30 Gennaio 2017

Mancato pagamento della quota di utili spettante all’associato in partecipazione e violazione del patto di non concorrenza da parte di quest’ultimo

L’associazione in partecipazione si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione, da parte di un contraente (associante), di una quota degli utili derivanti dalla gestione di una sua impresa o di un singolo affare, all’altro contraente (associato), e l’apporto da quest’ultimo conferito, che può essere di natura varia, purché avente carattere strumentale per l’esercizio dell’impresa o dello specifico affare oggetto del contratto; ed è proprio il vincolo sinallagmatico che differenzia nettamente l’associazione in partecipazione dalla società.

Il diritto agli utili spettanti all’associato ha carattere periodico, e sorge indipendentemente dalla presentazione del rendiconto, che rappresenta unicamente l’espressione numerica di parametri convenzionalmente stabiliti; ne consegue che, qualora il rendiconto non venga offerto o sia ritenuto inadeguato, ben può l’associato agire per ottenere giudizialmente, in base al contratto, l’accertamento della misura del suo credito. Esso deve essere riferito non agli utili di bilancio – che potrebbero conglobare elementi patrimoniali non provenienti dall’attività di gestione dell’impresa in un determinato periodo – bensì agli utili di esercizio, ovvero a quelli che emergono dal conto dei profitti e delle perdite; ne consegue che il suddetto diritto dell’associato investe, in quanto ricompresi negli utili di esercizio, anche i proventi derivanti dall’investimento di altri utili non distribuiti nonché, nel caso di vendita di beni strumentali dell’impresa, i maggiori valori con essa realizzati, nei limiti in cui siano dipendenti dall’attività oggetto dell’associazione in partecipazione.

La partecipazione dell’associato alle perdite è elemento naturale ma non essenziale del contratto di associazione in partecipazione. Ed infatti, dalla lettura coordinata degli artt. 2533 e 2544 c.c. si ricava che l’unica regola inderogabile nell’associazione in partecipazione è quella del divieto di partecipazione dell’associato alle perdite in misura superiore al suo apporto; resta, tuttavia, in facoltà delle parti determinare la partecipazione alle perdite in misura diversa da quella della partecipazione agli utili, o, anche, escludere del tutto l’associato dalla partecipazione alle perdite.

Nell’associazione in partecipazione alla comunanza di interessi non corrisponde una comunanza di poteri, in quanto la gestione dell’impresa è di pertinenza esclusiva dell’associante, al quale, soltanto, spetta la qualità di imprenditore e la titolarità di tutti i rapporti contratti per l’esercizio dell’impresa o la realizzazione dell’affare oggetto dell’associazione; e ciò anche nei casi in cui sia stata prevista convenzionalmente la possibilità dell’associato di ingerirsi nella gestione dell’impresa.

Il danno derivato, all’associato in partecipazione in attività di progettazione e commercializzazione di beni, dal mancato reperimento, ad opera dell’associante, di un soggetto che si occupi della produzione dei beni stessi, non può identificarsi nel puro e semplice valore dei ricavi retraibili dai beni la cui produzione era programmata, ma deve tener conto degli elementi necessari ad una realistica ricostruzione del danno stesso, ed in primis dei costi e degli oneri connessi alla loro produzione, certamente incidenti sull’ammontare degli utili spettanti all’associato. Né al difetto di allegazione e prova di tali elementi è dato porre rimedio con il ricorso alla liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., che presuppone che il danno, pur non essendo suscettibile di prova nel suo preciso ammontare (per impossibilità o motivate difficoltà tecniche), sia certo nella sua esistenza ontologica.

In presenza di una clausola risolutiva espressa, lo scioglimento di diritto del vincolo negoziale non si produce automaticamente al mero verificarsi dell’inadempimento contemplato nel patto accessorio, occorrendo, invece, che il creditore della prestazione rimasta inadempiuta comunichi alla controparte la propria volontà di avvalersi della risoluzione di diritto.

Non è condivisibile l’assunto per cui, in difetto di una espressa indicazione del termine, di durata del patto di non concorrenza accedente ad un contratto di associazione in partecipazione, dovrebbe farsi applicazione del disposto del secondo comma dell’art. 2596 c.c., ritenendolo quindi di durata quinquennale; al contrario, in assenza di specifiche indicazioni la durata del patto di non concorrenza deve ritenersi puramente e semplicemente ancorata a quella del rapporto di associazione in partecipazione.

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Marco Verbano

Marco Verbano

Laureatosi col massimo dei voti e la lode in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Padova nel 2011 (tesi di diritto civile su "Il danno da intese anticoncorrenziali", relatore il Prof. Stefano Delle...(continua)

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