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Intestazione fiduciaria di quote
Il trasferimento delle quote per atto fiduciario comporta un reale passaggio di proprietà delle quote, con l’aggiunta di un impegno al ritrasferimento delle medesime. L’unico modo per riottenere le quote, sussistendone tutti i presupposti, è agire ai sensi dell’art. 2932 c.c., quindi con una azione costitutiva finalizzata ad ottenere una sentenza che si sostituisca al contratto di ritrasferimento non concluso.
Improcedibilità dell’azione esecutiva su beni confiscati
Divieto di patto leonino e di patto commissorio e strumenti finanziari partecipativi
Affinché il limite all’autonomia statutaria dell’art. 2265 c.c. sussista, è necessario che l’esclusione dalle perdite o dagli utili costituisca una situazione assoluta e costante. Assoluta, perché il dettato normativo parla di esclusione “da ogni” partecipazione agli utili o alle perdite, per cui una partecipazione condizionata (ed alternativa rispetto all’esclusione in relazione al verificarsi, o non, della condizione) esulerebbe dalla fattispecie preclusiva. Costante, perché riflette la posizione, lo status del socio nella compagine sociale, quale delineata nel contratto di società.
Sia il divieto di patto commissorio (artt. 1963 e 2744 c.c.) sia il divieto di usura postulano l’esistenza di un rapporto negoziale di natura (quantomeno) prevalentemente creditizio-finanziaria, pena l’impossibilità giuridica di applicare detti divieti.
E’ lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di società azionaria con il quale gli uni, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighino a manlevare un altro socio delle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato e il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società.
Il tenore letterale dell’art. 2346, co. 6, c.c. recita che lo strumento finanziario partecipativo possa essere emesso “a seguito dell’apporto da parte di soci o di terzi anche di opera o di servizi”: tale precisazione implica necessariamente che l’apporto del sottoscrittore non sia necessariamente limitato alla dazione di denaro o beni fungibili, ma si estenda anche allo svolgimento di una prestazione di facere, ipoteticamente contraddistinta da intuitus personae. Da ciò discende la possibilità di emettere strumenti partecipativi singoli e individualizzati e quindi non seriali.
E’ ammissibile una deroga statutaria del principio secondo il quale le cariche sociali sono nominate in modo collegiale da tutte le azioni riunite in assemblea ordinaria. Lo statuto può diversamente allocare il potere di assumere la decisione nell’ambito della compagine sociale, mediante la configurazione di “diritti diversi” attribuiti a una o più categorie di azioni ai sensi dell’art. 2348 c.c.
Sul rapporto tra responsabilità dell’amministratore di fatto e di diritto
Dal momento che la responsabilità dell’amministratore discende dalla mera accettazione della nomina, invocare la natura formale della carica o allegare di aver seguito le istruzioni impartite da terzi non esime l’amministratore di diritto dalla responsabilità per “mala gestio”. Al contrario, poiché quest’ultimo deve salvaguardare l’integrità del patrimonio dell’ente e destinarlo a fini sociali, qualora egli non abbia espletato attività di controllo e non abbia impedito la distrazione delle risorse sociali, andrà incontro a responsabilità, stante la negligente esecuzione del contratto. In particolare, l’amministratore di diritto non può invocare la sua posizione di gestore di comodo o “testa di legno”, allo scopo di andare esente dalla responsabilità derivante dal compimento o dall’omesso impedimento atti di mala gestio: infatti, l’amministratore di diritto e l’amministratore di fatto sono solidalmente responsabili qualora, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non abbiano fatto il possibile per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne gli effetti dannosi.
Compenso degli amministratori di società capitali
Con riferimento al compenso spettante all’amministratore di società di capitali giova premettere che dal contenuto dell’art. 2389 c.c. si desume che l’ordinamento riconosce agli amministratori delle società di capitali il diritto ad un compenso per l’attività da essi svolta per conto della società in adempimento del mandato ricevuto (naturalmente oneroso, ex art. 1709 c.c.). La pretesa dell’amministratore di una società al compenso per l’opera prestata ha natura di diritto soggettivo.
In aderenza all’art. 2389, ove lo statuto nulla disponga in merito al compenso dell’amministratore, competente per la relativa determinazione è l’assemblea dei soci, che può provvedervi sia con la medesima delibera di nomina dei soggetti preposti alle funzioni gestorie, sia con autonoma e separata deliberazione. Sicchè, ove nulla disponga al riguardo lo statuto ovvero l’assemblea si rifiuti o ometta di procedere alla relativa liquidazione o, ancora, lo determini in misura assolutamente inadeguata, il compenso deve intendersi indeterminato e quindi deve essere giudizialmente determinato, su domanda dell’amministratore, in applicazione del richiamato art. 1709 c.c., anche mediante liquidazione equitativa. Rimangono prive di effetti altre eventuali forme di determinazione, tra cui l’accordo orale eventualmente intervenuto fra amministratore e socio di maggioranza, con conseguente attribuzione del carattere di indebito oggettivo al compenso corrisposto, sulla base di un simile accordo, in mancanza del fatto costitutivo previsto dalla legge.
Azione di responsabilità della curatela, obblighi degli amministratori e prova delle distrazioni patrimoniali
L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 L.F. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. – con conseguente possibilità per il curatore medesimo di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393 comma 4, 2941 n. 7, 2949 e 2394 comma 2 c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.
Se l’erogazione di somme da parte del socio a favore della società avviene a titolo di prestito, ne consegue l’obbligo per la seconda di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza; se, invece, l’apporto avviene come versamento destinato a confluire in apposita riserva “in conto capitale” e, dunque, non tra i debiti, il socio non diviene titolare di un credito esigibile se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione.
L’amministratore ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.
Va considerato che, comunque, grava sull’organo gestorio in carica al momento del deposito l’obbligo di controllare la corretta predisposizione del bilancio da lui sottoscritto; l’amministratore
subentrante ha, infatti, l’onere di verificare l’effettiva consistenza patrimoniale della società, oltre che la sua reale situazione economico finanziaria, al fine di adottare gli eventuali necessari
aggiustamenti.
Il mancato rinvenimento dei beni da parte della curatela rappresenta la prova della loro dispersione, attesa l’impossibilità di risalire alle vicende sociali ante fallimento.
Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e inopponibilità alla curatela delle scritture prive di data certa
Il contratto preliminare richiamato per giustificare la fuoriuscita di denaro dalla fallita che sia privo di data certa, ai sensi dell’art. 2740 c.c. è inopponibile alla curatela che, agendo a tutela della massa dei creditori, si pone come terzo rispetto alle pattuizioni contrattuali effettuate dal fallito. Deve quindi affermarsi la responsabilità dell’amministratore della società fallita perché, attraverso i pagamenti in contestazione, ha violato gli obblighi di diligenza e di prudenza posti dalla legge a suo carico, nonché gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, recando pregiudizio alla società e ai creditori sociali (art. 2476 c.c.).
Solo la partecipazione “determinante” del soggetto non legittimato è causa di annullabilità della delibera
La sostituzione del socio da parte di un terzo non socio all’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio non è di per sé causa di annullabilità della relativa delibera, in quanto tale specifica sanzione è espressamente dettata per il caso di partecipazione all’assemblea di soggetti diversi dai legittimati in presenza dei presupposti dell’art. 2377, co. 5, n. 1, c.c. (richiamato per le s.r.l. dall’art. 2479 ter, ult.co., c.c.) e dunque solo ove tale partecipazione risulti determinante per la regolare costituzione dell’assemblea, anche considerando la deformalizzazione delle modalità di svolgimento dell’assemblea nelle s.r.l., come previsto dall’art. 2479 c.c.
Validità del c.d. “preliminare di preliminare” di cessione di quote
La stipulazione di un contratto preliminare di preliminare, in virtù del quale le parti si obbligano a concludere un successivo contratto che preveda soltanto effetti obbligatori, ha natura atipica; lo stesso è valido ed efficace ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, perché la procedimentalizzazione delle fasi contrattuali non può essere considerata, di per sé, connotata da disvalore, se intesa a comporre un complesso di interessi che sono realmente alla base dell’operazione negoziale. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare una responsabilità contrattuale da inadempimento di una specifica obbligazione sorta nella fase precontrattuale.
Sui limiti alla libera circolazione delle azioni in caso di fusione per incorporazione del socio
In forza del principio di libera trasmissibilità delle partecipazioni, l’eventuale deroga alla libera circolazione dettata dallo statuto per le cessioni inter vivos non è estendibile analogicamente anche all’ipotesi in cui il trasferimento derivi dalla trasmissione delle partecipazioni per fusione, a seguito del passaggio delle medesime dal socio incorporato al terzo incorporante.