il lecito esercizio dell’attività acquistata dall’acquirente.
L’inadempimento del contratto di cessione di azienda, dichiarato risolto ex art. 1453 c.c., può far sorgere, in capo alla parte non inadempiente, il diritto al risarcimento del danno secondo la disciplina della responsabilità contrattuale. Per la quantificazione del danno emergente, si può fare riferimento al valore attribuito convenzionalmente dalle parti all’azienda oggetto del contratto.
In materia di risoluzione del contratto di cessione di azienda per inadempimento ex art. 1453 c.c., spetta al creditore cedente la dimostrazione della fonte negoziale o legale del proprio credito e, se previsto, del relativo termine di scadenza, nonché l’allegazione dell’inadempimento del cessionario; spetta, invece, al debitore cessionario provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto.