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2 Agosto 2022

Violazione di una clausola di prelazione e tutela reale

Alla violazione di una clausola di prelazione statutaria non consegue né la nullità né l’invalidità né l’inefficacia degli atti di cessione né tantomeno la necessità di una “retrocessione” delle quote cedute. Tale violazione è sanzionata con la sola tutela reale consistente nel rendere inefficace l’atto di trasferimento nei confronti della società. A tal fine, colui che intende agire per ottenere la declaratoria di tale inopponibilità alla società deve provare l’esistenza di un proprio effettivo interesse all’acquisto della partecipazione ceduta, presupposto necessario anche ai fini del ricorso al criterio equitativo ex art. 1226 c.c. per la determinazione del danno lamentato. [ Continua ]

Attività da direzione e coordinamento – presunzione e onere probatorio

Ai fini della configurabilità dell’esercizio di attività da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. il ricorso alla presunzione ex art. 2497 sexies c.c. non soddisfa pienamente l’onere probatorio, essendo necessario, per colui che agisce ex art. 2497 c.c., allegare gli elementi costitutivi dell'abuso dell'attività da direzione e coordinamento dovendo provare l’esercizio in fatto dell’eterodirezione con riguardo alle operazioni gestorie contestate. [ Continua ]

Applicabilità del criterio di quantificazione del danno secondo la differenza dei netti patrimoniali a fattispecie anteriori all’introduzione dell’art. 2486, secondo comma, c.c.

Le azioni di responsabilità esperibili dalla curatela nei confronti dell’organo amministrativo soggiacciono al termine prescrizionale quinquennale che decorre, per l’azione sociale di responsabilità, dal momento di cessazione della carica dei componenti l’organo amministrativo e, per l’azione di responsabilità esperibile dai creditori sociali ex art. 2394 c.c., dal momento in cui si manifesta l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti da intendersi quale condizione “di squilibrio patrimoniale più grave e definitiva, la cui emersione non coincide necessariamente con la dichiarazione di fallimento, potendo essere anteriore o posteriore”. Ai fini della determinazione del danno nelle ipotesi in cui l’aggravamento delle perdite derivi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa - da intendersi come un insieme di operazioni tra di esse correlate - il danno causalmente riconducibile al comportamento degli amministratori deve essere commisurato all’aggravamento del deficit patrimoniale, calcolato secondo il c.d. criterio della “perdita incrementale netta”, ossia con riferimento al valore del deficit alla data in cui sarebbe dovuta cessare l’attività di impresa e a quello riscontrato all’epoca del reale inizio della liquidazione, così superando l’impossibilità di fornire una prova specifica dell’ammontare dei danni direttamente conseguenti a ciascuna singola condotta e la necessità di procedere alla determinazione del danno mediante criteri presuntivi o equitativi. Il criterio c.d. della “differenza dei netti patrimoniali” è da ritenere pienamente utilizzabile, per la sua ragionevolezza, anche anteriormente al riconoscimento normativo operato dall’art. 378, comma 2, del D.Lgs. n.14/2019, con l’aggiunta dell’ultimo comma dell’art. 2486 c.c. [ Continua ]