Le opere del disegno industriale, destinate ad una produzione seriale già nella fase progettuale, sono oggetto della tutela del diritto d’autore soltanto qualora presentino di per sé carattere creativo e valore artistico. Il carattere creativo è rinvenibile laddove le forme costituiscano una personale rappresentazione dell’autore; il carattere artistico si risolve, invece, in un’originalità più spiccata rispetto alle forme simili presenti sul mercato, con una prevalenza del valore artistico sull’utilità pratica dell’opera. Affinché sussistano i presupposti per l’operatività della tutela autoriale, non è sufficiente che parte attrice, sulla base di una ricostruzione storica e pubblicitaria dell’azienda, affermi che l’accostamento dei soggetti e delle gradazioni di colori sia espressione di una personale interpretazione artistica dell’autore; occorre, altresì, che siano allegati e provati una serie di indicatori obiettivi, tra cui, in particolare, il riconoscimento collettivo, soprattutto negli ambienti culturali ed istituzionali.
È configurabile la responsabilità per il compimento di atti di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c., quando emerge ictu oculi, dal confronto tra prodotti, che vi sia stata la riproduzione non isolata delle soluzioni di disegno e di colore, in modo tale da rendere non sostenibile, sotto il profilo matematico probabilistico, che si sia trattato di una sorta di mera coincidenza. Tale pluralità di atti di riproduzione consente di ritenere integrata una condotta contraria alla correttezza professionale, in quanto permette all’autore della stessa di trarre vantaggio dall’uso di una serie di disegni già realizzati da altri, senza apportare nessuno sforzo economico e organizzativo o alcuna apprezzabile modifica.
L’attività interpretativa del Giudice non deve fermarsi alla terminologia usata ma deve indagare circa il contenuto sostanziale della pretesa, essendo compito dell’Autorità Giudiziaria quello di qualificare giuridicamente i fatti ed altresì di interpretare correttamente le domande proposte, nel rispetto della legge e del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, eventualmente provvedendo a riqualificarle nel modo ritenuto corretto.
Qualora un soggetto agisca per ottenere la risoluzione di un contratto per inadempimento, a prescindere dalla terminologia usata nella formulazione delle conclusioni, la pronuncia di accoglimento avrà necessariamente natura costitutiva, poiché richiede un intervento del Giudice volto a verificare la sussistenza dei presupposti per dichiarare la risoluzione del rapporto contrattuale, il cui scioglimento, nel caso di risoluzione per inadempimento, non opera ipso jure ma consegue ad una pronuncia giudiziale. Viceversa, laddove si invochi la clausola risolutiva espressa o il termine essenziale, trattandosi di cause di risoluzione che operano di diritto, il Giudice, dopo avere accertato la sussistenza dei presupposti posti dalle parti a fondamento della risoluzione, dovrà limitarsi ad accertare la già intervenuta risoluzione.
L'art. 20 l.d.a., che riconosce il diritto morale d'autore come indipendente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera, va interpretato nel senso che il diritto di rivendicare la paternità dell'opera consiste non soltanto in quello di impedire l'altrui abusiva auto o eteroattribuzione di paternità, ma anche nel diritto di essere riconosciuto come l'autore dell'opera.
Non sussiste violazione dei diritti economici se la concessione del diritto di “condividere” sui social la fotografia non era sottoposta a condizioni né ad esclusiva ed era a titolo gratuito.
Se il contratto trova la sua causa nell’attribuzione ad una parte della facoltà di utilizzare liberamente una collezione di beni ideata verso il pagamento di un corrispettivo e l’apposizione di una determinata dicitura sugli articoli della collezione, non ha importanza accertare se tale collezione nel suo insieme o i suoi singoli articoli abbiano carattere creativo e originale e possano definirsi quindi opera dell’ingegno: ciò che conta è che risulti che “per la facoltà di utilizzare liberamente la Collezione” le parti abbiano concordato il pagamento di un corrispettivo.
L’eventuale veto, posto dal terzo titolare del marchio concesso in licenza ad una delle parti del contratto, all’apposizione di una determinata scritta sugli articoli della collezione oggetto del contratto, non solleverebbe la parte obbligata dalla propria responsabilità per inadempimento nei confronti dell’altra parte.
Per poter godere della tutela autorale, l'opera deve concretizzarsi in un oggetto originale, cioè in una creazione intellettuale propria del suo autore, sì da rifletterne la personalità e manifestare le scelte libere, creative e personali del medesimo; per contro, quando la realizzazione di un oggetto è determinata da considerazioni di carattere tecnico, da regole o da altri vincoli che non lasciano margine per la libertà creativa, il requisito della creatività necessaria per poter costituire un'opera viene meno. Per non pervenire ad un'interpretazione di fatto abrogante del n. 10 dell'art. 2 l.d.a., occorre in altri termini dimostrare comunque che i particolari dell'opera sono espressione di un tratto della personalità dell'autore e ne riflettono originalità e creatività, per esempio, per avere l'autore realizzato un modello talmente innovativo da segnare una rottura netta con i canoni dei modelli già presenti sul mercato o, ancora, da mutarne la concezione estetica.
Il valore artistico di cui all'art. 2 l.d.a., la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione, può essere desunto da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche e artistiche, l'esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l'attribuzione di premi, l'acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista. Un simile valore può essere riconosciuto ove risulti dimostrato l'inserimento del prodotto in una corrente artistica, oppure la presenza in musei d'arte contemporanea, l'accreditamento e il perdurare del successo del prodotto presso la collettività e gli ambienti culturali, quali indici che storicizzano il giudizio e lo ancorano a criteri di obiettività, ovvero il diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell'appartenenza dell'opera del disegno industriale ad ambito di espressività proprio di tendenze e influenze di movimenti artistici.
La condotta tipica di concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui, ai sensi dell’art. 2598 n. 2) c.c. ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi – quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù – da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.
L'art. 110 lda si applica solo nei rapporti tra le parti e non tra soggetti parzialmente diversi in cui la stipula del contratto di trasmissione dei diritti di utilizzazione rileva solo come fatto storico. In particolare, l’art. 110 lda non trova applicazione quando l’acquirente a titolo derivativo agisca nei confronti di coloro che utilizzano illecitamente l’opera.
I principi dettati dall’art. 12 bis lda, ai sensi del quale il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca di dati creati dal lavoratore dipendente nell'esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro, si applicano, in via analogica, anche al caso in cui la realizzazione del software sia commissionata nell’ambito di un contratto d’opera.
La tutela ex art 98 e 99 c.p.i non presuppone una novità e irreperibilità assoluta delle informazioni ma, facendo riferimento alla non accessibilità nella precisa configurazione o combinazione, vale a riconoscere tutela all’insieme organizzato di informazioni, quand’anche ciascuna di queste possa essere isolatamente appresa aliunde. Esse sono connotate da un intrinseco valore economico e adeguatamente protette tramite l’adozione di password di accesso al server aziendale o comunque tutelabili ai sensi dell’art. 2598 n. 3 cc ove non ricorressero tutti i requisiti dell’art. 98 c.p.i.
Il potere di riduzione della clausola penale a equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c., è funzionale alla tutela dell’equilibrio contrattuale, fatto – questo – che, essendo di interesse generale, legittima l’esercizio della potestà anche d’ufficio, ferma la necessità di previo assolvimento di oneri di allegazione e prova incombenti sulla parte circa le circostanze rilevanti per la valutazione della eccessività. Il criterio per esercitare il potere di riduzione non è mai, però, la valutazione del danno che sia stato accertato o risarcito, quanto piuttosto l’interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all’adempimento della prestazione specifica cui ha diritto. Al di fuori del caso di manifesta eccessività della penale rispetto all’interesse che il creditore aveva all’adempimento della prestazione (e non rispetto al danno arrecatogli dall’altrui inadempimento), un esercizio disinvolto del potere di riduzione da parte del giudice finirebbe, infatti, per creare un incentivo economico all’inadempimento, privando la penale della sua capacità di stimolare le parti al rispetto degli impegni assunti in ambito negoziale e di prevenire il contenzioso, con ricadute positive in termini di diminuzione delle cause civili e di semplificazione del processo.
In tema di segni distintivi, qualora sia registrato un marchio per autoveicoli dotato di rinomanza, l’apposizione da parte di un terzo che realizza modellini di autovetture, senza autorizzazione del titolare del marchio, di un segno identico a tale marchio sulle miniature di tali prodotti, al fine di riprodurre fedelmente gli stessi, non è scriminata dall’art. 21, co. 1, lett. b) c.p.i, poiché il segno utilizzato non è un segno distintivo dei modellini, ma un elemento ornamentale degli stessi, spettando, dunque, al giudice di merito accertare in concreto, e in base ad una valutazione fattuale, se l’uso del marchio altrui, effettuato in funzione non distintiva, rechi comunque pregiudizio alle altre funzioni (pubblicitaria ed evocativa). Esclusa l’applicazione della esimente, l’uso del marchio altrui unitamente al proprio è ammesso nei limiti in cui le modalità concrete di tale uso non inducano il mercato in confusione circa la provenienza del bene [nel caso di specie, l’apposizione ben visibile del marchio CMC prima del nome del modello Ferrari riprodotto in scala è stato ritenuto tale da escludere – con riferimento al consumatore medio e, a maggior ragione, al pubblico di collezionisti a cui CMC si rivolge – qualsiasi rischio di confusione circa la provenienza del modellino pubblicizzato e commercializzato da CMC con il proprio marchio di produttore di autovetture in miniatura].
Quando la forma (intesa come pregio estetico) del prodotto concorre con altri elementi (le caratteristiche tecniche ed economiche) nella scelta del consumatore, essa diviene elemento importante che conferisce “valore sostanziale” al prodotto ai sensi dell’art. 9 c.p.i. La nozione di forma (o altra caratteristica) che dà un “valore sostanziale” al prodotto è riferita alla forma che conferisca un valore di mercato al prodotto, un fattore attrattivo aggiuntivo, in grado comunque di influenzare “in larga misura” le scelte d’acquisto del consumatore, ma non necessariamente e soltanto in maniera prevalente.
La nozione di opera del disegno industriale, prevista dall’art. 2, n. 10 l.d.a., richiede la compresenza dei requisiti del carattere creativo e del valore artistico. A tal riguardo, il carattere creativo non implica novità assoluta dell’opera di design, ma è espressione e manifestazione dell’idea dell’autore, mente la valutazione del valore artistico va effettuata caso per caso, facendo leva su indicatori di natura oggettiva, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali, ad esempio, il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali e istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità, ovvero la creazione da parte di un noto artista. Inoltre, le opere del disegno industriale, anche se in origine concepite come oggetti destinati ad una riproduzione seriale, possono acquisire in seguito un valore artistico che supera la sua originaria valenza meramente tecnica e funzionale, attraverso il riconoscimento collettivo da parte del mercato e degli ambienti artistici [nel caso di specie, sono stati ritenuti sussistenti i requisiti per il riconoscimento della tutela del diritto d’autore, come opere del disegno industriale, soltanto per due modelli di autovetture Ferrari e, segnatamente, per la Ferrari 250 GTO e per la Ferrari Testarossa].
La nozione di opera del disegno industriale, che richiede la compresenza dei requisiti del carattere creativo e del valore artistico, si differenzia dalla nozione di “opera” di cui alla direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione del diritto d’autore, così come interpretata dalla giurisprudenza europea, che pone, invece, l’accento sul requisito del carattere creativo o dell’originalità ed implica l’esistenza di un oggetto originale, nel senso che l’oggetto deve rappresentare una creazione del suo autore in quanto ne riflette la personalità, manifestando scelte libere, originali e creative. La tutela dei disegni e dei modelli, da una parte, e la tutela garantita dal diritto d’autore, dall’altra, perseguono, infatti, obiettivi fondamentalmente diversi e sono assoggettate a regimi distinti, sicché se un design può essere considerato quale opera dell’ingegno, allora esso potrà godere della tutela autorale, non essendo necessario, ai sensi della legislazione europea, che ricorra l’ulteriore requisito costituito dall’effetto visivo da loro prodotto e rilevante da un punto di vista estetico.
Per le opere cinematografiche l'art. 45 l.d.a. detta una presunzione di trasferimento, a vantaggio del produttore dell'opera, dei diritti di utilizzazione economica dell'opera (cd. diritto primario) e dei diritti connessi (o secondari) al diritto d'autore, di cui all'art. 78 ter l.d.a. che costituiscono una categoria di diritti distinta e autonoma rispetto al diritto d'autore che vengono direttamente attribuiti al produttore dalla legge e tutelano l'attività di fissazione di un'opera su di un supporto materiale (corpus mechanicum).
I diritti di sfruttamento economico spettano al creatore dell’opera, che può disporne già in vita, e, se questi non abbia altrimenti disposto, agli eredi. Spetta all'attore provare di essere erede, ove venga pretesa la tutela dei diritti dell'autore dell'opera.
La portata generale dell’art. 122 l.a. è da escludersi, in considerazione della tipicità del contratto di edizione e del suo contenuto. Mentre il diritto di paternità dell’opera è incedibile, non si rinviene nell’impianto della legge sul diritto d’autore alcun divieto alla cessione in via definitiva dei diritti di sfruttamento economico dell’opera. [Nel caso di specie, l’attore invocava l’applicazione del termine ventennale di cui all’art. 122 l.a. anche al contratto con cui aveva ceduto a titolo definitivo i diritti di sfruttamento economico della propria opera per finalità commerciali]
Al produttore fonografico spetta ai sensi dell'art. 73 l.d.a. un mero diritto all’equo compenso per le utilizzazioni del fonogramma e il pagamento di tale diritto si configura come un obbligo legale conseguente all'utilizzazione del fonogramma e non come condizione di liceità della stessa sicchè la mancata corresponsione di tale compenso non costituisce un fatto illecito – in quanto non necessita di una preventiva autorizzazione - ma obbliga unicamente l’utilizzatore finale a versare gli importi dovuti.
Il diritto di sincronizzazione rientra tra le facoltà esclusive dell'autore. L’utilizzatore dell’opera musicale, ancorché titolare di licenza per la sua riproduzione, per l’ipotesi di sincronizzazione deve ottenere un ulteriore specifico consenso da parte degli autori dei brani musicali, essendo a essi riservato il diritto esclusivo di adattare (e registrare) le loro opere su supporti audiovisivi. Ciò in aderenza al generale principio di indipendenza dei singoli diritti patrimoniali d’autore, sanciti dagli articoli 19 e 199 L.d.A., per cui la cessione (o la licenza) di un diritto specifico non comporta la cessione (o la licenza) di altri diversi diritti spettanti all’autore, ma richiede consensi differenziati in ragione di ogni singola utilizzazione economica dell’opera.
In punto prescrizione, l’illecita utilizzazione di un’opera rientra nel novero dei fatti illeciti istantanei, ma in caso di ininterrotta riproduzione e diffusione di essa determina danni costantemente rinnovati nel tempo, che si prescrivono via via in modo continuo con riferimento al periodo quinquennale anteriore al primo atto interruttivo.
In caso di violazione la determinazione del danno risarcibile può avvenire sulla base del criterio previsto dal comma 2 dell’articolo 158 L.d.A., e cioè in base all’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora l’autore dell’illecito avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto.
In merito alle rassegne stampa [e alla relativa disciplina ai sensi del diritto d'autore], deve ritenersi che l'art. 65 l.a., da un lato, per la considerazione della attualità degli articoli, ne consente la libera riproducibilità in altre forme di pubblicazione, ma, dall’altro, fa eccezione per il caso in cui il titolare dei diritti di sfruttamento se ne sia riservato la riproduzione o l’utilizzazione.
Tale orientamento che trova la sua giustificazione in una interpretazione estensiva dell’art. 65 l.a., la cui ratio deve essere colta nella ritenuta meritevolezza di tutela, anche in base ai valori costituzionali, della finalità informativa delle pubblicazioni (riviste e giornali, anche radiotelevisivi) che godono dell’eccezione in una prospettiva di amplificazione della risonanza dell’articolo di attualità nell’interesse pubblico alla massima circolazione delle informazioni. Si ritiene, infatti, che non sia possibile scorgere alcuna differenza apprezzabile tra i giornali e le riviste, da un lato, e le rassegne stampa, dall’altro, che sono destinate a soddisfare una innegabile finalità informativa, pur indubbiamente selettivamente appuntata su di uno specifico interesse nutrito dal pubblico di riferimento. Non si comprenderebbe, altrimenti, per quale ragione l’eccezione avrebbe dovuto valere solo per una pubblicazione come un giornale o una rivista, magari super-specialistica, e non già per una rassegna compilativa, altrettanto specialistica o di nicchia. In entrambi i casi, si ritiene, infatti, che vi sia un interesse generale, collettivo e più ampio, alla circolazione e alla diffusione delle informazioni, e un interesse privato e particolare, che al primo si sovrappone, a soddisfare il bisogno informativo di una collettività, un gruppo o un soggetto