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Il perimetro della cessione d’azienda del d.l. 99/2017 per la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a.
In forza del principio del burden sharing, contemplato dalla Direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recovery Directive), attuata con...

In forza del principio del burden sharing, contemplato dalla Direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recovery Directive), attuata con i d.lgs. nn. 180 e 81 del 2015, le conseguenze delle crisi bancarie vanno sopportate in primis da azionisti e obbligazionisti e non possono essere fatte gravare su terzi, tra i quali è ricompreso il cessionario, e ogni eventuale credito nascente dalla vendita delle azioni deve essere trattato all’interno della procedura concorsuale.

La disciplina del d.l. 99 del 2017 è incompatibile con l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c. nella parte in cui delimita l’esatto perimetro dell’insieme aggregato di beni, diritti, rapporti giuridici, attività, passività oggetto di cessione, dal quale risultano esclusi i crediti deteriorati, il contenzioso azionario e il contenzioso successivo per fatti pregressi. L’art. 2560 c.c. è dettato solo per l’ipotesi di cessione volontaria di azienda, mentre nell’ambito delle procedure concorsuali vale la regola opposta. La ratio sottostante alla previsione dell’esclusione della responsabilità del cessionario per i debiti del cedente (c.d. effetto purgativo delle vendite) riposa nell’intento di incentivare la vendita di aziende o di rami di aziende fallite, che sarebbe invece pregiudicato a fronte del possibile rischio per l’acquirente di dover rispondere di debiti verosimilmente superiori all’attivo.

La disciplina speciale di cui all'art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, include tra i fatti o atti anche la nullità del contratto di finanziamento antecedente alla cessione. Rientra nell’alveo dell’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017 anche l’ulteriore causa di nullità delle clausole del mutuo di pattuizione degli interessi per usurarietà.

Allorché si prospetti un credito nei confronti della Banca Popolare di Vicenza s.p.a. o della Veneto Banca s.p.a. discendente dall’esecuzione di un contratto nullo e, dunque, non da un’attività giuridica bensì da un’attività materiale, consistente in una attribuzione patrimoniale priva di alcun titolo, lo stesso risulta essere escluso dalla cessione disciplinata dall'art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, in quanto tra origine da un fatto occorso prima della cessione, da cui è scaturita una controversia in epoca successiva a tale cessione.

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Il periculum in mora nel sequestro conservativo
Il fondato timore di perdere le garanzie del credito, necessario per la concessione di un sequestro conservativo, può essere provato...

Il fondato timore di perdere le garanzie del credito, necessario per la concessione di un sequestro conservativo, può essere provato per il tramite di elementi obiettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito, fermo restando, però, che la semplice insufficienza del patrimonio del debitore può non essere decisiva ai fini della concessione del sequestro, poiché la specificità della cautela consiste nell’assicurare la fruttuosità della futura esecuzione forzata contro il rischio di depauperamento del patrimonio nelle more del giudizio ed è quindi necessario che esistano circostanze oggettive (quali protesti, pignoramenti, azioni esecutive iniziate da altri creditori, ecc.) che facciano temere l’impoverimento del debitore nelle more del giudizio. Inoltre, il periculum in mora può essere provato anche con elementi soggettivi evincibili dal comportamento del debitore, tali da lasciare presumere che egli, al fine di sottrarsi all'adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l'eventuale depauperamento del suo patrimonio, sottraendolo all'esecuzione forzata.

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L’acquisizione di fondi effettuata sulla base di trattative personalizzate non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico
L’art. 11, co. 3, t.u.b. attribuisce al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) il potere di stabilire...

L’art. 11, co. 3, t.u.b. attribuisce al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) il potere di stabilire limiti e criteri in base ai quali non costituisce raccolta vietata del risparmio tra il pubblico quella effettuata presso specifiche categorie. In data 19 luglio 2005, il CICR ha emanato la delibera n. 1058, la quale, nel disciplinare, tra l'altro, la “Raccolta presso soci”, consente in via generale alle società di capitali di raccogliere finanziamenti presso soci, in deroga alle regole generali, purché la facoltà sia prevista nello statuto, i soci finanziatori detengano almeno il 2% del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato ed essi siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi. La medesima delibera CICR specifica, altresì, all’art. 2, co. 2, che non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico anche l’acquisizione di fondi effettuata “sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura di finanziamento”. Ne deriva che, qualora l’obbligo di versamento che il socio assume nasca da trattativa personalizzata, l'accordo di finanziamento non risulta nullo per violazione delle norme che disciplinano la raccolta del risparmio tra il pubblico.

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Azione di responsabilità verso i liquidatori e i soci di s.r.l.
Poiché ai sensi dell’art. 2495, co. 3, c.c., a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese e della...

Poiché ai sensi dell'art. 2495, co. 3, c.c., a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese e della sua estinzione, i soci possono essere chiamati a rispondere nei confronti dei creditori esclusivamente nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, nulla sarà dovuto da loro anche se nel corso delle operazioni di liquidazione siano stati rimborsati agli stessi dei finanziamenti da loro effettuati in precedenza, a nulla rilevando che questi potessero avere natura postergata, giacché ciò che rileva ai fini della successione dei soci nei debiti della società a seguito dell’estinzione di quest’ultima è esclusivamente la percezione di somme all’esito dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione.

È negligente la condotta del liquidatore che, nel corso delle operazioni di liquidazione, rimborsa ai soci finanziamenti che devono considerarsi postergati ai sensi dell’art. 2467 c.c. in quanto effettuati  in un momento in cui vi era un eccessivo squilibrio tra l’indebitamento e il patrimonio netto e, comunque, quando la situazione finanziaria avrebbe consigliato un conferimento.

Ai sensi dell’art. 2476, co. 8, c.c. nella s.r.l. i soci possono essere chiamati a rispondere in solido con gli amministratori per gli illeciti gestori compiuti da questi ultimi soltanto laddove i soci medesimi abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi così come si prevede il concorso di responsabilità dei soci per gli illeciti gestori compiuti dai liquidatori, posto che a questi ultimi si applicano le stesse norme degli amministratori in punto di responsabilità (art. 2489, co. 2, c.c.). Tale responsabilità è, tuttavia, ricollegata all’approvazione o all’autorizzazione di singole operazioni contrarie ai doveri di diligenza compiute dall’amministratore o dal liquidatore, che chi agisce in giudizio ha l’onere di individuare e allegare specificamente.

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Divieto di assistenza finanziaria e nullità contrattuale
Il divieto per la società per azioni di accordare prestiti e di fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle...

Il divieto per la società per azioni di accordare prestiti e di fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni di cui all’art 2358 c.c. è applicabile anche alle società cooperative per azioni in quanto l’interesse preminente tutelato dal legislatore è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per questo tipo di società. Tale disciplina trova applicazione altresì con riferimento alla fattispecie delle obbligazioni convertibili.

Il divieto de quo, laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria espressamente previste dall'art. 2358 c.c., è diretto a tutelare l’effettività del patrimonio sociale e a garantire la tenuta del sistema. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento al tempo dell’acquisto/aumento di capitale, ponendo in buona sostanza divieto per quelle operazioni di finanziamento o di garanzia attraverso le quali si può arrivare al risultato di depatrimonializzazione la società fino al suo svuotamento patrimoniale, dovendo il patrimonio essere costituito da risorse vere e non ad elevato rischio di essere vanificate.

L’operazione realizzata in violazione dell’art. 2358 dà luogo all’inosservanza di una norma imperativa di grado elevato, qual è quella tesa a tutelare interessi di sistema. Pertanto, il mancato rispetto del divieto, ove difettino le condizioni stabilite dalla legge, produce la nullità, ex art. 1418 c.c., dell’operazione di assistenza finanziaria nel suo complesso. Tuttavia, per aversi una nullità negoziale, occorre che vi sia un collegamento di natura negoziale tale per cui, in virtù dei patti intercorsi, vi sia una erogazione della provvista da parte della banca effettuata in favore degli acquirenti precisamente per l’acquisto dei titoli.

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Responsabilità degli amministratori per danni cagionati alla società amministrata: presupposti e riparto degli oneri probatori
La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale sicché la...

La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale sicché la società (o il curatore) deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di casualità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestati, l'osservanza dei doveri previsti dalla legge o dallo statuto.

Qualora la condotta contestata abbia ad oggetto la distrazione di cassa dal patrimonio sociale, la società (o il curatore) ha l'onere di allegare il prelievo ingiustificato di somme, e di offrire prove utili a ricostruire gli ammanchi, essendo invece onere dell'amministratore dimostrare  la propria estraneità ai fatti ovvero di provare la destinazione a fini sociali delle somme prelevate.

L'amministratore ha l'obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta prova della loro distrazione od occultamento.

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Esclusione del socio da una società cooperativa a proprietà indivisa
Lo scopo di una cooperativa a proprietà indivisa, la cui normativa di riferimento si rinviene nella l. n. 179/1992, è...

Lo scopo di una cooperativa a proprietà indivisa, la cui normativa di riferimento si rinviene nella l. n. 179/1992, è quello di ottenere, nell'ambito dell'oggetto sociale e tramite la gestione in forma associativa, a condizioni possibilmente migliori rispetto a quelle raggiungibili sul mercato, il soddisfacimento dei propri bisogni abitativi mediante l'assegnazione in godimento di unità immobiliari e il presupposto è quello di acquisizione dello status di socio.

In una cooperativa a proprietà indivisa, il mancato rispetto degli obblighi di cui allo statuto, come richiamati nel verbale di assegnazione dell'alloggio in godimento, legittima la delibera di esclusione del socio e comporta la decadenza dall'assegnazione in godimento dell'immobile sociale, essendo il presupposto per l'assegnazione lo status di socio della cooperativa.

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Revoca senza giusta causa dell’amministratore di s.r.l.
L’assemblea dei soci di una società a responsabilità limitata, in mancanza di diverse previsioni statutarie, ha il potere di rimuovere...

L’assemblea dei soci di una società a responsabilità limitata, in mancanza di diverse previsioni statutarie, ha il potere di rimuovere l’amministratore dalla carica, in qualunque tempo, salvo il diritto al risarcimento del danno se la revoca avviene senza giusta causa, in virtù dell'applicazione analogica della previsione di cui all'art. 2383, co. 3, c.c., che opera il contemperamento fra l’interesse della società a far gestire l’impresa da persona di sua persistente fiducia e l’interesse dell’amministratore a permanere in carica e percepire il relativo compenso sino alla scadenza naturale, riflettendo sostanzialmente il regolamento generale della revoca del mandato, di cui l’incarico di amministrazione costituisce una particolare specie, sancito dall’art. 1725, co. 1, c.c.

La giusta causa è ravvisabile in qualsiasi fatto anche estraneo alla sfera giuridica dell’amministratore idoneo a minare la fiducia che deve costantemente permeare il rapporto fra l’organo gestorio e la compagine sociale che lo ha espresso e la sua ricorrenza deve, quindi, essere necessariamente valutata in seno all’assemblea dei soci ed enunciata compiutamente nella delibera che determina la cessazione del mandato gestorio. L’omessa indicazione nella delibera delle ragioni che hanno determinato l’assemblea dei soci a rimuovere e sostituire l’amministratore connota, quindi, già di per sé la revoca come priva di giusta causa, non potendo le carenze dell’atto deliberativo essere emendate nel corso del giudizio né l’assemblea essere sostituita dal giudice nella valutazione e ponderazione dell’incidenza dei fatti narrati dalla difesa della società sulla tenuta del rapporto fiduciario.

Quanto alla liquidazione dell’ammontare del ristoro dovuto all’amministratore revocato senza giusta causa, non essendo l’esercizio di funzioni gestorie in alcun modo assimilabile al rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione, l’esistenza e consistenza del pregiudizio deve essere da lui provata in giudizio secondo le previsioni generali dell’art. 1223 c.c. e dell’art. 2967 c.c. e, in linea generale, si presume corrispondente alla perdita del compenso nel periodo necessario a reperire un nuovo incarico nel settore ad analoghe condizioni economiche.

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Nullità della delibera del CdA per difetto assoluto di informazione
La mancanza della convocazione del consiglio di amministrazione determina il vizio di difetto assoluto di informazione, che comporta, similmente sul...

La mancanza della convocazione del consiglio di amministrazione determina il vizio di difetto assoluto di informazione, che comporta, similmente sul punto a quanto previsto per le decisioni dei soci dall’art. 2479 ter c.c., la nullità della delibera del CdA.

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