La norma dettata dall’art. 2476 co. 6° c.c. (che fa salvo il diritto al risarcimento dei danni spettante ai singoli soci che si assumano direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori) costituisce, come il suo omologo dell’art. 2395 c.c., una specie della fattispecie generale di responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 c.c., e dell’obbligo ivi fatto al danneggiante di risarcire i danni causati contra ius a terzi con atti e fatti non iure dati. Ciò in quanto mentre il rapporto che si forma tra la società di capitali e l’amministratore ha la sua fonte in un atto di nomina e di accettazione che instaurano tra le parti un vero e proprio contratto avente ad oggetto la diligente gestione – secondo statuto e legge – della società, tale per cui il dovere dell’organo amministrativo di conservare e investire al meglio il patrimonio sociale ha natura contrattuale e il suo inadempimento – anche sotto il profilo degli oneri processuali di prova – è regolati dagli artt. 1218 e 1176 cpv c.c.; il diaframma della persona giuridica è tale da rendere i soci, nei rapporti con l’amministratore, terzi sia pur qualificati privi di un diretto e vincolante rapporto obbligatorio con il gestore del patrimonio sociale. Ne consegue che, ove i soci alleghino che determinati atti gestori abbiano inferto un danno diretto alla propria sfera giuridico-patrimoniale, incombe pienamente loro la prova piena della condotta illecita – anche sotto il suo profilo soggettivo di colpevolezza – nonché del danno e del nesso di causalità, pure diretta, tra i due termini della fattispecie risarcitoria (nelle specie il Tribunale non ha ritenuto raggiunta tale prova da parte degli attori, che lamentavano la mancata restituzione di finanziamenti soci effettuati per saldare gli acconti di un contratto di appalto mai completato, osservando che nel caso concreto non sussisteva un consilium fraudis tra amministratore e terzo appaltatore a danno dei soci finanziatori, mentre il mancato rimborso poteva considerarsi un riflesso del danno cagionato al patrimonio della società dall’inadempimento dell’appalto).
Nella società a responsabilità limitata il singolo socio è legittimato dall’art. 2476 co. 3° c.c. all’esercizio dell’azione di responsabilità come sostituto processuale della società, nei confronti della quale va quindi necessariamente integrato il contraddittorio.
Tra gli obblighi di diligente gestione e di conservazione del patrimonio sociale deve essere ricompreso quello di gestire le risorse finanziarie in modo da provvedere agli obblighi fiscali ed evitare l’aggravio delle relative sanzioni e interessi di mora (altro…)
La clausola compromissoria contenuta nello statuto che non preveda che la nomina degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto estraneo alla società è nulla, anche ove si tratti di arbitrato irrituale, dal momento dell'entrata in vigore dell'art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003 anche se stipulata anteriormente, per contrarietà ad una norma imperativa sopravvenuta [principio di diritto espresso in un caso di responsabilità di amministratori nei confronti di una S.r.l.]. (altro…)
È ammissibile la nomina di una società di capitali come amministratore di una s.r.l., poiché, in primo luogo, la persona giuridica non soffre di limitazioni di capacità se non nei casi tassativamente previsti dalla legge ed è in grado di offrire, quanto all'adempimento (altro…)
La partecipazione all'assemblea nella dichiarata veste di amministrazione equivale a piena ratifica della nomina in tesi avvenuta senza il suo consenso.
È nullo per indeterminatezza dell'oggetto il contratto preliminare di cessione di quote di s.r.l. nel quale il valore percentuale delle quote da trasferire sia menzionato, in più punti, in maniera difforme (nel caso di specie: dapprima con indicazione che debba trattarsi di due quote ciascuna rappresentativa del 20% del capitale sociale; in seguito con indicazione che esse debbano, complessivamente, rappresentare il 40,01% del capitale stesso).
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L'innesco della clausola statutaria simul stabunt simul cadent comporta la necessità di integrale rinnovo del consiglio di amministrazione, senza la possibilità di procedere a sostituzioni parziali interinali. (altro…)
La rinuncia all’incarico prima della scadenza dello stesso da parte dei sindaci ha efficacia immediata solo nel caso in cui sia possibile integrare il collegio sindacale con la sostituzione ex lege del dimissionario con il sindaco supplente; (altro…)
Qualora in una causa esperita per ottenere la corresponsione di un compenso per l’incarico di sindaco non risulti in discussione la sussistenza del diritto di quest’ultimo, ma il solo quantum e i criteri per la sua determinazione, è infondata la pretesa di utilizzare, ai fini della concreta determinazione del dovuto e a fronte della delibera assembleare di un compenso su base “annua”, criteri disomogenei di computo, alcuni concernenti l’esercizio sociale i cui termini sono formalmente individuati nell'atto costitutivo e nello statuto, altri, invece, concernenti l’anno solare.
A seguito dell’abrogazione del decreto ministeriale n. 169 del 2 settembre 2010 – che elencava all’art. 37 le attività del sindaco che facevano sorgere il diritto al compenso – ad opera del D.M. 140/2012, oggi vige una libertà negoziale in materia (altro…)
L’art. 2402 c.c. prevede che la retribuzione annuale dei sindaci, se non è stabilita nello statuto, deve essere determinata dalla assemblea all'atto della nomina per l'intero periodo di durata del loro ufficio. Si afferma, quindi, che l’incarico di componente del collegio sindacale, ai sensi dell’art. 2402 c.c. è necessariamente oneroso, in quanto non riflette solo interessi corporativi, ma concorre a tutelare, a garanzia (altro…)
La transazione stipulata da un amministratore - sia pure munito di delega - ed un sindaco avente ad oggetto (o per effetto) il riconoscimento a quest'ultimo di compensi superiori quelli determinati all'atto della sua nomina è nulla, essendo tale determinazione di inderogabile competenza assembleare e trovando pertanto applicazione il disposto del secondo comma dell'art. 1966 c.c. a mente del quale "la transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti".